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Denuncia dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti

CAPITOLO 1 LA NORMATIVA ITALIANA: ART 167, TUIR

1. Problemi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione Europea

1.3. Denuncia dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti

In linea con questo tema è sicuramente la denuncia avanzata dall’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC)209 nella quale viene contestata l’illegittimità dei commi 8-

bis e 8-ter, art. 167 del Tuir rispetto alla libertà di stabilimento (artt. 49 e 54 del TFUE), al principio comunitario di proporzionalità e al diritto a un ricorso effettivo (art. 47, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).

Per quando riguarda la libertà di stabilimento e il principio di proporzionalità la denuncia non sembra discostarsi da quanto criticato dalla dottrina ed esposto in precedenza. Anzitutto, l’AIDC denuncia il fatto che il comma 8-bis stabilisce che qualora una società soddisfi entrambi i criteri previsti nel testo, dia vita ad una presunzione legale di artificiosità, negabile solo attraverso una prova contraria (prevista dal c. 8-ter). Questo comporta una limitazione della libertà di stabilimento in mancanza di ulteriori prove che legittimino la vera sussistenza di una frode, elusione o evasione fiscale, portando inoltre come conseguenza, la disincentivazione all’investimento in Stati membri UE da parte di enti e cittadini italiani.

Per giunta, la dimostrazione chiesta in capo al socio italiano controllante fa sì che l’Amministrazione finanziaria ne sia esonerata. Questa infatti si limiterà a decidere discrezionalmente se le prove fornite dal socio siano idonee per la dimostrazione richiesta dal comma 8-ter.

In ogni caso l’AIDC sottolinea il fatto che basare l’applicazione del comma 8-bis su una presunzione di frode fiscale e operare una restrizione alla libertà di stabilimento va contro anche quanto previsto in sede di giurisprudenza comunitaria. In questa occasione richiama il principio della riconoscibilità dell’attività imprenditoriale svolta dalla sede secondaria nel territorio di un altro Stato membro, con il quale si valuta se si tratti di un’effettiva attività economica o meno.

Prosegue poi denunciando la violazione di altri principi comunitari quali quello della causalità, della proporzionalità e della certezza del diritto. Mentre degli ultimi due se ne è già discusso, il principio di causalità prevede che il potere dello Stato di combattere determinati comportamenti abusivi è limitato dalla necessità che l’intervento statale sia

209 AIDC – Commissione per l’esame della compatibilità di leggi e prassi tributarie italiane con il diritto

dell’Unione Europea, Illegittimità comunitaria del regime fiscale sulle controlled foreign companies (“CFC rules”) applicato a società ed enti con sede in altro stato comunitario, denuncia n. 12 del 16 marzo 2016.

idoneo ad assicurare il fine perseguito, ovvero che punisca esclusivamente i comportamenti abusivi e non anche quelle operazioni prive di un simile scopo.

Le motivazioni fornite in merito alle violazioni di tali principi coincidono con quelle sostenute dalla dottrina. Quindi oltre al fatto che l’onere della prova dovrebbe spettare all’Amministrazione finanziaria, viene criticato il fatto che il giudizio fornito da questa in merito alle prove fornite dal contribuente, risulta meramente discrezionale non potendosi basare su indici oggettivi utili nella determinazione della sussistenza di una costruzione artificiosa. Inoltre, la violazione del principio di proporzionalità viene rilevata anche con riferimento al c. 8-bis, il quale impone al contribuente elevati oneri di disclosure per calcolare e confrontare l’aliquota di tassazione effettiva estera con quella virtuale domestica per ciascun anno d’imposta.

Successivamente l’AIDC discute sulla compatibilità dei commi in parola con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il quale stabilisce il diritto in capo ai contribuenti al ricorso effettivo. Questo comporta l’obbligo per gli Stati membri di fornire ai propri contribuenti idonei strumenti di ricorso giuridicamente effettivi. Quindi qualora l’atto notificato dal Fisco italiano sia immediatamente applicabile oppure abbia un contenuto univoco tale da prefigurare un atto di accertamento, cioè qualora si tratti di atti volti a ledere la sfera giuridica di colui che li riceve, deve essere garantito a quest’ultimo il diritto ad un ricorso effettivo. È chiaro che, nel caso di specie, tale violazione è riscontrabile in sede di risposta negativa all’interpello e successivo avviso di accertamento emanato a causa del mancato adattamento alla prima.

Come già esposto infatti, trattandosi di un interpello “probatorio”, viene preclusa la possibilità, in capo al contribuente, di impugnare un’eventuale risposta negativa. Viene quindi sostenuto che nonostante il contribuente possa iniziare un contradditorio anteriormente alla notifica di accertamento oppure possa fare ricorso successivamente, risulta inaccettabile precludere la possibilità di ricorso di fronte ad un giudice terzo che stabilisca se si tratti di una costruzione artificiosa o meno. In altre parole, il fatto che venga precluso al contribuente il diritto di impugnare l’eventuale risposta negativa ricevuta in sede di interpello, viola il principio al ricorso effettivo.

Infine, l’AIDC propone delle modifiche alla normativa CFC al fine di renderla compatibile con quanto previsto dal diritto comunitario, come per esempio prevedere che l’onere della prova riguardo l’artificiosità della costruzione sia a carico dell’Amministrazione finanziaria, oppure semplicemente permettere di sottoporre il caso a sindacato

giurisdizionale a colui il quale ha ricevuto risposta negativa all’istanza di interpello preventivo.

È da segnalare in ogni caso che, all’epoca della redazione della denuncia, in ambito comunitario erano presenti solamente delle proposte di Direttiva e non anche il testo definitivamente formulato; infatti, con la pubblicazione delle Direttive ATAD 1 e ATAD 2210, di cui si discuterà ampiamente in seguito, l’AIDC ha redatto un’integrazione alla

denuncia, la quale anch’essa sarà oggetto di discussione successiva.

2. Possibile incompatibilità della CFC rule domestica con le Convenzioni