• Non ci sono risultati.

La fase ascendente nel diritto interno: evoluzione normativa della partecipazione di Stato e regioni alla elaborazione degli atti normativi europei

Capitolo 3: La fase ascendente statale e regionale nel diritto interno: evoluzione normativa e individuazione delle best practices

3.1. La fase ascendente nel diritto interno: evoluzione normativa della partecipazione di Stato e regioni alla elaborazione degli atti normativi europei

Dal sistema emergenziale ad un meccanismo di partecipazione e adeguamento sistematico: la previsione di una legge comunitaria statale; - 3.2.1. La fase ascendente nella Legge La Pergola; - 3.3. Il riconoscimento costituzionale della fase ascendente: la riforma dell’articolo 117 della Costituzione; - 3.3.1. La prima fase attuativa del riformato articolo 117: la Legge 131/2003; - 3.3.2. Il completamento dell’attuazione dell’articolo 117, comma 5, della Costituzione: la riforma della Legge La Pergola; - 3.4. Una possibile svolta alla luce del Trattato di Lisbona, la nuova disciplina per la partecipazione dell’Italia alla formazione e attuazione delle politiche dell’Unione europea: la Legge 24 dicembre 2012, n. 234; - 3.5. La necessità di una partecipazione sistematica delle regioni: la nascita delle leggi comunitarie regionali.

3.1. La fase ascendente nel diritto interno: evoluzione normativa della partecipazione di Stato e regioni alla elaborazione degli atti normativi europei

Dopo aver analizzato lo sviluppo del processo di regionalizzazione in europa e l’evoluzione degli strumenti predisposti dall’ordinamento europeo, finalizzati alla partecipazione dei livelli di governo substatali, in particolare delle regioni italiane, alla elaborazione degli atti normativi dell’Unione, occorre ora orientare l’indagine sui meccanismi predisposti dall’ordinamento interno a tal fine.

Sembra opportuno quindi muovere da un inquadramento, in un ottica diacronica, della normativa in tema di fase ascendente sia dello Stato che delle regioni, per poi concentrarsi specificamente sulla questione relativa allo sviluppo della partecipazione regionale, e quindi degli strumenti predisposti direttamente dalle regioni, alla fase ascendente.

Quest’ultima verrà analizzata sia nel suo esercizio in maniera diretta, sia in maniera indiretta, ovvero attraverso strumenti di cooperazione con lo Stato centrale.

L’evoluzione della normativa statale e regionale in materia di rapporti con l’Unione europea è caratterizzata da due differenti linee guida.

Una prima riguarda la disciplina della partecipazione dei rispettivi livelli di governo al momento della elaborazione delle politiche europee, ovvero la fase ascendente.

La seconda, invece, è qualificata dalla focalizzazione sulla fase discendente del diritto europeo, quindi sulla disciplina della fase attuativa di quest’ultimo sia a livello statale che regionale.

Nella indagine sull’evoluzione della fase ascendente, per esigenze di chiarezza e completezza di analisi, almeno in un primo momento, vi sono brevi cenni anche allo sviluppo degli strumenti predisposti per l’esercizio della fase attuativa del diritto europeo.

Quella che apparentemente può sembrare una digressione, rispetto all’argomento specifico della ricerca, si rende tuttavia necessaria per la strettissima connessione tra le due fasi, almeno nei primi momenti evolutivi della fase ascendente.

La interconnessione tra le due fasi si rivela, infatti sotto molteplici aspetti. Vi è da considerare, innanzitutto, la prodromicità, almeno in linea teorica vista la scarsa attività di fase ascendente svolta in concreto, della fase ascendente rispetto alla discendente, in relazione all’efficacia di quest’ultima, sulla base di un buon espletamento della prima.

L’europa infatti, come noto, emana norme che hanno immediatamente efficacia obbligatoria nei singoli Stati membri, ma se per i Regolamenti non vi è bisogno di alcuna azione necessaria, né legislativa né amministrativa a livello statale o regionale, essendo richiesta talvolta solo l’adozione di mere misure applicative sovente adottate per via regolamentare134, per le Direttive, salvo che per le quelle self

executing, è, al contrario, necessaria una attività di recepimento da parte dello Stato

membro135, da attuarsi ovviamente nel rispetto della potestà legislativa Stato-Regioni così come stabilita dall’articolo 117 della Costituzione.

