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I meccanismi di tutela giurisdizionale delle regioni

Capitolo 2: La partecipazione delle Regioni ai processi decisionali relativi alle normative europee alla luce del Trattato di Lisbona

2.4. Dalla Convenzione europea alle novità introdotte dal Trattato di Lisbona nel rapporto tra Europa e regioni

2.4.2. I meccanismi di tutela giurisdizionale delle regioni

Prima di passare all’analisi dei meccanismi di tutela giurisdizionale delle regioni previsti dal Trattato di Lisbona e del nuovo ruolo che il Comitato delle Regioni svolge in tal senso, sembra opportuno ricostruire brevemente il quadro giuridico di riferimento in relazione all’accesso alla Corte di Giustizia Europea da parte degli enti territoriali.

A fronte del sempre crescente numero di regioni dotate di poteri legislativi in europa, e specificamente con riguardo al caso italiano, con la nuova ripartizione di potestà legislativa Stato-Regioni modificata dalla riforma del Titolo V del 2001, si pone un problema.

Avendo le regioni competenza legislativa, in alcuni casi esclusiva, nelle materie che riguardano l’attuazione di provvedimenti europei, ci si è posti l’interrogativo se dovesse essere riconosciuta loro una diretta responsabilità in caso di mancata attuazione del diritto europeo.

Se la risposta a tale quesito avesse avuto esito positivo, avremmo dovuto di conseguenza immaginare di creare un sistema di tutela giurisdizionale europeo che consentisse alle regioni una legittimazione attiva ad impugnare tali atti europei dinanzi alla Corte di Giustizia.

Al contrario, allo stato attuale della disciplina prevista dai Trattati, la responsabilità nei confronti dell’Unione europea è riconosciuta unicamente in capo allo Stato, con la conseguenza che il riconoscimento delle regioni quali ricorrenti privilegiati o semi privilegiati128 per l’accesso dinanzi alla Corte non si è mai verificato.

Le regioni possono adire la Corte di Giustizia, ma come semplici persone giuridiche, ovvero come ricorrenti non privilegiati, sulla base dell’articolo 263, comma 4, TFUE.

In sostanza è richiesto per l’impugnazione di un atto da loro ritenuto illegittimo, che questo le riguardi direttamente ed individualmente.

Come vedremo più specificamente in seguito, il mancato riconoscimento dello

status di ricorrenti privilegiati alle regioni, è uno dei punti cardine intorno ai quali

delineare il completamento del processo di regionalizzazione europea.

La Corte di Giustizia europea per costante orientamento giurisprudenziale ha sempre mantenuto una posizione di netta fermezza su questo punto.

Prima di analizzare le motivazioni che la Corte ha posto alla base di un siffatto orientamento, occorre comunque sottolineare che questo, oltre ad un mancato mutamento di prospettiva da parte dei Trattati, sembra essere un retaggio di quella cecità regionale, che aveva portato la Comunità europea, in un primo momento, a considerare le regioni alla stregua di persone giuridiche.

Una prima motivazione individuata dalla Corte è relativa al fatto che la nozione di Stato membro non possa essere estesa alle regioni, indipendentemente dalla portata delle competenze attribuite a queste ultime, perché verrebbe compromesso o messo in pericolo l’equilibrio istituzionale voluto dai Trattati129.

Una seconda motivazione attiene alla tematica del necessario parallelismo tra

128 I ricorrenti privilegiati, considerata la mancanza di limiti al loro potere di agire e di condizioni di ricevibilità dei ricorsi da loro proponibili, ai sensi dell’art. 263, comma 2, TFUE, sono gli Stati membri, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Ricorrenti semi-privilegiati sono invece la Banca Centrale Europea, la Corte dei Conti e il Comitato delle Regioni, la legittimazione ad agire di questi organi non è a carattere generale, bensì limitata alla salvaguardia delle proprie prerogative, come stabilito dall’art. 263, comma 3, TFUE. La conseguenza è che tali soggetti possono agire e proporre ricorso unicamente nel caso in cui l’atto impugnato abbia pregiudicato l’esercizio di una loro attribuzione, ovvero abbia invaso la sfera riservata alle loro competenze o ne pregiudichi l’esercizio.

