• Non ci sono risultati.

Il linguaggio dell’odio nella dimensione virtuale

Nel documento I reati di espressione a mezzo di internet (pagine 98-103)

L’art. 3 della Costituzione e le nuove forme di discriminazione on-line – 3.1. La nozione di propaganda nella legge Mancino e la sua estensibilità alla rete. – 4. L’utilizzo di internet per la commissione di reati d’odio costituisce circostanza aggravante? – 5. Un caso emblematico: la sentenza Stormfront. – 5.1. Dalla propaganda di idee razziste all’istigazione a delinquere. – 5.2. Dall’istigazione a delinquere alla costituzione di un’associazione criminale – 6. Qualche breve considerazione sul fenomeno del negazionismo on-line.

1. Il linguaggio dell’odio nella dimensione virtuale

Con la locuzione <<reati d’odio>> siamo soliti riferirci a quell’articolato insieme di delitti (tanto contro la persona quanto contro il patrimonio), il cui elemento comune è costituito dall’intento discriminatorio che sta alla base del comportamento tenuto dal soggetto agente. I reati d’odio sono volti a colpire determinate persone in ragione dell’appartenenza ad un certo gruppo (etnico, religioso, politico, sociale), a prescindere dal fatto che ci sia una conoscenza diretta tra la vittima e l’autore del reato; anzi, ben può accadere che i due protagonisti della vicenda criminosa non si conoscano affatto119.

119Mi viene in mente a questo proposito un passo della celebre fiaba di Jean de La Fontaine, Il lupo e l’agnello, nel quale la descrizione di questa forma di odio irrazionale e spietata è narrata con disarmante semplicità. “«… so che l’anno scorso tu hai parlato male di me». «Come avrei potuto farlo, se non ero ancora nato? – rispose l’agnello – Succhio ancora il latte da mia madre». «Se non sei stato tu, si sarà trattato di tuo fratello». «Non ho nessun fratello!». «Allora sarà stato qualcuno dei tuoi: perché non ci trattate affatto bene, voi, i vostri pastori e i vostri cani. Poche chiacchiere: bisogna che mi vendichi». Il lupo trascinò l’agnello in mezzo alla foresta e poi lo divorò, senza indagare oltre”.

Accanto alle più classiche forme di razzismo, nelle quali ad essere colpiti sono gli appartenenti ad un certo gruppo etnico (pensiamo alla xenofobia e all’antisemitismo), si annoverano ulteriori forme di discriminazione, dirette nei confronti di chi sia percepito come diverso per ragioni altre, quali l’identità di genere, l’orientamento sessuale o per particolari condizioni fisiche o psichiche120.

Salve le ipotesi nelle quali è realizzata un’aggressione materiale alla persona o ai beni del soggetto passivo, particolare attenzione deve essere rivolta ai discorsi di odio121 (spesso denominati con espressione anglosassone hate speech). Con tale termine ci riferiamo a tutte quelle manifestazioni della parola mediante le quali è espressa un’estrema avversione, che può sconfinare nell’intolleranza, contro una persona o un intero gruppo sociale che, per una o più delle ragioni sopra elencate, sono avvertiti come diversi. I discorsi di odio svolgono un ruolo centrale nella diffusione e nel consolidamento dei pregiudizi e quindi, in ultimo, del modo in cui certi gruppi sono percepiti da parte della società122.

Con l’avvento delle nuove tecnologie e la creazione della rete globale, si è ampliata la possibilità per gli utenti del web di esercitare il diritto a manifestare il loro pensiero. Il problema che si pone in questo caso, come abbiamo avuto modo di vedere affrontando il tema dei reati di espressione (Cap. I, par. 6), è quello di evitare che la

120

L’Home Office inglese, il diparimento del governo britannico, incaricato tra l’altro di raccogliere dati in materia di giustizia ha definito come hate crime, “any criminal offence committed against a person or property that is motivated by hostility towards someone based on their disability, race, religion, gender-identity or sexual orientation, whether perceived to be so by the victim or any other person”.

121

T. BRUDHOLM, Crimini dell'odio e diritti umani, in F. SCIACCA (a cura di), Giustizia globale. Problemi e prospettive, RUBBETTINO-SOVERIA MANNELLI, 2011, pp. 89 e ss.

