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Il problema della competenza territoriale

5. Alcuni casi significativi tratti dalla giurisprudenza

5.1. Il problema della competenza territoriale

Tra le nozioni più elementari di diritto che trovano accoglimento negli Stati moderni, si annovera quella secondo cui ogni ordinamento giuridico statuale è caratterizzato da un territorio, sul quale è insediato un popolo sottoposto ad una sovranità. In linea di massima la legislazione penalistica che si sviluppa all’interno di uno Stato è destinata a trovare applicazione o in riferimento al luogo in cui si è verificato l’atto o il fatto da disciplinare, secondo il principio di territorialità, o in relazione alla persona a cui quel fatto è riferibile, sulla base del principio di personalità.

Nonostante la linearità di tali considerazioni, le cose si sono complicate a seguito dell’avvento della rete globale, la quale ha determinato il superamento delle barriere geografiche sul piano della comunicazione, permettendo a chi possa usufruire dell’idoneo dispositivo elettronico di comunicare con chiunque, in qualsiasi parte del mondo si trovi, in “tempo reale”.

Ecco quindi che nel caso in cui sia fatto un uso distorto del web si pone il problema di individuare, oltre che il soggetto attivo, anche l’autorità giudiziaria competente. Per restare nell’ambito del territorio italiano, pensiamo al caso in cui Tizio, residente a Venezia, ma in vacanza a Firenze pubblichi su un sito web Livornese, dei contenuti denigratori ai danni di Caio, residente a Napoli. In questo caso la competenza a giudicare del reato dovrà essere riconosciuta al giudice di Firenze, in base al luogo di commissione del delitto, a quello del Veneto, in considerazione del luogo di residenza dell’autore dell’illecito o, guardando al soggetto passivo, al giudice Campano? O piuttosto, scartando tutte e tre queste ipotesi, si dovrebbe guardare al luogo fisico in cui si trova il server nel quale è contenuto il file del sito web che è stato utilizzato per la commissione del reato, nel nostro esempio Livorno?

Sulla questione ha cercato di far luce la Cassazione penale100 la quale, chiamata a risolvere un conflitto positivo di competenza per territorio sorto in relazione ad un'ipotesi di diffamazione perpetrata a mezzo di internet, ha affermato che il locus

commissi delicti è quello in cui i contenuti denigratori sono recepiti da più fruitori della

rete, e quindi il luogo nel quale si verifica l’attivazione del collegamento, a prescindere dal fatto che il sito web sia stato registrato nel territorio nazionale o all’estero, purché gli utenti abbiano avuto modo di percepire in Italia l’offesa all’altrui onore. Il reato di diffamazione, come osserva la Corte, è un reato di evento il quale si consuma nel momento in cui il contenuto denigratorio è percepito da parte di soggetti terzi rispetto all’agente e alla persona offesa, anche <<se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall’agente>>.

Il provider, in questo caso, mette a disposizione dell’utilizzatore (la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web, il quale è allocato su un server che potrebbe trovarsi ovunque. Nel caso di un giornale telematico i contenuti, inseriti sul sito internet, rimangono lì collocati a disposizione degli utenti che, in qualsiasi momento possono collegarsi al server, per consultarli. Quindi, anche se esiste un luogo nel quale sono depositate le informazioni (il server), questo non coincide con quello di percezione dell’offesa da parte dei terzi e quindi con il luogo di perfezionamento del delitto di diffamazione. L’acceso ad un sito web quale quello di cui si tratta è libero, ciò comporta che l’immissione di un qualsiasi contenuto in rete può essere considerata come una sorta di offerta in incertam personam, dal momento che potenzialmente chiunque, ovunque si trovi, può fruire di tali documenti.

Se quindi il reato di diffamazione si perfeziona nel momento in cui il contenuto denigratorio è percepito da persone diverse dal soggetto passivo, il locus commissi

100

Riportiamo brevemente i fatti del caso. La vicenda ruota attorno dalla pubblicazione di un articolo su un sito internet da parte dell'imputato, altresì amministratore del website. A seguito della querela sporta dalla persona offesa in ragione del contenuto dell'articolo giudicato da questa diffamatorio, la P.G. aveva provveduto ad inviare gli atti sia al P.M. di Sassari, luogo di residenza dell'imputato, che a quello di Roma, il quale ultimo aveva trasmesso gli atti ad Arezzo, luogo in cui si trovava il server utilizzato per la pubblicazione. A fronte del conflitto positivo di competenza per territorio così originatosi, la questione è stata rimessa alla Suprema Corte. (Cassazione pen., sentenza n. 16307, depositata in cancelleria il 20 aprile 2011). Il testo della sentenza è consultabile alla pagina: http://www.penale.it/page.asp?ID Pag=931

delicti, è di conseguenza non quello nel quale l’agente ha espresso l’offesa, bensì quello

nel quale la diffamazione è entrata nella sfera di conoscibilità dei terzi. Nel caso dei reati informatici <<in senso improprio>>, l’autorità giudiziaria competente dovrebbe allora essere individuata guardando al luogo in cui è avvenuto l’accesso alla rete da parte dei visitatori del sito dal momento che l’art. 8 c.p.p. stabilisce che <<la competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato>>.

Sennonché, a ben guardare, tale soluzione non può essere accolta.

La Corte di Cassazione infatti, richiamando i principi già espressi dalla stessa in sede civile101, ha affermato che <<rispetto all’offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell’individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore. Per entrambe le ragioni esposte non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia. Ne consegue che non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall’articolo 8 c.p.p. né quella fissata dall’articolo 9 c.p.p., comma 1°>>.