129

CGUE, Ord. 21 marzo 1997, Region Wallonie c. Commissione, causa C-95/97; sul punto vedi V. ONIDA –M.CARTABIA, Le Regioni e l’Unione europea, cit., p. 1022.

legittimazione ad adire la Corte e responsabilità per le condanne dovute ad inadempimento degli obblighi europei.

Come in precedenza detto, responsabile di eventuali inadempimenti agli obblighi previsti dall’Unione è solo lo Stato.

Il dato di fatto è che comunque le regioni non hanno alcuna responsabilità diretta nei confronti dell’Unione europea e tale regime giustifica, a giudizio della Corte, la conseguenziale mancanza di legittimazione attiva, se non quella generale riconosciuta a ogni persona fisica e giuridica dell’Unione.

In Italia si è cercato di porre rimedio a tale mancanza attraverso la previsione di un innovativo strumento disciplinato dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (cosiddetta legge La Loggia), di attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione.

L'articolo 5 comma 2 della legge de qua stabilisce che nelle materie di competenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, il Governo possa proporre ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia avverso atti comunitari lesivi e ritenuti illegittimi, su richiesta di una delle regioni o delle Province autonome, e sia invece tenuto a proporre ricorso qualora questa richiesta sia votata in sede di Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta130.

La disposizione esaminata non amplia l'accesso delle regioni alla Corte di Giustizia, tuttavia crea e disciplina un passaggio prodromico a livello nazionale che costituisce di fatto un potere di impulso delle regioni nei confronti del governo e un importante strumento che possa costituire una sorta di ‘diga’ avverso eventuali atti illegittimi lesivi delle prerogative regionali da parte dell’Unione131.

Una volta accennato al regime di accesso generale delle regioni italiane alla Corte di Giustizia, occorre ora affrontare il nodo relativo alle innovazioni apportate in tal senso dal Trattato di Lisbona.

130 Un istituto comparabile a quello previsto dalla Legge La Loggia si riscontra in Spagna. La questione è sollevata dalle Comunità Autonome in sede di Conferencia para asuntos comunitarios attraverso l’Acuerdo entre la Administracion general del Estado y las Administraciones de las

Comunidades Autonomas relativo a la partecipacion de las Comunidades Autonomas en los procedimientos ante el Tribunal de Justicia de las Comunidades Europeas, in BOE 2 aprile 1998,

n.79.

131 Per una completa disamina delle principali posizioni della dottrina circa la reale utilità dell’istituto si rinvia a V. ONIDA –M.CARTABIA, Le Regioni e l’Unione europea, cit., pp. 1024 ss; A. RUGGERI, Integrazione europea e ruolo delle autonomie territoriali (lineamenti di un “modello” e

delle sue possibili realizzazioni), in www.federalismi.it; A. SCRIMALI, Le Regioni italiane e la

formazione del diritto comunitario nell’attuazione del Titolo V della Costituzione, in Quaderni Regionali, 2005, pp. 382 ss.

In particolare, come in precedenza riportato, la questione attiene alle novità introdotte in materia di controllo giurisdizionale relativamente al rispetto del principio di sussidiarietà. Sotto tale profilo occorre esaminare due differenti vie attraverso le quali le regioni possono, seppur indirettamente, salvaguardare le proprie prerogative da eventuali atti illegittimi dell’Unione europea.

Una prima forma di esercizio della tutela giurisdizionale per il rispetto del principio di sussidiarietà da parte dell’Unione europea, è prevista all’articolo 8, par. 2, del Protocollo sulla sussidiarietà. E’ riconosciuta dalla disposizione la prerogativa in capo al Comitato delle Regioni di presentare ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia europea, nell’ipotesi in cui un atto legislativo, per il quale sia richiesta la consultazione del CdR, sia ritenuto non conforme al principio di sussidiarietà.

Occorre precisare che è opinione prevalente che l’attribuzione Comitato delle Regioni di un controllo generale sul rispetto del principio di sussidiarietà, renda la legittimazione ad impugnare atti dinanzi alla Corte da parte dello stesso, riferibile non solo agli atti in cui è previsto il parere obbligatorio dello stesso, bensì a tutti gli atti che ricadano su interessi regionali sui quali il Comitato può esprimere pareri di iniziativa o può vedersi richiedere pareri facoltativi.