122

Infatti, il linguaggio è il principale mezzo mediante il quale l’odio e l’intolleranza sono veicolati nella società, non sempre in modo esplicito, ma più spesso facendo ricorso a sottili allusioni che, sia pure in forma latente, sono in grado di reiterare il pregiudizio. Numerose sono le strategie argomentative mediante le quali è possibile mascherare il dato di realtà di una discriminazione odiosa: pensiamo, solo per citarne alcune, alla banalizzazione (confondere un attacco a Gaza con la Shoah), al capovolgimento dei ruoli (<<gli ebrei vittime di ieri, sono i carnefici di oggi>>; <<di chi sarà mai la colpa se gli ebrei sono tanto odiati?>>), alla rivalità tra vittime (<<basta con gli ebrei oggi ci sono altre tragedie>>), al negazionismo (<<le camere a gas ed i forni crematori non sono mai esistiti>>) o alla gara tra catastrofi (<<la Shoah è nulla a fronte dei problemi ambientali e della corsa agli armamenti>>). Gli esempi di linguaggio d’odio che mi sono permessa di riprendere sono di A. PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, in Riv. diritto pen. cont., 2012.

libertà garantita dall’art. 21 Cost. degeneri, arrivando a ricomprendere sotto la sua tutela anche quei contenuti di carattere violento, che non possono non essere considerati rilevanti in sede penale (il riferimento è in particolare all’istigazione a delinquere).

Si tratta di realizzare un difficile bilanciamento tra due esigenze contrapposte e parimenti meritevoli di tutela: la libertà di manifestazione del pensiero e la salvaguardia di quei beni giuridici (la sicurezza, la dignità, l’uguaglianza) che sarebbero altrimenti pregiudicati proprio da un abuso di tale diritto al fine di veicolare contenuti illeciti.

Ciò che si rischia è che il web, che ad oggi con la nuova versione 2.0 ha assunto un carattere fortemente interattivo e partecipativo, passi dall’essere uno spazio parzialmente autogestito nel quale i diritti e le libertà democratiche trovano nuove modalità di esplicazione, all’essere un luogo nel quale proliferano l’oltraggio, l’insulto e l’incitamento all’odio, talora perpetrati anche sotto lo scudo dell’anonimato. Internet, considerate le sue potenzialità divulgative, si presta ad essere uno dei principali strumenti mediante il quale può agevolmente compiersi la propaganda di contenuti che giustificano, e per questa via spesso esortano, all’intolleranza. Il cyberspazio, in questo modo, può divenire anche luogo d’incontro tra quanti condividano tali ideali di stampo razzista e nel quale, partendo dalla creazione di aree tematiche o blogs ad essi dedicate, si potrebbe persino arrivare, nei casi più gravi, alla formazione di gruppi organizzati in grado di tradurre in pratica quei contenuti violenti.

I c.d. siti dell’odio, dedicati alla propaganda di contenuti di stampo discriminatorio, rappresentano solo una delle modalità mediante le quali le ideologie dell’intolleranza vengono diffuse nel web. Internet è, infatti, un grande archivio al quale chiunque ha la possibilità di attingere e di aggiungere ciò che desidera con grande libertà, ancor più in seguito alla diffusione dei social networks. I messaggi di odio così disseminati nella rete globale dagli utenti, che talora agiscono confidando nell’anonimato, sono difficili da distinguere da parte delle autorità, rispetto a quanto non accadrebbe nell’ipotesi in cui questi, invece che sparsi nel web, fossero raccolti all’interno di siti specificamente individuati ed individuabili.

Nondimeno, non si deve pensare che ci sia necessariamente un legame tra i contenuti di odio che vengono immessi in rete e l’anonimato. Sebbene la possibilità di celare la propria identità, talora anche servendosi di nomignoli fittizi (nicknames), sia certamente in grado di attenuare certe remore, facendo sentire l’utente più libero di esprimere il proprio pensiero, è altresì vero che non di rado gli autori dei contenuti di odio pubblicati in internet sono individuabili in modo inequivocabile (il riferimento è in

particolar modo ai social networks), e di conseguenza facilmente imputabili per i reati di cui si siano in tal modo resi responsabili.

Internet rischia, quindi, di trasformarsi nel principale strumento mediante il quale la cultura dell’intolleranza ha modo di alimentarsi e diffondersi, diventando per questa via socialmente tollerata soprattutto da parte dei più giovani che, con maggiore facilità, potrebbero lasciarsi convincere ad accettare passivamente tali modalità espressive o addirittura a rendersi partecipi di vere e proprie reti di odio123.

Ovviamente non ci troviamo dinnanzi ad un problema che riguarda solo lo Stato italiano, ma il linguaggio dell’odio ha ormai assunto dimensioni globali, come ben dimostra l’attenzione che in questi anni si sta concentrando a livello sovranazionale attorno a questo tema. Il problema è ancora una volta quello di riuscire a capire quali siano i limiti della libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta come diritto fondamentale anche negli atti sovranazionali che gli Stati hanno provveduto via via a ratificare, ed in quali casi e con quali tecniche si possa intervenire penalmente per rimuovere i contenuti d’odio diffusi mediante le nuove tecnologie, senza che questa attività rischi di sconfinare a sua volta nella censura.