134 L’articolo 17, comma 1 lett. a) della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che : “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare: a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi nonché dei regolamenti comunitari”.

135 La Corte Costituzionale a partire dalla sentenza 168/1991, ha stabilito l’efficacia diretta nel nostro ordinamento per le direttive cosiddette self executing, precisando infatti che “per le direttive, in particolare, occorre far riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità

Dalla ratifica del Trattato di Roma, si è assistito gradualmente allo sviluppo di una problematica all’interno del nostro ordinamento, ovvero all’incapacità di svolgere un processo di attuazione tempestiva e di recepimento organico degli obblighi comunitari.

Per diverso tempo, infatti, il nostro Paese ha provveduto in maniera frammentaria e inadeguata alla conformazione dell’ordinamento interno agli obblighi europei, oltre a non prevedere alcun tipo di meccanismo partecipativo istituzionalizzato dello Stato e delle regioni durante la fase di elaborazione del diritto europeo136.

La problematica relativa ai profili di responsabilità dello Stato centrale in caso di inadempimento agli obblighi europei e la iniziale “cecità regionale” della Comunità europea, hanno fatto si che ad avvertire primariamente la necessità della predisposizione di strumenti adeguati al fine dell’adeguamento del nostro ordinamento a quello europeo, fosse lo Stato.

Un primo, seppur timido, segnale di una acquisita sensibilità istituzionale nei confronti del problema, si è avuto con l’adozione della legge 16 aprile 1987, n. 183 (cosiddetta “Legge Fabbri”)137.

europee, che - interpretando l'art. 189 del Trattato di Roma sul carattere vincolante delle direttive per gli Stati membri - ha da tempo elaborato principi molto puntuali, ritenendo che "in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito la direttiva nel causa n. 31/87; sentenza 8 ottobre 1987, in causa n. 80/86; sentenza 24 marzo 1987, in causa n. 286/85). In particolare in quest'ultima pronuncia diritto nazionale sia che l'abbia recepita in modo inadeguato" (sentenza 22 giugno 1989, in causa n. 103/88; sentenza 20 settembre 1988, in cui la Corte del Lussemburgo ha puntualizzato che la disposizione della direttiva che risponda ai presupposti suddetti possa essere invocata dal singolo innanzi al giudice nazionale onde far disapplicare qualsiasi norma di diritto interno non conforme a detto articolo”; per una definizione generale di direttiva self executing vedi F. MERUSI –M.CLARICH, Direttiva, (ad vocem in Enc. Giur.), Roma, p. 7; sul punto vedi anche B. CONFORTI, In tema di applicabilità diretta delle direttive dell’Unione europea, in N. Parisi – M. Fumagalli Meraviglia – A. Santini – D. Rinoldi (a cura di), Scritti in onore di Ugo Draetta, Napoli, 2011, pp. 155 ss.

136 A. CELOTTO, Legge Comunitaria, (ad vocem in Enc. Giur.), Roma, 1995, p. 2; specificamente sulla mancanza di normativa in materia di fase ascendente regionale vedi G.TESAURO,

Partecipazione delle Regioni alla formazione delle norme comunitarie, in Quaderni Regionali, 1989,

pp. 28 ss., sottolinea che “il ruolo delle Regioni nel processo di formazione delle norme comunitarie è stato oggetto più di auspici che di analisi di norme, per il semplice motivo che norme non ce n’erano, fatta eccezione per qualche disposizione ricercata col lanternino da pazienti giuristi”; G.CONTALDI,

La disciplina della partecipazione italiana ai processi normativi comunitari alla luce della riforma della legge La Pergola, in Diritto dell’Unione Europea, 2005, pp. 515 ss.

Con essa è stato istituito il “Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie” e sono stati definiti meccanismi per una maggiore partecipazione, mediante la previsione di modalità di comunicazione degli atti comunitari nei confronti sia del Parlamento che delle regioni e delle province autonome.

Nell’ottica dello sviluppo della fase ascendente, statale e regionale, questa previsione risulta di notevole interesse138.

E’ stato stabilito specificamente dall’articolo 9 della legge, che le proposte di Regolamenti, di Raccomandazioni e di Direttive delle Comunità europee fossero comunicate dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal ministro delegato al coordinamento delle politiche comunitarie, alle Camere, alle regioni, sia a statuto speciale che ordinario, ed alle province autonome, affinché potessero presentare osservazioni139.