Per inquadrare correttamente il ruolo del Comitato nell’ambito della tutela giurisdizionale del principio di sussidiarietà, sembra utile richiamare un elemento cui già si è fatto riferimento in precedenza, ovvero il fatto che il Trattato di Lisbona, seppur ha previsto una legittimazione attiva del CdR in ambito di sussidiarietà, non ha comunque in alcun modo inteso ampliare la tutela giurisdizionale delle regioni.

A conferma di tale prospettiva vi è il requisito dell’indipendenza dei membri del Comitato, che, come abbiamo visto, pur essendo espressione delle realtà territoriali e locali dei singoli Stati membri, in ambito di CdR agiscono in totale autonomia.

Non sembra quindi ipotizzabile un utilizzo strumentale da parte delle singole regioni che abbiano in seno al Comitato un loro rappresentante del meccanismo previsto dal Trattato di Lisbona, perché in ogni caso, qualora l’interesse da tutelare fosse della singola regione e non riguardasse in generale la tematica della sussidiarietà, vi sarebbe comunque una maggioranza da creare in seno al Comitato per deliberare l’impugnazione dell’atto ritenuto lesivo.

Rispetto alla seconda forma di tutela giurisdizionale indiretta delle regioni, si deve fare qui riferimento alla procedura che vede come protagonisti i Parlamenti nazionali. L’articolo 8 , par. 1 del Protocollo sulla sussidiarietà132, prevede che attraverso una propria deliberazione, questi ultimi possano obbligare il governo all’impugnazione dinanzi alla Corte di Giustizia di un atto che sia ritenuto lesivo del principio di sussidiarietà133.

In ambito di tale procedura sembra possibile richiamare quanto detto in precedenza circa le regioni con poteri legislativi e la possibilità riconosciuta alle loro assemblee elettive di essere chiamate a partecipare alla fase di preparazione dell’atto legislativo europeo.

Se si riconosce infatti alle regioni un tale ruolo in ambito di partecipazione alla elaborazione delle normative europee, non sembrano sussistere motivi per non includerle nella consultazione ex articolo 8, par. 1.

Sembra quindi che si possa ritenere che la disposizione non si riferisca solo ai Parlamenti nazionali, ma anche ai singoli consigli regionali che ritengano violato il principio di sussidiarietà da parte dell’Unione e delle sue istituzioni.

132 La disposizione letteralmente dispone che “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di sussidiarietà proposti secondo le modalità previste dall’articolo 230 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea da uno Stato membro, o trasmessi da quest’ultimo in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale”.

133

F.PIZZETTI –G.TIBERI, Le competenze dell’Unione e il principio di sussidiarietà, cit., pp. 143 ss., osservano che “Egualmente si resta perplessi di fronte al fatto che l’eventuale ricorso alla Corte di giustizia sia comunque riservato ai governi degli Stati, ai quali spetta sollevarlo anche a nome dei parlamenti nazionali. Questa scelta appare poco spiegabile tenendo conto che invece, nei casi in cui il parere sia chiesto al Comitato delle regioni, il ricorso è dato direttamente a questo organo. Né basta, per giustificare questa differenza, il richiamo formalistico al fatto che in questo caso si tratti di una struttura dell’Unione e nell’altro di parlamenti nazionali, organi interni degli Stati”; R. MASTROIANNI, La procedura legislativa e i parlamenti nazionali: osservazioni critiche, cit., p. 193, osserva che “Entrato in vigore l’atto normativo, i parlamenti nazionali possono farsi parte attiva in sede di impugnazione degli atti comunitari, posto che la Corte di giustizia sarà competente a pronunciarsi sui ricorsi ex art. 263 TFUE proposti da uno Stato membro ovvero trasmessi da quest’ultimo «in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale». La novità sta evidentemente nella comparsa dei parlamenti nazionali e nelle singole camere che li compongono tra i soggetti (pur indirettamente) legittimati ad impugnare gli atti comunitari. La soluzione è certo innovativa, ma non appare del tutto convincente”.

Capitolo 3: La fase ascendente statale e regionale nel diritto interno:

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