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CAPITOLO 3 DAL PROGETTO BEPS AL D.LGS 142/2018

2. Action 3: regolamentazione delle controllate estere

2.1. Building blocks

2.1.3. Definizione del reddito CFC

Una volta individuata l’esistenza di una CFC, l’OCSE cerca di determinare quale sia il reddito conseguito dalla stessa da imputare per trasparenza ai soci controllanti. Raccomanda che ogni CFC rules contenga delle regole volte a definire il reddito CFC destante preoccupazioni in ambito BEPS. Nel farlo però riconosce la necessità di consentire, alle varie giurisdizioni dei Paesi coinvolti, la progettazione di regole coerenti con le loro politiche fiscali interne. Questo building block infatti, diversamente da tutti gli altri, fornisce agli Stati delle possibili opzioni per la definizione del reddito CFC, il quale utilizzo dipende dal grado di rischio affrontato da ciascun Paese.

Le regole CFC esistenti infatti, utilizzano diversi criteri per l’identificazione del reddito, a seconda delle priorità politiche. Inoltre, queste possono utilizzare due diversi sistemi di inclusione: il primo prevede un’inclusione totale, cioè tutto il reddito prodotto dalla

264 Questa risulta dal rapporto tra l’imposta effettivamente pagata dalla CFC e il reddito totale ricalcolato in

base alle norme dello Stato di residenza della controllante (oppure secondo un principio contabile internazionale).

controllata è considerato reddito CFC; il secondo prevede un’inclusione parziale, cioè solo alcune categorie di reddito sono incluse del reddito CFC.

Le metodologie individuate dall’OCSE sono tre, una basata sull’analisi delle categorie di reddito, una sulla sostanza dell’attività dalla quale si generano i redditi e l’ultima sull’analisi dei “profitti in eccesso”.

Il primo metodo individua il reddito CFC a seconda delle varie categorie reddituali che compongono l’utile complessivo. A sua volta la divisione in categorie reddituale può avvenire in considerazione di tre differenti fattori:

i) Il primo fattore prevede il “categorical approach” che separa le categorie di reddito in base al grado di mobilità che le caratterizza, ovvero in base a quanto facilmente sono trasferibili. Vengono così individuate le seguenti categorie: dividendi, interessi, redditi assicurativi, royalties e proventi derivanti dalla proprietà intellettuale (IP) e proventi derivanti da vendite di beni e servizi;

ii) il secondo fattore prende come riferimento le relazioni intercorrenti tra le parti, valutando il soggetto dal quale i redditi derivano. È classificabile quindi come “CFC income”, il reddito guadagnato da una parte correlata, poiché considerato più facilmente trasferibile;

iii) l’ultimo fattore classifica il reddito in base al luogo in cui questo è stato generato. Il principio alla base di tale approccio consiste nel fatto che il reddito prodotto dalle attività svolte nello Stato della CFC è meno probabile che susciti preoccupazioni sul trasferimento degli utili, mentre il reddito generato in uno Stato terzo è più probabile che sollevi tali preoccupazioni.

Il secondo tipo di analisi valuta la sostanza dell’attività esercitata dalla CFC. Molti Stati infatti, basano la propria CFC rule sulla genuinità o meno dell’attività svolta dalla società controllata, determinata andando ad esaminare la struttura organizzativa sottostante, composta da dipendenti, locali, rischi e quant’altro. Si basa quindi su misure di carattere qualitativo, rispetto a quelle finora viste, comportando sì una maggiore accuratezza ma anche un aumento degli oneri amministrativi. Laddove quindi l’analisi riveli che l’attività svolta dalla CFC non sia genuina, i suoi redditi (o determinate categorie) potranno essere inclusi nel “CFC income”. A sua volta tale analisi potrà essere sviluppata attraverso requisiti limite oppure proporzionali.

Infine, l’ultimo metodo di determinazione del “CFC income”, è un approccio che non trova riscontro in alcuna CFC rules esistente. Si basa sul reddito in eccesso conseguito dalla CFC,

cioè il maggior reddito rispetto al “normal return” che la società guadagnerebbe nello svolgere una certa attività. Tale approccio potrebbe essere rilevante, ad esempio, nel caso di reddito generato da beni immateriali come l’IP. Quindi in questo caso la disapplicazione del regime CFC sarebbe riconosciuta alla società che dimostra di non utilizzare diritti immateriali nello svolgimento della sua attività. L’analisi calcola il rendimento normale266

della società e ne sottrae il reddito realmente guadagnato dalla CFC. La differenza risultante è il reddito in eccesso, il quale verrà considerato “CFC income”.

Indipendentemente dal tipo di analisi usato per definire il reddito CFC, gli Stati devono scegliere se applicare questa analisi utilizzando il “transactional approach” o l’”entity approach”. Come già discusso, il primo ritiene rilevanti ai fini della definizione di “CFC income” soltanto determinate tipologie di reddito, mentre il secondo attribuisce ai soci controllanti tutti i redditi generati dalla CFC (individuata in base ai requisiti summenzionati), proporzionalmente alle loro quote.

Nel documento sono indicati i vantaggi e gli svantaggi derivanti dal loro utilizzo.

L’”entity approach” esige minori adempimenti, includendo tutti i redditi conseguiti dalla CFC, garantendo inoltre maggiore certezza al socio controllante. Dall’altra parte però, poiché sottopone o tutti i redditi o nessuno di essi a regime CFC, si potrebbero verificare situazioni di tassazione eccessiva oppure, al contrario, nulla.

Il “transactional approach”, invece, potrebbe aumentare gli oneri amministrativi e di compliance e allargare la platea di soggetti da sottoporre alle norme CFC (anche se si devono tenere in considerazioni ulteriori elementi previsti dalle norme stesse). Nonostante questi svantaggi però, l’OCSE ritiene che tale approccio sia più accurato poiché in grado di attribuire il reddito CFC coerentemente con gli obiettivi perseguiti dall’Action 3. 267

266 Questo indica il rendimento che un investitore normale si aspetterebbe di ottenere rispetto

all’investimento compiuto.