A livello sovranazionale le attività di contrasto al fenomeno dei reati di odio commessi a mezzo di internet sono ancora in fase iniziale, essendo questa una forma di criminalità che solo recentemente ha ampliato le sue capacità lesive adattandosi alla realtà virtuale. Accanto agli interventi di carattere propriamente repressivo, la Comunità internazionale concorda nel riconoscere l’importanza di adottare i più opportuni interventi di tipo preventivo ed educativo. Un primo strumento con il quale si è cercato di far fronte alle nuove forme di criminalità è costituito dalla Convenzione sulla criminalità informatica sottoscritta a Budapest il 23 novembre 2001. Particolare importanza, per il tema qui trattato, assume il Protocollo Addizionale sulla Criminalizzazione di Atti di Natura

123

M. RAVENNA, L’antisemitismo 2.0, quando i social network veicolano espressioni antiebraiche, 2012. Un esempio di questo uso distorto di Internet si è verificato in Francia dove, mediante un social network, era stata creata da parte dei frequentatori del sito una vera e propria catena di commenti dal contenuto antisemita mediante l’hashtag #unbonjuif (fr. Un buon ebreo), a cui ne erano seguiti altri apertamente razzisti. La notizia è consultabile sul sito: http://www.ilpost.it/2013/01/27/il-caso-dei-tweet-antisemiti-in-francia/ oppure nell’evolversi della vicenda su http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/07/12/news/twitter_account_ antisemiti-62850244/

Razzista e Xenofoba Commessi attraverso Sistemi Informatici124, entrato in vigore il 1

marzo del 2006 e non ancora ratificato dall’Italia. Scopo del Protocollo è quello di introdurre nuove fattispecie criminose e di specificare quelle già presenti, guardando in particolar modo agli atti di negazione, minimizzazione, approvazione o giustificazione di genocidi o crimini contro l’umanità.

Secondo quanto si afferma in tale documento, è necessario che <<la legislazione nazionale ed internazionale provvedano a dare delle adeguate risposte ai fenomeni di propaganda di idee razziste e xenofobe realizzate tramite i sistemi informatici>>. Per far fronte a questa nuova forma di criminalità c’è bisogno, anche su questo versante, di una collaborazione a livello sovranazionale tra i diversi Stati; infatti, se con il World Wide Web si è determinato il superamento delle barriere geografiche sul piano della comunicazione tra gli utenti, non si può certo pensare di combattere quelle nuove forme di criminalità che si avvalgono proprio delle potenzialità divulgative offerte dalla rete globale, pretendendo di restare chiusi in un sistema nazionale che non è obiettivamente in grado, da solo, di riuscire a rispondere ad un problema di dimensioni tanto vaste125.

Il Protocollo è però importante anche sotto un altro aspetto dal momento che nell’art. 2 dello stesso si afferma che con l’espressione <<”materiale xenofobico e razzista” dobbiamo intendere ogni scritto, immagine, o ogni altra rappresentazione di idee e teorie che invocano, promuovono, incitano alla discriminazione o alla violenza contro singoli individui o gruppi di persone in ragione della razza, del colore, dell’origine etnica o nazionale, come della religione, se utilizzata in modo pretestuoso per uno di questi fini>>.

Sebbene i discorsi di odio assumano una rilevanza primaria per quanto concerne le modalità mediante le quali la violenza e l'intolleranza, che sono messaggio di base di tali reati, possono essere divulgate, questa non rappresenta l'unica forma mediante la quale l'illecito può essere commesso. Come si desume anche da tale definizione infatti, la divulgazione del materiale incriminato può avvenire secondo le modalità più varie. Anche la pubblicazione di registrazioni audio-visive nelle quali siano sostenute ideologie violente contro certe categorie di persone individuate sulla base di caratteristiche quali

124

Il testo integrale del Protocollo Addizionale alla Convenzione sul Cybercrime è consultabile, esclusivamente in lingua inglese, all’indirizzo: http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/ Html/189.htm

125 R. FLOR, Lotta alla “criminalità informatica” e tutela di “tradizionali” e “nuovi” diritti fondamentali nell’era di Internet, in Riv. Dir. Cont., 2012.

quelle su menzionate, o nelle quali siano rappresentate aggressioni ai danni di tali soggetti, è in grado di integrare gli estremi della fattispecie sanzionata.

Sono un triste esempio di queste ulteriori modalità di incitamento all'odio per il diverso, la vicenda della quale si è occupata la giurisprudenza italiana nel c.d. caso Google c. Vivi Down, nel quale un gruppo di giovanissimi avevano diffuso in rete un filmato in cui commettevano tutta una serie di soprusi ai danni di un loro coetaneo affetto da autismo e, in modo analogo, i non meno gravi episodi di violenza verificatisi ai danni di persone additate come omosessuali o presunte tali, che recentemente hanno avuto per teatro la Russia126.

2. La condanna unanime di ogni forma di discriminazione: la Convenzione di New

Nel documento I reati di espressione a mezzo di internet (pagine 98-103)

Outline

Documenti correlati