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La particolare capacità lesiva dei reati commessi mediante internet rispetto ai reat

I vantaggi sul piano della comunicazione che attribuiamo ad internet (facilità di accesso, abbattimento dei costi, superamento delle barriere geografiche), possano però tramutarsi nel loro opposto a seconda delle modalità di impiego del mezzo. Intendo dire che le capacità benefiche o malefiche del web dipendono non dal sistema informatico in sé, ma dall’utilizzo che dello stesso è fatto da parte dell’utente. Gli stessi vantaggi che può trarre l’onesto cittadino dalla possibilità di comunicare con maggiore facilità con una persona che si trova all’altro capo del mondo, possono essere sfruttati anche da parte, ad esempio, delle organizzazioni criminali, per mantenere i contatti con le varie cellule qua e là dislocate.

L’attenzione in questo caso deve essere posta in particolar modo ai reati informatici in senso <<improprio>> che, come abbiamo visto, costituiscono una sorta di trasposizione delle figure criminose tradizionali, nel modo virtuale. È guardando a questi, infatti, che può essere analizzata più da vicino la particolare capacità lesiva dei nuovi reati cibernetici rispetto ai loro omologhi off-line.

Richiamando il cenno sopra fatto alla fenomenologia delle organizzazioni criminali, va subito detto che tale figura criminosa è disciplinata dall’art. 416 c.p. che recita: <<quando tre o più persone si associno allo scopo di commettere delitti, coloro che promuovono, costituiscono o organizzano l’associazione sono puniti (…)>>. Ora è evidente che tre o più persone potrebbero tenere il comportamento incriminato non solo in uno spazio fisico geograficamente individuato (es. a casa di uno dei tre), ma anche decidere in un non luogo virtuale, come una chat-line privata o su un blog45, per costituire, organizzare o promuovere l’associazione criminale alla quale aderiscono o intendano dar vita, magari utilizzando proprio la rete per pianificare le azioni da intraprendere o per mantenere i contatti con le diverse cellule sparse sul territorio. Come è facile intuire, quanto più estesa è l’organizzazione criminale tanto maggiori saranno i vantaggi che questa potrà trarre da un sistema capace di garantirle un collegamento costante con gli affiliati ovunque essi si trovino, magari ricorrendo anche a sistemi di comunicazione cifrata, nel tentativo di ostacolare eventuali attività di intercettazione da parte non solo delle autorità, ma anche dei gruppi criminali avversi.

Sempre nella medesima direzione anche il cyber-terrorismo, che costituisce l’evoluzione informatica del terrorismo più tradizionale, trae dall’utilizzo delle nuove tecnologie nuova forza e non solo sul piano delle capacità organizzative.

Se difatti concordiamo con l’affermazione secondo la quale la linfa vitale del terrorismo è costituita dalla comunicazione, nel senso che quanto maggiore è la risonanza che le azioni violente poste in essere hanno nella società, quanto superiore sarà la capacità del gruppo di raggiungere il suo obiettivo di destabilizzazione della società, allora non si può non riconoscere come i media in generale, ma oggi soprattutto internet possano avere una funzione fondamentale nella propaganda del terrore e quindi, in ultima analisi, dell’ideologia del gruppo estremista46.

Tralasciando ora le forme di criminalità più organizzata per guardare invece ai reati più comunemente commessi dai consociati mediante l’utilizzo del web, vengono

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Emblematica in proposito la vicenda Stormfront, della quale si tratterà nel cap. III, par. 3. 46

Non a caso il sociologo canadese Marshall McLuhan affermava che <<il terrorismo è un modo di comunicare. Senza comunicazione non ci sarebbe terrorismo>>. È mediante la diffusione della notizia che il gruppo terroristico punta a diffondere insicurezza nella società civile, rafforzando in tal modo l’effetto della sua minaccia, e la forza dello Stato e dei media sta proprio nell’impedire che l’informazione (doverosa) di ciò che accade, si trasformi in un inaccettabile strumento di propaganda di ideologie estremiste.D. BASTIANI, Terrorismo e media, la comunicazione del terrore, in Informazioni della difesa, n.2, 2012.

subito in considerazione i vari episodi di incitamento alla violenza nei confronti dei soggetti deboli (minori, disabili, anziani), o di coloro che sono per una qualsiasi altra ragione percepiti come diversi.

