Il valore dell’eguaglianza al quale è riconosciuto il ruolo di principio cardine dell’ordinamento italiano, assume particolare rilevanza anche a livello sovranazionale. Numerosi sono gli atti realizzati in seno alle organizzazioni internazionali, sorte all’indo- mani della seconda guerra mondiale, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e la condanna di ogni forma di trasgressione dei diritti così solennemente affermati. Tra questi, il principio di uguaglianza assume sicuramente un ruolo centrale, anche in seguito
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Il caso Vivi Down verrà affrontato con maggiore attenzione nel capitolo V, mentre per quanto riguarda gli episodi di intolleranza ai danni di omosessuali, la Russia è stata al centro di un acceso dibattito dal quale non è rimasta estranea neanche ONU, tanto che lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Ban-ki-Moon, ha avvertito la necessità intervenire con un appello perché sia ostacolata l'escalation di violenza ai danni di queste persone. La critica più aspra che è stata mossa al governo russo, soprattutto alla vigilia delle Olimpiadi invernali tenutesi a Sochi (2014) è quella di non aver voluto affermare fin da subito la più piena riprovazione contro questi episodi, mantenendo invece una posizione ambigua e, in quanto tale, inidonea a scoraggiare questo tipo di comportamenti. La vicenda è stata riportata da tutti i maggiori giornali a livello nazionale e internazionale, solo per citarne alcuni: l’espresso http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/02/03/news/in-russia-e-caccia-ai-gay-1.150979; il New York Times http://thelede.blogs.nytimes.com/2014/02/04/rights-group-releases-video- of-lgbt-attacks-in-russia/; The guadian http://www.theguardian.com/technology/2014/feb/ 11/russia-violent-anti-gay-groups-vkontakte-lgbt-sochi;
alla diffusione delle nuove tecnologie, dal momento che questo potrebbe essere pregiudicato proprio da un uso distorto di internet per favorire la diffusione della cultura dell’intolleranza.
Nell’ambito del diritto internazionale è importante guardare alla più volte citata Convenzione di New York del 1965, nella quale all’art. 1, la discriminazione razziale è definita come qualunque <<distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale o in ogni altro settore della vita pubblica>>.
Dal testo della norma si può facilmente arguire come l’attenzione del legislatore sovranazionale si sia concentrata più che sulle condotte mediante le quali la discriminazione può essere realizzata, sugli effetti che da tale attività derivano o potrebbero derivare, secondo una logica che è propria dei reati di evento e di pericolo, rispetto a quelli di pura condotta. Da ciò discende che la discriminazione razziale, così definita, ben può essere commessa anche mediante l’ausilio delle nuove tecnologie le quali, proprio per l’ampia diffusione che sono in grado di garantire ai contenuti immessi in rete, rendono più agevole una lesione del valore della dignità umana che è alla base dello statuto dell’ONU e che è frustrato dalla pretesa di sottoporre alcuni appartenenti al genere umano ad inaccettabili forme di discriminazione.
L’importanza del principio di non discriminazione è poi ravvisabile anche dalla sua inclusione nell’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani127 del 1948, come diretta espressione del postulato generale della pari dignità di tutti gli uomini.
In conformità a quanto stabilito dalla Convenzione di New York, anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (Cedu) all’art. 14, si afferma che <<il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente
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Si legge nell’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani <<ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.>>
Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione>>.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo tale elenco non deve essere considerato tassativo, dal momento che questo giudice si riserva di individuare caso per caso anche altre forme di discriminazione incompatibili con la Cedu, a fronte di posizioni giuridiche soggettive tutelate come diritti e libertà dalla stessa Convenzione128. Inoltre, il principio di non discriminazione non deve essere inteso in senso assoluto, giacché esso dovrà essere applicato in modo combinato e bilanciato rispetto agli altri diritti sanciti dalla Convenzione stessa, tra i quali, per quanto più ci interessa, la libertà d’espressione sancita dall’art. 10.