Quanto ai rapporti diretti tra le regioni e le istituzioni comunitarie, si è assistito ad una loro evoluzione nel tempo. Si è partiti da una loro assimilazione ai rapporti internazionali140 passando ad un successivo inquadramento in una categoria sui

generis, che ha lasciato quindi alle regioni un maggior margine di manovra141.

Il d.P.R. n. 616/1977142 - che in generale prevedeva il trasferimento di funzioni amministrative nei settori dell’ordinamento e organizzazione amministrativa, dei servizi sociali, dello sviluppo economico e dell’assetto ed utilizzazione del territorio - all’articolo 4 riservava, infatti, allo Stato, anche nelle materie di competenza regionale, le funzioni che riguardavano i rapporti con la Comunità europea143.

138 G.TESAURO, Partecipazione delle Regioni, cit., p. 29; contra R. MONACO, Politica

regionale comunitaria e Regioni, in Quaderni Regionali, 1989, p. 20, sostiene che “si deve subito

osservare che sul terreno pratico, questo esame preventivo degli atti comunitari da parte delle regioni non è destinato a sortire effetti concreti. Infatti le eventuali osservazioni sul testo degli atti od anche sulla loro opportunità nel quadro della salvaguardia degli interessi delle regioni devono passare al filtro degli organi di governo competenti, i quali, come è ovvio, hanno larghi poteri discrezionali in ordine alla valutazione delle osservazioni stesse. Cosicché può accadere che, attraverso il sito governativo, e nella sequela di passaggi che esse sono destinate a subire, le osservazioni perdano gradatamente la loro intensità e la loro possibilità di recezione o quantomeno di valutazione nelle sedi finali”.

139 G.TESAURO, Partecipazione delle Regioni, cit., p. 29.

140 Sull’inesistenza di una distinzione nel diritto interno tra internazionale e comunitario vedi F. MUSIO, Comunità europea, Stato e regione, cit., pp.152 ss.

141

T. GROPPI, I rapporti tra stato e regioni nel contesto dell’Unione europea, in L. AMMANNATI –T.GROPPI, La potestà legislativa tra stato e regioni, Milano, 2003, pp. 18 ss.

142 Adottato in attuazione della delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382 .

143

Vedi A.ANZON, I poteri delle regioni dopo la riforma costituzionale, Torino, 2002, pp.162 ss.

Il comma 2 del medesimo articolo permetteva agli enti territoriali di svolgere, nelle materie di propria competenza, attività di promozione all’estero, dovendo tuttavia siglare una preventiva intesa con il Governo.

Solo con l’approvazione della legge 22 febbraio 1994, n. 146, le regioni hanno avuto la libertà di svolgere attività promozionali all’estero, nelle materie di propria competenza, senza alcuna preventiva intesa con il Governo, per poi vedere ridisegnato il proprio potere estero con il d.P.R. 31 marzo 1994, che ha consentito loro di sviluppare liberamente rapporti con uffici, organismi e istituzioni comunitarie144. Tali disposizioni, che disciplinano una fase ascendente ‘embrionale’, acquistano una sensibile rilevanza perché, nell’analisi dello sviluppo dei rapporti tra Italia e Unione europea, la fase ascendente ricopre un ruolo significativo essendo necessaria e prodromica all’esercizio di una fase discendente efficace.

Questo cammino in parallelo delle due fasi, che pur si sono sviluppate in modi e tempi differenti, è la cornice entro la quale disegnare lo sviluppo della normativa.

Ciò posto, venendo al punto di vista del recepimento del diritto comunitario, la disciplina appariva ancora disorganica e costituiva una sostanziale sanatoria delle inadempienze che si erano accumulate negli anni145.

Per quanto concerne il punto di vista regionale sulla questione della attuazione del diritto europeo, questa era disciplinata, per le regioni a statuto speciale, dalla legge Fabbri, ove era prevista in capo a loro la possibilità di recepire immediatamente le Direttive nelle materie di competenza esclusiva146, mentre le

144 Per comprendere come sia stata lenta l’evoluzione del rapporto tra regioni e Comunità europea, si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 20/1997, con cui la Corte ha rigettato la richiesta di referendum abrogativo presentata da alcune regioni relativamente alle previsioni del comma 1, dell’articolo 4 del d.P.R. n. 616/1977, sostenendo che “l’insieme delle funzioni che lo Stato è chiamato a esercitare nei rapporti con la Comunità europea non può essere rimosso e globalmente assunto dalla regioni, ostandovi il principio di unità e indivisibilità della Repubblica”, tale disposizione è stata poi abrogata dal legislatore con la legge 15 marzo 1997, n. 59.

