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Il problema della estensibilità della disposizione di cui all'art 594 c.p all'ingiuria

7. La regolamentazione di internet e la sanzione penale dei reati di espressione come

1.1. Il problema della estensibilità della disposizione di cui all'art 594 c.p all'ingiuria

Secondo quanto stabilito dall'art. 594 c.p., il delitto di ingiuria si consuma nel momento in cui taluno <<offende l'onore o il decoro di una persona presente>>. Il principale elemento di distinzione che si ricava dalla norma, rispetto al reato di diffamazione, è quindi costituito dalla presenza del soggetto passivo, nel momento e nel luogo in cui è espressa l'offesa; presenza che permette all'ingiuriato di reagire immediatamente all'offesa di cui è vittima, diversamente da quanto accade nell'ipotesi della diffamazione. Sebbene poi l'ingiuria verbale rappresenti la più classica delle modalità mediante le quali la condotta incriminata si realizza, il legislatore dimostra una meditata valutazione del fenomeno nel momento in cui, sanzionando tale ipotesi, prevede che alla stessa pena debba soggiacere anche chi commette il fatto <<mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni diretti alla persona offesa>>, che rientrano nel concetto di ingiuria reale. Il problema che si pone, in questo caso è quello di stabilire se tale previsione sia estensibile anche nell'ipotesi in cui l'ingiuria sia realizzata mediante l'ausilio delle nuove tecnologie.

Cominciamo subito con il prendere in considerazione il primo elemento costitutivo della fattispecie, vale a dire la presenza del soggetto passivo.

Nel mondo informatico la presenza o meno della persona offesa dal reato di ingiuria, non essendo ovviamente valutabile secondo gli stessi criteri che utilizziamo nel mondo reale, potrebbe essere accertata avendo riguardo alla concreta possibilità per questi, una volta che si sia collegato alla rete, di prendere tempestivamente visione del contenuto offensivo e quindi di difendersi. Secondo questa impostazione, il soggetto passivo dovrebbe essere ritenuto presente quando riceva direttamente il messaggio

ingiurioso, ad esempio tramite l’invio di un’e-mail alla sua casella di posta elettronica, o ancora nel corso di una conversazione realizzata secondo le tecniche della messaggistica istantanea. Soprattutto in quest’ultimo caso, infatti, la comunicazione tra le parti sarebbe equiparabile a quella telefonica o a quella vis à vis che permettono un diretto scambio di battute tra gli interlocutori e quindi una concreta possibilità di difesa per l’offeso.

Diversa la situazione invece nell’ipotesi in cui l’agente inibisca la possibilità per l’ingiuriato di reagire avvalendosi ad esempio di quelle tecniche di comunicazione, che sono in grado di escludere ogni tipo di intervento da parte del terzo e quindi anche del soggetto passivo (pensiamo a quei siti web in cui possono essere inseriti contenuti che, sebbene siano leggibili da tutti, non possono però in alcun modo essere modificati o commentati da parte dei terzi).

L'espresso richiamo, nel 2° comma dell'art. 594 c.p ., alle altre modalità mediante le quali il reato potrebbe essere realizzato, sembra poi far propendere proprio per la tesi della estensibilità della fattispecie di ingiuria anche alle ipotesi in cui questa sia commessa mediante le nuove tecnologie. Non c'è nessun dubbio sul fatto che documenti scritti e disegni costituiscano degli strumenti idonei a ledere l'altrui onore e che questi rappresentano altresì, i principali contenuti immessi nella rete globale. Tale impostazione sembrerebbe inoltre, essere la più conforme all'evoluzione che si è verificata nella società in seguito all’avvento di internet, che è ben presto divenuto il principale strumento di comunicazione e quindi anche il mezzo mediante il quale verosimilmente si commettono, ad oggi, buona parte della condotte in grado di arrecare pregiudizio al bene giuridico protetto dalla norma.

Per giunta, dal momento che nel nostro ordinamento manca una definizione legale di "scritto" o "disegno", sembrerebbe esserne consentita un'interpretazione evolutiva che permetta di ricomprendere, nell'ampio insieme di tali documenti, anche quelli realizzati, pubblicati o divulgati in via informatica. Come affermato da una parte della dottrina72, ci sarebbero quindi dei casi "particolari" nei quali il contenuto ingiurioso può essere concretamente veicolato mediante le specifiche dinamiche comunicative offerte dalle nuove tecnologie (e-mail, mailing-lists), casi nei quali l'agente sa per certo che il messaggio ingiurioso perverrà al destinatario.

72

L. PICOTTI,Profili penali delle comunicazioni illecite via Internet, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè, Milano 1999, p. 283

Se tale tipo di ragionamento ci porterebbe a concludere che la fattispecie di ingiuria disciplinata dal legislatore è applicabile anche all'ipotesi in cui la condotta pregiudizievole sia commessa mediante internet, bisogna però prendere atto del diverso orientamento seguito dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Se la dottrina penalistica tradizionale ha espresso la sua contrarietà alla contestazione del reato di ingiuria, nel contesto delle dinamiche comunicative che esulano da quelle possibili mediante i mezzi indicati dal 2° comma dell'art. 594 c.p., di non di verso parere sembra essere la giurisprudenza. La Corte di Cassazione73, infatti, è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione in seguito al ricorso presentato, da parte di un soggetto a cui era stato contestato, unitamente all'ipotesi contravvenzionale della molestia, anche il reato di ingiuria commesso a mezzo di posta elettronica.