La particolare importanza che le nuove tecnologie hanno assunto nella società democratica è stata più volte sottolineata da parte della Corte Edu129. In particolar modo nella sentenza Ahmet Yildirim c. Turchia del 18 settembre 2012, la Corte ha riconosciuto che <<internet è ad oggi uno dei principali strumenti mediante i quali è esercitata la libertà di espressione: esso offre strumenti essenziali per la partecipazione ad attività e relazioni di carattere sociale e politico>>. La Corte di Strasburgo ha specificato a più riprese come certe tipologie di espressione, quali il razzismo, l’omofobia, l’antisemitismo, debbano essere considerate contrarie alla Convenzione data la loro capacità offensiva e quindi punibili in quanto integranti la fattispecie dei discorsi d’odio.
Non numerosissime tuttavia sono le sentenze che, per ora, tale Corte ha pronunciato in relazione al comportamento discriminatorio tenuto dagli utenti in rete. In questi casi il problema che si pone è essenzialmente quello della compatibilità degli strumenti di incriminazione con la libertà di espressione assicurata dall’art. 10 della Cedu la quale, in ogni caso, non può essere considerata come un diritto incomprimibile, dal momento che al 2° comma della Convenzione si preved e espressamente che <<l’esercizio di questa libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla
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Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976. E. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali.
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T. MURPHY – G. Ó CUINN, Works in Progress: New Technologies and the European Court of Human Rights, 10(4) Human Rights Law Review, 2010.
prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui (…)>>.
Un tentativo di individuazione di un giusto punto di equilibrio tra questi due interessi è stato proposto, proprio in materia di discorsi d’odio, con la sentenza Fèret c. Belgio del 2009. In quest’occasione la Corte Edu si è pronunciata contro il presidente di un partito politico belga il quale, nel corso della campagna elettorale, aveva dato diffusione, anche mediante internet, a diversi opuscoli che invitavano ad opporsi alla “islamizzazione del Belgio”. Oggetto della condanna non era in questo caso il programma politico in sé considerato, quanto piuttosto il fatto che in alcuni scritti usati per la propaganda elettorale, la comunità islamica fosse stata presentata come veicolo di criminalità ed interessata solo a sfruttare lo Stato sociale, così da suscitare nel pubblico sentimenti di disprezzo e finanche di odio verso gli stranieri.
Per giunta, secondo la Corte, il fatto che tali discorsi di odio fossero stati pronunciati da un leader politico era in grado di far si che gli stessi sortissero un maggiore impatto sui consociati, rispetto a quanto sarebbe accaduto laddove a pronunciarli fosse stato un cittadino non ricoprente funzioni istituzionali.
Nondimeno nell’ambito del Consiglio d’Europa i testi normativi dedicati all’esercizio della libertà di espressione on-line prestano una scarsa attenzione al fenomeno dei discorsi d’odio. I testi politici adottati nella prima Conferenza dei Ministri Responsabili dei Media e dei Nuovi Servizi di Comunicazione130, nell’ambito del Consiglio d’Europa, non affrontano direttamente il problema dell’incitamento all’odio in internet. Le ragioni di ciò non appaiono chiare se consideriamo che negli ultimi anni è stato registrato crescendo dei discorsi di odio in rete e che il compito della Conferenza era quello di individuare le priorità nella politica europea dei prossimi anni131.
Il problema dei discorsi di odio è, quindi, affrontato in pochi atti tra i quali si ricordano la raccomandazione n. R(97) 20, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 ottobre 1997132, il cui obiettivo è quello di ostacolare la
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La conferenza in questione si è tenuta a Reykjavik nel Maggio del 2009 ed era intitolata, A new notion of media?
131T. MCGONAGLE The Council of Europe against online hate speech: conundrums and challenges.