145 A. TIZZANO, Verso nuove procedure per l’esecuzione degli obblighi comunitari: il

“progetto La Pergola”, in A. Tizzano (a cura di), Cronache comunitarie, in Il foro italiano, 1988, IV,

p. 492, sottolinea che il solo risultato concreto di tale legge fosse la sanatoria attraverso il conferimento di una delega legislativa al governo per l’attuazione di un centinaio di direttive a termine ampiamente scaduto; contra G.CATTARINO, Dalla legge Fabbri alla legge La Pergola e alla

prima legge comunitaria, in Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 1991, pp. 969 ss.,

secondo il quale la legge Fabbri “ha istituito per la prima un sistema di adeguamento permanente del diritto interno a quello comunitario, con la previsione dei soggetti competenti per tale adeguamento e dei procedimenti da seguire per conformare l’ordinamento interno agli atti normativi comunitari”.

146

F.CUOCOLO, Competenze regionali e ordinamento comunitario, in Quaderni Regionali, 1989, p. 8; Sul punto vedi anche G.STROZZI, Partecipazione delle Regioni all’elaborazione delle

regioni a statuto ordinario, trovavano la disciplina della loro competenza alla fase attuativa del diritto europeo, negli articoli 6 e 7 del d.P.R. 616 del 1977.

Il decreto sanciva, relativamente a direttive e regolamenti comunitari in tali materie, il trasferimento delle funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti della Comunità economica europea, nonché all'attuazione delle sue Direttive fatte proprie dallo Stato con legge che indicasse espressamente le norme di principio.

Era inoltre previsto un potere sostitutivo del Governo, in caso di una accertata inattività degli organi regionali che comportasse inadempimenti agli obblighi comunitari147.

Le regioni avevano potestà legislativa, in tutte le materie delegate dallo Stato, all’emanazione di norme di organizzazione o di spesa, oltre a disciplinare legislativamente l’affidamento agli enti locali dell’esercizio delle relative funzioni.

La situazione che si era venuta a verificare era un appalesamento dell’inefficienza dei sistemi di recepimento del diritto europeo e una accertata scarsità degli strumenti di partecipazione alla elaborazione delle normative europee148. Questi rilievi problematici riguardavano sia lo Stato che le regioni, e dunque era divenuta necessaria una ‘inversione di rotta’ relativamente allo svolgimento delle due fasi, da parte di tutti i livelli di governo149.

Visto che il superamento del fenomeno della ‘cecità regionale’ dell’europa ha potuto registrare una evoluzione, seppur incompleta, in tempi abbastanza recenti, la necessità di una predispozione di differenti e più efficaci strumenti per interfacciarsi con l’ordinamento europeo è stata avvertita prima dallo Stato e, solo successivamente, dalle regioni, sia a statuto ordinario che speciale.

politiche comunitarie e loro competenza all’attuazione degli atti comunitari alla luce della legge n. 86 del 1989, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2005, pp. 116 ss.

147 Il d.P.R. 616/1977, articolo 6, comma 3, recita “Il Governo della Repubblica, in caso di accertata inattività degli organi regionali che comporti inadempimenti agli obblighi comunitari, può prescrivere con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo termine per provvedere. Qualora la inattività degli organi regionali perduri dopo la scadenza di tale termine, il Consiglio dei Ministri può adottare i provvedimenti necessari in sostituzione dell'amministrazione regionale”.

148 Per un quadro chiaro della situazione di inefficienza sia della fase di partecipazione alla elaborazione degli atti normativi europei, che di quella attuativa degli obblighi da essi imposti, si veda A.TIZZANO, I meccanismi della «legge La Pergola»: una radiografia dei problemi di funzionamento, in Il Foro Italiano, vol. V, 1999, p. 303, il quale definisce come “disastrosa” la situazione antecedente all’entrata in vigore della legge La Pergola.

Lo strumento scelto per poter migliorare lo svolgimento delle due fasi è stato, sia a livello statale che, successivamente, a livello regionale, quello della legge comunitaria.

3.2. Dal sistema emergenziale ad un meccanismo di adeguamento e

Outline

Documenti correlati