CAPITOLO 3 DAL PROGETTO BEPS AL D.LGS 142/2018
3. Direttiva ATAD e D.Lgs 142/2018
3.1. Anti-Tax Avoidance Directive
3.1.1. Articolo 7
L’articolo 7 della Direttiva, rubricato “norme sulle società controllate estere”, offre agli Stati membri gli standard minimi che ogni CFC rule deve possedere, fornendo altresì la possibilità di scegliere tra il “transactional approach” e il “jurisdictional approach”.
L’analisi di seguito svolta utilizzerà come parametro di confronto l’articolo 167 del Tuir anteriore alla modifica apportata dal D.Lgs. 142/2018 (decreto di recepimento della Direttiva stessa).
Anzitutto, il par. 1 amplia l’ambito soggettivo di applicazione della normativa CFC, comprendendo anche le stabili organizzazioni, oltre che le imprese di qualsiasi tipo individuate più ampiamente nel termine di “entità”.285
283 Bizioli G., "Taking EU Fundamental Freedoms Seriously- Does the Anti-Tax Avoidance Directive Take
Precedence over the Single Market?", in EC Tax Review, 2017, 3, p. 171.
284 Rolle G., Op. Cit. p. 3152.
Successivamente pone i limiti per le due condizioni previste affinché un’entità o una stabile organizzazione estera possa essere considerata una CFC.
Il requisito del controllo, di cui alla lett. a) del par. 1, appare del tutto nuovo. Il Legislatore comunitario infatti, dispone che, affinché si possa parlare di controllo ai fini della CFC rule, un soggetto residente deve contemporaneamente detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione di oltre il 50 per cento del capitale, o degli utili o dei diritti di voto dell’entità estera. Inoltre, per quanto riguarda la detenzione indiretta della partecipazione, questa può avvenire anche per mezzo di imprese societarie le quali, ai sensi dell’art. 2, par. 1, n. 4 della Direttiva, sono identificabili in quelle entità in cui il medesimo soggetto residente possiede, direttamente o indirettamente, una quota (di capitale, utili o diritti di voto) pari o superiore al 25 per cento.
La normativa italiana invece, includeva anche il controllo di fatto e quello raggiunto attraverso vincoli contrattuali, fornendo quindi una nozione più restrittiva rispetto a quella summenzionata, non comportando così dubbi di conformità.
Successivamente alla lett. b) del par. 1, viene posta la condizione inerente al livello di imposizione, con una formula ridondante la quale impone che, poiché un’entità sia identificata come CFC, deve essere stata assoggettata ad una tassazione effettiva inferiore al 50 per cento di quella che avrebbe virtualmente versato se residente nello Stato membro della controllante.
Tale criterio risulta analogo a quello previsto dal previgente comma 8-bis dell’art. 167, Tuir per le CFC white list, mentre risulta differente rispetto alla disposizione prevista per le CFC black list poiché richiamante il livello di tassazione nominale.
Il paragrafo 2 offre al Legislatore nazionale la scelta tra i due differenti approcci, “transactional” e “jurisdictional”, dalla quale poi ne deriverà la struttura delle esimenti. La lettera a) del paragrafo in esame, riguarda il “transactional approach” il quale prevede l’inclusione nella base imponibile di determinate categorie di redditi (passive income) non distribuiti. Il Legislatore comunitario ne fornisce un elenco esemplificativo, prevedendo le seguenti categorie:
“i) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari; ii) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale; iii) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di azioni;
v) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
vi) redditi da società di fatturazione che percepiscono redditi da vendite e servizi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate, e aggiungono un valore economico scarso o nullo.”286
Successivamente è prevista un’esimente, cioè la disapplicazione della tassazione dei redditi da passive income nel caso in cui questi derivino da “un’attività economica sostanziale”, dimostrata da fatti evidenti come l’impiego di personale, attrezzature e locali. A sua volta, il Legislatore nazionale può decidere di non utilizzare tale esimente se la CFC è localizzata in uno Stato terzo non appartenente allo Spazio Economico Europeo (SEE).