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Nella raccomandazione è fatto espresso riferimento alla necessità di impedire che i media si rendano partecipi nella divulgazione dei contenuti di odio riaffermando che <<the term "hate speech" shall be understood as covering all forms of expression which spread, incite, promote or justify racial hatred, xenophobia, anti-Semitism or other forms of hatred based on
divulgazione della cultura dell’odio mediante i media riaffermando con forza la condanna contro ogni forma di discriminazione, e il Protocollo Addizionale alla Convenzione sul Cybercrime, relativo alla criminalizzazione degli atti razzisti e xenofobi commessi mediante i sistemi informatici, adottato a Strasburgo il 28 gennaio 2003, in cui all’art. 5 si trova un’espressa condanna di ogni espressione offensiva rivolta contro i terzi in ragione della loro appartenenza ad un certo gruppo etnico, nazionale o religioso.
Più di recente con l’entrata in vigore del Protocollo n. 12 della Cedu, nel 2005, è stata incrementata l’attenzione verso il principio di non discriminazione sebbene, come la dottrina non ha mancato di sottolineare criticamente133, alcuni Stati tra cui l’Italia non abbiano ancora provveduto a ratificare l’atto.
Volgendo ora lo sguardo verso il sistema comunitario, va rilevato come l’Unione Europea si sia impegnata considerevolmente per arginare il fenomeno dell’hate speech, dapprima con l’introduzione del Trattato di Amsterdam in cui, all’art. 13, è affermato il principio di non discriminazione, ed in seguito con la realizzazione della Carta di Nizza nella quale all’art. 21 si dichiara che <<è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali>>.
intolerance, including: intolerance expressed by aggressive nationalism and ethnocentrism, discrimination and hostility against minorities, migrants and people of immigrant origin>>. Il testo della raccomandazione è consultabile esclusivamente in lingua inglese alla pagina: http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/hrpolicy/other_committees/dh-lgbt_docs/ CM_Rec(97)20_en.pdf
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Entrato in vigore il 1° aprile 2005 il Protocollo 12 è stato finora ratificato soltanto da 18 dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa. Anche l’Italia sebbene abbia sottoscritto l’atto non ha ancora provveduto alla sua ratifica. Interessante in proposito il contributo offerto da E. CRIVELLI, Il Protocollo n. 12 Cedu: un’occasione (per ora) mancata per incrementare la tutela antidiscriminatoria, in Scritti in memoria di Alessandra Concaro, Giuffrè, 2012, cit., 138 ss., secondo cui <<per comprendere la novità introdotta dal protocollo n. 12 va ricordato che la Cedu non garantisce un autonomo diritto all’uguaglianza, ma vieta le discriminazioni nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciute dalla Convenzione: si tutela non l’uguaglianza in se, ma l’uguale godimento dei diritti, accogliendo una formulazione che si distacca dal principio generale di uguaglianza enunciato come autonomo diritto dalla maggior parte delle carte costituzionali, tra cui anche quella italiana>>.
Nell’ambito dell’Unione Europea la lotta contro ogni forma di discriminazione e di incitamento al razzismo è realizzata facendo ricorso a strumenti diversi, non solo di carattere legislativo, ma anche educativo al fine di promuovere la cultura informatica134. Nella direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi, si estendono a tutti i mezzi di comunicazione, compreso internet, gli standard minimi di contenuto fissati a livello comunitario, prevedendo tra l’altro anche il divieto di utilizzare questi strumenti per commettere atti di incitamento all’odio in ragione delle differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
Sempre nella stessa direzione si muove la decisione 2008/913/GAI del 28 Novembre 2008 sulla lotta contro talune forme di razzismo e di xenofobia, mediante la quale gli Stati membri sono stati chiamati a predisporre le opportune misure in materia penale al fine di garantire l’effettiva sanzionabilità di queste forme di crimine in qualsiasi modo siano realizzate. Tra i più recenti atti adottati in materia va citata la Risoluzione 2012/2657 (RSP), attraverso la quale il Parlamento ha richiesto un’azione urgente da parte degli Stati membri per combattere il fenomeno dei discorsi d’odio, sia pure nel rispetto della libertà di espressione. Infine, con l’introduzione del Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009 si riafferma, all’art. 3, 3° comma, come tra le finalità dell’Unione vi sia anche quella di combattere l’esclusione sociale ed ogni forma di discriminazione, promuovendo a tal fine i valori della giustizia e della solidarietà.