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CAPITOLO 1 LA NORMATIVA ITALIANA: ART 167, TUIR

2. Possibile incompatibilità della CFC rule domestica con le Convenzioni internazional

2.1. Giurisprudenza italiana

In linea con la giurisprudenza degli altri Stati, le cui Corti continuano a sentenziare pronunce a volte anche diametralmente opposte tra loro,226 si possono individuare due

sentenze della giurisprudenza italiana.

Il fatto che i giudici italiani si siano raramente pronunciati riguardo tale materia è dovuto al fatto che fino al 2015 l’interpello preventivo era obbligatorio, di conseguenza risultava quasi impossibile discuterne di fronte al giudice tributario.

A sostegno della tesi sull’incompatibilità è stata pronunciata la sentenza 12 novembre 2009, n. 170 della Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo. Il caso trattava di una holding cipriota, controllante una società operativa sempre cipriota e con a capo del gruppo una società di capitali italiana. La S.p.a. italiana in seguito alla risposta negativa all’interpello presentato, aveva deciso comunque di non indicare in dichiarazione gli utili conseguiti ma non distribuiti della CFC, per poi successivamente impugnare l’avviso di accertamento notificatole. Tra gli argomenti a favore dell’impugnazione, la controllante

224 Ballancin A., Osservazioni a margine di una sentenza di merito in tema di incompatibilità della disciplina

CFC con le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Ulteriori riflessioni sul rapporto tra la novellata normativa CFC ed il diritto comunitario, in Rivista di diritto tributario, 2010, 3, p. 166; Bracco P., Op. Cit., p. 197.

225 Lang M., CFC Regulation and Double Taxation Treaties, in Bulletin international fiscal documentation,

2003, 2, 55 richiamato da Ballancin A., Il regime di imputazione del reddito delle imprese estere controllate:

profili ricostruttivi nella crisi dei paradigmi impositivi tradizionali, in C. Sacchetto (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, CEDAM, 2016.

226 Lang M., How Significant are the Amendments to the OECD Commentary Adopted after the Conclusion of a

Tax Treaty?, in Diritto e pratica tributaria internazionale, 2002, 10 richiamato da Ballancin A., in C. Sacchetto

italiana sostenne l’incompatibilità dell’art. 167 Tuir con l’art. 7 della Convezione contro le doppie imposizioni intercorrente tra Italia e Cipro (redatta secondo il Modello OCSE). I giudici sostennero che il solo controllo detenuto da una società italiana in un’altra situata in uno Stato contraente, non è idoneo a consentire la tassazione in Italia degli utili conseguiti dalla controllata nell’altro Paese, a meno che questa non sia una stabile organizzazione della controllante, oppure che la controllata abbia una stabile organizzazione in Italia. La CTP di Bergamo sentenziò così a favore della Convenzione internazionale, sostenendo che laddove sia presente un accordo tra l’Italia e lo Stato in cui si trova la CFC, la normativa in materia di controllate estere non può essere applicata. A sostegno della decisione la Commissione tributaria richiamò l’art. 117 Cost. stabilendo la superiorità delle norme convenzionali rispetto alle leggi ordinarie.

La sentenza mosse delle critiche da parte della dottrina,227 la quale sostenne che la CTP

avrebbe dovuto richiamare le posizioni precedentemente sostenute dalla stessa nonché dalla giurisprudenza, comportando una carenza di motivazioni. Ancora più grave il fatto che non sia stata richiamata l’interpretazione nel Commentario OCSE, la quale, come già detto, sostiene la tesi opposta.

Con riferimento a quest’ultima linea di pensiero si è espressa invece la Suprema Corte di Cassazione, riguardo un caso analogo, nella Sentenza n. 25281 del 16 dicembre 2015. La Cassazione ha quindi sostenuto la legittimità dell’applicazione della CFC legislation anche in presenza di Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

Gli Ermellini alla base della loro decisione hanno posto la clausola del beneficiario effettivo di cui all’art. 10, par. 2 del Modello OCSE, la quale prevede che un soggetto, per poter beneficiare degli accordi bilaterali, deve rivestire il ruolo del beneficiario effettivo. Sostanzialmente è il soggetto che sopporta il rischio della transazione e che ha effettivamente il potere di disporre del flusso reddituale in oggetto. A livello OCSE si sostiene che non è beneficiario effettivo il soggetto che agisce come semplice fiduciario/agente di qualcun altro, cioè un soggetto che si limita ad incassare il dividendo e a riversarlo a qualcun altro. Quindi il beneficiario effettivo è quel soggetto che per esempio, data la residenza in un Paese non legato da una convenzione con lo Stato nel

227 De’ Capitani di Vimercate P., “La CTP di Bergamo dichiara l’incompatibilità del regime CFC con le

disposizioni delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni”, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2010, 1, p. 85 e ss.

quale viene generato il flusso reddituale, potrebbe interporre un altro soggetto che si trova in un paese legato da una convenzione favorevole allo Stato della fonte.

A tale clausola generale i giudici di legittimità hanno attribuito una finalità antiabuso volta ad impedire quelle azioni atte a ricavare profitto dall’autolimitazione (“self restraint”) del potere impositivo dello Stato, dovuto agli accordi bilaterali. È stato sostenuto infatti che questa deve essere adempiuta laddove il diritto convenzionale non sia abusato cioè qualora si verifichino situazioni di doppia non imposizione.

In merito a questo, la dottrina228 ha evidenziato che tale situazione non si verificherebbe

in ogni caso, giacché la CFC rule prevede esclusivamente una tassazione anticipata degli utili conseguiti dalla controllata estera. Quindi, a prescindere dall’applicazione o meno della normativa in esame, il nostro ordinamento prevedrebbe comunque una loro tassazione (integrale) anche se con tempistiche diverse.

È stata mossa una critica anche con riguardo al richiamo del beneficiario effettivo come clausola generale antiabuso, in quanto non sembra chiara l’interpretazione ad essa data ai fini del caso in esame, soprattutto riguardo la compatibilità tra norme convenzionali e norma CFC. La dottrina infatti ha sostenuto che il riferimento a tale clausola non sembra essere del tutto corretto, tenendo conto del fatto che, a favore della tesi sulla compatibilità, risultano esserci molte altre considerazioni interpretative di maggior rilevanza (precedentemente discusse).229

È evidente che la questione sulla compatibilità della normativa CFC italiana con il diritto convenzionale, ma anche comunitario, rimane aperta, poiché il materiale giurisprudenziale fornito dai giudici italiani risulta sia scarso che in contraddizione. Alla luce di tutte le considerazioni fatte finora appare più che necessario un intervento chiarificatore ad opera sia della Legislazione interna che comunitaria.

228 Zorzi G., Compatibilità della normativa Cfc con le convenzioni contro le doppie imposizioni – commento,

in Il Fisco, 2016, 6, p. 561.

229 Della Valle E., La normativa CFC è compatibile con il diritto UE e con i trattati contro le doppie imposizioni

- La normativa CFC al "test" della Suprema Corte, in GT – Riv. Giur. Trib., 2016, 4, p. 306 e Pitrone F., La soluzione della Corte di Cassazione alla pianificazione fiscale aggressiva: l’utilizzo della clausola del beneficiario effettivo quale norma generale antiabuso, 13/01/2016, in www.dirittobancario.it

3. Riflessioni sulla conformità della disciplina al principio costituzionale della