La Suprema Corte, in quest'occasione, ha analizzato la fattispecie della molestia (art. 660 c.p.) che, secondo quanto previsto dal legge, può essere perpetrata <<col mezzo del telefono>>, valutando la possibilità o meno di dare un'interpretazione estensiva della fattispecie, in grado di ricomprendervi quelle condotte di disturbo che si concretizzano nell'invio di corrispondenza elettronica sgradita. L'impostazione seguita da parte dei giudici di questa Corte appare strettamente ancorata al principio di tassatività, che porta ed escludere la punibilità di alcune fattispecie delittuose, laddove commesse con il mezzo informatico o telematico, in mancanza di una espressa previsione al riguardo.

Con specifico riferimento al reato di molestia, la Corte ha infatti affermato che la comunicazione telefonica non è equiparabile a quella realizzata mediante posta elettronica, perché in quest'ultima <<la modalità della comunicazione è asincrona>>, in quanto <<l'invio di un messaggio di posta elettronica non comporta (a differenza della telefonata) nessuna immediata interazione tra il mittente ed il destinatario, né veruna intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo>>.

L'elemento costitutivo della fattispecie di molestia, quindi, non è rappresentato solo dall'effetto che da tale condotta scaturisce, vale a dire il disturbo, il turbamento che ne deriva per il soggetto passivo, ma anche dalla modalità per mezzo della quale tale comportamento viene posto in essere, cioè dal fatto che la molestia sia realizzata o in luogo pubblico o aperto al pubblico, o con il mezzo del telefono, così come tipizzato dal legislatore.

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Cass. pen., 30 giugno 2010, n. 24510. M. IANULARDO, Sulla mancata previsione normativa del reato di ingiuria tramite e-mail, in Riv. Dir. Pen. Cont, 2010.

Conclude, infatti, la Corte su questo punto che <<l'avvertita esigenza di espandere la tutela del bene protetto (la tranquillità della persona) incontra il limite coessenziale della legge penale costituito dal "principio di stretta legalità" e di tipizzazione delle condotte illecite, sanciti dall'art. 25 comma 2° de lla Costituzione e dall'art. 1 del Codice Penale>>. Per tale ragione è stato quindi disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Pur in assenza di una analisi altrettanto accurata dell'art. 594 c.p. da parte della Corte a fronte della questione sottopostale - cosa che peraltro ben avrebbe potuto essere visto che all'imputato era stato contestato anche il reato di ingiuria a mezzo di e- mail - non diverso sembra essere il ragionamento che, sulla base di tale insegnamento, è possibile condurre per quanto riguarda il reato di ingiuria commesso con l'ausilio delle nuove tecnologie.

Anche in questo caso il principio di tassatività porta ad escludere che la fattispecie possa essere suscettibile di un'interpretazione evolutiva, per quanto maggiormente in grado di garantire una effettiva tutela al bene giuridico, a fronte delle nuove aggressioni cui esso è esposto nella società attuale. Stando ad un'interpretazione strettamente ancorata alla lettera del testo, infatti, viene in primo luogo in considerazione quale elemento costitutivo del reato la presenza della persona offesa. Come appare ictu oculi tuttavia, tale presenza non potrà mai esserci, almeno non nel senso fisico, materiale del termine, quando ci si serve di dispositivi informatici con i quali è possibile instaurare solo una comunicazione "a distanza". In secondo luogo, sebbene il 2° comma della norma di cui si tratta, preveda l'estensibilità della sanzione a coloro che commettono il reato <<mediante comunicazione telegrafica o telefonica>>, non possiamo dimenticare che, secondo un orientamento ormai consolidato, le comunicazioni che avvengono mediante l'uso di mezzi telematici o informatici non possono mai essere assimilate a quelle telefoniche o telegrafiche.

Un'interpretazione del reato di ingiuria che sia strettamente ancorata al principio di tassatività, porta, quindi, ad escludere che nella fattispecie ricada l'ipotesi in cui l'offesa sia arrecata a mezzo di internet. A ragionar diversamente si rischierebbe, infatti, di incorrere in un'analogia in malam partem; e che questa sia l'interpretazione corretta è dimostrato anche dal fatto che, dopo aver enunciato gli elementi costitutivi della fattispecie il legislatore, al 2° comma, avverte l' esigenza di specificare che il reato è punito anche se commesso con quelle che, al tempo, erano le moderne tecniche di comunicazione (il telefono ed il telegrafo).

Stando a questa impostazione, dunque, la fattispecie di cui all'art. 594 c.p., in assenza di uno specifico intervento da parte del legislatore, non è suscettibile di una interpretazione estensiva, pena la violazione del principio di stretta legalità sancito dall'art 25 Cost. 2° comma.

Al fine di garantire un'effettiva salvaguardia del bene giuridico considerato dall'art. 594 c.p., è quindi indispensabile un intervento del legislatore che, prendendo atto delle nuove modalità di aggressione a beni ritenuti meritevoli di tutela nel nostro ordinamento e della particolare capacità lesiva dei reati informatici <<impropri>>, elabori nuove disposizioni penali in grado di sanzionare il reato anche quando sia perpetrato con l'ausilio del web. Tale intervento è indispensabile per garantire che tutto ciò che è illecito off-line lo sia anche nel cyberspazio ed evitare quindi di trasformare la rete in una zona franca in cui tutto è ammesso. Infatti, in casi come quello appena visto, in assenza di un intervento del legislatore, le possibilità per il giudice di garantire tutela alle persone offese si riducono drasticamente, stante l'obbligo per l'autorità giudiziaria di rispettare il principio di tassatività e quindi il divieto, ancor più forte in materia penale, di servirsi con leggerezza delle tecniche di interpretazione di tipo estensivo.

1.2. Elementi costitutivi e caratteristiche principali del delitto di diffamazione on-

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