Allo stesso modo risulta inapplicabile, per le peculiarità del mezzo di diffusione utilizzato, anche la disciplina prevista per i reati di diffamazione a mezzo di stampa, dal momento che questo vorrebbe dire dare un’interpretazione forzata, e quindi inaccettabile, delle locuzioni <<luogo di stampa>> e <<luogo di registrazione>>.

101

Corte di Cass., Sez. Un. civ., 13 ottobre 2009, n. 21661. In questa occasione la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi con riferimento alle domande di risarcimento dei danni riconducibili alla violazione dei diritti della personalità, realizzate dai mezzi di comunicazione di massa (in particolare la televisione). Ha affermato questo giudice <<che competente sull'azione di risarcimento dei danni prodotti da trasmissione televisiva, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., è il giudice del locus commissi delicti, da identificarsi non con il luogo ove è situato lo studio televisivo nel quale si realizza il programma, che costituisce unicamente il luogo ove si consuma l'illecita lesione del diritto, bensì con la sede principale degli affari e degli interessi del danneggiato e quindi con il luogo in cui presumibilmente si verificano gli effetti dannosi negativi, patrimoniali e non patrimoniali, dell'offesa alla reputazione>> La competenza in questi casi deve essere del <<del giudice del luogo di domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso sia diverso, anche del giudice della residenza del danneggiato>> dal momento che <<tale luogo è certamente quello in cui il danneggiato aveva il domicilio al momento della diffusione della notizia o del giudizio lesivi, perché la lesione della reputazione e degli altri beni della persona è correlata all'ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi “svolge la sua personalità” (articolo 2 Costituzione)>>.

Ricapitolando, dal momento che l’art 8 c.p.p. non può trovare applicazione perché non è possibile determinare con precisione in luogo nel quale si è perfezionato il reato di diffamazione, dovremmo volgere lo sguardo alle regole suppletive di cui all’art. 9. Sennonché, essendo difficile stabilire anche il luogo in cui è avvenuta solo parte dell’azione, anche il 1° comma di detto articolo è inservibile. L’unica soluzione appare, quindi, quella di ricorrere ai criteri suppletivi indicati dal 2° comma dell’art. 9 c.p.p., riconoscendo la competenza al giudice del luogo in cui si trova la residenza, la dimora o il domicilio dell’imputato. Inoltre, rifacendosi a quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21661 del 2009, è possibile concludere che nel caso in cui il luogo di residenza, quello di domicilio e di quello in cui si trova la dimora dell’imputato non coincidano, si potrà riconoscere per la definizione della questione la pari competenza di tutti e tre i giudici.

In linea con tale insegnamento, più di recente, si è pronunciato il Tribunale di Bari con la sentenza n. 92 del 26 aprile 2012. Anche questo giudice rifacendosi alla suddetta pronuncia della Suprema Corte ha infatti escluso l’applicabilità degli art, 8 e 9 (quest’ultimo limitatamente al 1° comma) c.p.p. per la determinazione della competenza per territorio in relazione al delitto di diffamazione realizzato a mezzo di internet, in assenza della possibilità di individuare con certezza il locus commissi delicti.

I contenuti inseriti nel web sono oggetto di diffusione globale con una rapidità senza pari, che rende impossibile fare ricorso a criteri oggettivi univoci quali il luogo di immissione della notizia, quello in cui è avvenuta la prima pubblicazione, o il luogo di accesso del primo visitatore. Tutti concetti che forse potevano applicarsi nei primissimi anni di internet, ma che oggi, dato l’utilizzo di tale strumento contemporaneamente da parte di miliardi di persone in ogni parte del mondo, ed il dispiegarsi delle potenzialità dello stesso in termini di maggiore velocità di connessione e di diffusione dei contenuti, appaiono del tutto inadeguati. Anche il giudice del Tribunale di Bari risolve così la questione sottoposta alla sua attenzione richiamando il 2° comma dell’art. 9 c.p.p.

Doveroso, a questo punto, è un sia pur breve riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo, la quale ha affermato che nel caso in cui la diffamazione sia avvenuta a mezzo di internet, data l’impossibilità di circoscrivere territorialmente l’area di diffusione della pubblicazione, non potranno trovare applicazione in materia di competenza giurisdizionale per territorio, le stesse disposizioni previste in materia di carta stampata.

Al fine di garantire un’effettiva tutela a chi sia vittima di diffamazione on-line, è necessario che a questi sia riconosciuta la possibilità di rivolgersi non solo al giudice dello Stato in cui risiede, ai fini della definizione dell’intero danno subito, ma anche, in alternativa e a sua scelta, al giudice di ogni Stato in cui sostiene di aver subito il pregiudizio, instaurando un procedimento in ogni singola nazione per ottenere il risarcimento in ordine al danno subito nella stessa102.

Certamente, nel caso in cui determinati contenuti diffamatori siano pubblicati su un giornale informatico, viene meno l’obbligo per l’offeso di rivolgersi ai giudici dello Stato in cui risiede l’editore per la valutazione dell’intero danno subito. L’autorità giudiziaria competente è infatti individuabile sulla base della residenza del danneggiato il quale in tale modo non sarà costretto a sopportare costi esorbitanti per difendere i propri diritti. Questo dovrebbe inoltre costituire un ulteriore deterrente ai comportamenti di certi editori spregiudicati che spesso contano proprio sulla difficoltà che certi soggetti con limitate capacità economiche (persone fisiche, piccole imprese) hanno a difendersi davanti ad un tribunale estero. Pensiamo, ad esempio, al caso di un’impresa costretta ad affrontare dei costi elevatissimi, non sempre sostenibili, per difendersi all’estero da un’ipotesi di diffamazione on-line realizzata da un concorrente sleale.

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