Non sono così rari purtroppo, i filmati, i documenti, o anche i commenti che vengono pubblicati in rete, talvolta anche in risposta a contenuti immessi da altri utenti, nei quali, propugnando per questa o per quella ideologia estremista si cerca, talora palesando la più riprovevole ignoranza circa la gravità delle proprie affermazioni, di stimolare negli altri fruitori della rete delle reazioni violente nei confronti di certe categorie di soggetti. Si tratta di veri e propri discorsi di odio (hate speech), che se nella maggior parte dei casi restano, per così dire lettera morta, potrebbero comunque essere realmente di stimolo alla commissione di azioni criminose.

A tali eventi possono poi essere assimilati quelli, non meno allarmanti, che vedono giovani e giovanissimi rendersi protagonisti, per spirito goliardico, di veri e propri soprusi ai danni di soggetti inermi47. Per quanto riguarda l’Italia basti citare la vicenda che è all’origine del caso Google c. Vivi Down48 in cui un giovane autistico veniva ripreso dai suoi compagni mentre era oggetto delle loro vessazioni.

È ancora una volta l’enorme capacità divulgativa del web ad amplificare la capacità offensiva del reato. La vittima del maltrattamento è esposta nella sua debolezza, allo sguardo di un pubblico che guarda senza poter essere visto e dal quale l’offeso non ha modo di difendersi; ed è proprio quel pubblico ad essere primo destinatario e fruitore ultimo di tale violenza. La dignità della persona aggredita riceve in tal modo un’offesa tanto più grave quanto maggiore è capacità divulgativa dello strumento utilizzato per dare diffusione a quel contenuto.

Si capisce a questo punto la ragione per la quale il reato di diffamazione a mezzo di internet presenti una capacità offensiva che risulta rafforzata dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Quanto più estesa è la platea degli utenti che hanno potuto prendere visione del contenuto diffamatorio, tanto maggiore è il pregiudizio che l’offeso ne riceve.

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Si pensi al così detto happy slapping (schiaffeggio allegro), che trova le sue origini in Inghilterra dove, attorno al 2004, un gruppo di ragazzi cominciarono diffondere sul web video, da loro stessi girati, che li riprendevano mentre si divertivano a prendere a schiaffi gli ignari passanti. Il fenomeno ha poi assunto nel corso del tempo dimensioni mondiali aggravandosi anche sul piano dell’offensività. Siamo infatti passati da questa forma di moderata, ma pur sempre inaccettabile, violenza, a delle vere e proprie aggressioni.

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L’utente del web viene a conoscenza di certe informazioni che attengono alla vita pubblica o privata di una determinata persona, non sempre ha la possibilità di accertare la fondatezza della notizia (come d’altronde accade anche per la diffamazione classica) e spesso quale soggetto passivo della comunicazione è indotto a credere al contenuto diffamatorio ed a comportarsi di conseguenza.

Così, mentre quando per la commissione del reato è utilizzato uno strumento con capacità divulgative medio-basse (es. la diffamazione verbale che si può verificare tra privati cittadini o la pubblicazione di una notizia artificiosa su un giornale a diffusione locale), il pregiudizio che può derivarne all’offeso è di gran lunga inferiore rispetto a quanto si verifica se è utilizzato un mezzo con le potenzialità di internet.

Laddove poi il diffamato sia un personaggio pubblico o una persona che ricopre un ruolo a contatto con il pubblico e nel quale quindi, la buona reputazione è elemento fondamentale perché si possa instaurare un rapporto di fiducia con i consociati (un politico, un imprenditore, un giudice, un insegnante ecc.), gli effetti della diffamazione on- line potrebbero essere gravissimi, giungendo talvolta anche a rovinare completamente l’immagine sociale dell’offeso e quindi relegandolo in una condizione di marginalizzazio- ne.

6. Il difficile bilanciamento tra repressione dei reati di opinione e libertà di

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