La lettera b) invece, riguarda il “jurisdictional approach”, il quale prevede l’inclusione nella base imponibile del contribuente controllante di tutti i redditi non distribuiti di un’entità estera partecipata generati da “costruzioni non genuine che sono state poste in essere essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”. In merito alla nozione di “costruzione non genuina”, il Legislatore europeo, con una formulazione assai complessa, individua come tale, quella
“entità o (…) stabile organizzazione [che] non possiederebbe gli attivi o non avrebbe assunto i rischi che generano la totalità o una parte dei suoi redditi se non fosse controllata da una società in cui le funzioni significative del personale che sono pertinenti per tali attivi e rischi sono svolte e sono funzionali al fine di generare i redditi della società controllata.”287
Tale definizione sembra divergere da quella pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’UE nel caso Cadbury Schweppes, poiché identifica non una “costruzione di puro artificio” ma bensì una “costruzione non genuina” volta a conseguire un vantaggio fiscale.
Quest’ultima si ha in assenza di coerenza tra le attività svolte dal personale e ciò che l’impresa ha assunto come rischi e attivi. La complicata definizione quindi, sembra introdurre una presunzione in base alla quale le attività anzidette sono attribuibili alla
286 Lett. a), par. 2, art. 7 della Direttiva UE 2016/1164.
società controllante, poiché la CFC, se fosse stata indipendente, non avrebbe assunto i rischi corrispondenti alle attività svolte.288
Secondo alcuni autori289 sembrerebbe che tale nuova definizione ideata dal Legislatore
comunitario sia mirata a meglio definire la nozione data dalla giurisprudenza, andando a contrastare quelle costruzioni che, sebbene siano dotate di sostanza economica, abbiano come unico fine quello di conseguire un indebito vantaggio fiscale. Costruzioni quindi, che presentano incoerenza tra reddito conseguito, attività esercitate e rischi assunti.
Al paragrafo 3 dell’articolo in parola, sono previste delle fattispecie di esclusione dal regime CFC, nel caso si applichi il transactional approach (par. 2, lett. a)). In particolare, i legislatori dei singoli Stati membri possono optare per la disapplicazione del regime qualora l’ammontare dei passive income rappresenti meno di un terzo dei redditi della CFC, oppure qualora si sia in presenza di una CFC di natura finanziaria nella quale meno di un terzo dei passive income derivi da transazioni avvenute con la controllante o con sue imprese associate. Questa disposizione risulta essere più stringente rispetto a quanto previsto dal previgente art. 167, Tuir, in particolare al comma 8-bis, comportando quindi una necessaria modifica alla norma italiana.
L’ultimo paragrafo dell’art. 7 infine, prevede delle circostanze di esclusione nel caso di applicazione del jurisdictional approach (par. 2, lett. b)). In particolare, consente di escludere dal regime in esame, le società di piccole dimensioni, onde evitare la loro sottoposizione ad eccesivi oneri. È prevista quindi la possibilità di disapplicare il regime CFC nel caso in cui gli utili di una “costruzione non genuina”: i) siano inferiori a 750 mila euro, con un’ulteriore soglia riguardante l’importo di redditi non derivanti da scambi inferiore a 75 mila euro; ii) oppure siano inferiori al 10 per cento del totale dei costi sostenuti nell’anno d’imposta in esame. Anche in questo caso il regime italiano risulta meno stringente, non prevedendo alcuna simile disposizione.
288 Tenore M., Il Regime CFC nella proposta di direttiva anti-BEPS alla luce delle recenti modifiche legislative,
in Rivista di diritto tributario (supplemento online), 02 marzo 2016, p. 2.
289 Papotti R. e Molinari F., La disciplina CFC alla prova della Direttiva anti-elusione dell'Unione Europea, in
Corriere tributario, 2016, 34, p. 2615 e Moretti M., Controlled foreign companies: alcune riflessioni di carattere sistematico alla luce delle modifiche introdotte dal decreto internazionalizzazione e dalla legge di stabilità 2016, in Diritto e pratica tributaria internazionale 2017, 3, p. 783.