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attestano la presenza del «magister Miquael de Sivilla pedrapiquer» in città (a quanto pare non di passaggio visto

che si specifica che abitasse a Cagliari).

44 Il documento è conservato all’Archivio di Stato di Cagliari: ASC, Antico Archivio Regio, Procurazione reale BC

8, cc. 69r-69v. Si confrontino anche: A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 384; C. Tasca, Ebrei…, cit., pp. 257-258.

45 Insieme a Miquel Sagrera. Cfr. M. Barceló Crespí, Notes…, cit., pp. 128-129. 46 Conservata all’Archivio del Regno di Maiorca (ARM).

47 Dai documenti conservati all’Archivio del Regno di Maiorca risulta che Guillem Vilasclar fosse sicuramente a

Palma sino al 1465 per lavorare al pont d’Inca (e prima di questa data la sua attività in città è ben documentata). Non abbiamo più notizie del maestro a Maiorca almeno sino al 1477, quando ritroviamo il suo nome in un atto no- tarile. Nel 1479, come sappiamo, è sobreposat della corporazione dei picapedrers (per la seconda volta) e nello stesso anno prende come apprendista Joan Oliver. Tutto lascia pensare ad una lunga assenza del maestro dalle Baleari. Cfr. M. B. Crespi, Notes…, cit., pp. 127-133.

48 Non necessariamente continuativa ad Alghero.

fessionalità acquisita negli anni di formazione in patria, a stretto contatto con i protagonisti della scena architettonica maiorchina. Ma è ancora più interessante l’idea che abbia portato in Sardegna un insieme di esperienze arricchite anche da altri percorsi: Marco Rosario Nobi- le identifica il Pietro Mayorchino che compare tra i fondatori della corporazione dei marmorari e dei fabbricatori di Palermo con il nostro Pere Vilasclar, che all’epoca risulta già assente da Maiorca50. Dopotutto, i collegamenti tra Palma, Alghero e Palermo dovevano essere piuttosto

frequenti e agevoli. Pere Vilasclar potrebbe essere quindi arrivato ad Alghero passando per Palermo, portandosi dietro un ricco bagaglio di acquisizioni artistiche e professionali.

Antònia Juan Vicens segnala un altro picapedrer maiorchino, Pere Servera (o Cervera), atti- vo ad Alghero tra il 1458 e il 1459. «Petrus Servera picapedrerius Maiorice»51, come lui stes-

so si definisce in uno dei documenti che lo legano ad Alghero, si trova in Sardegna per man- dato reale, con l’incarico di gestire i lavori di estrazione della pietra destinata alle nuove fab- briche regie e in particolare, al castello di Gaeta52. Lo statuto della corporazione dei picape- drers di Maiorca, già dal 1405, comprende una sezione specifica per l’attività di cava

(capítols de las padreras53) e, con l’aggiornamento del 1487, stabilisce una durata minima di quattro anni di apprendistato per poter controllare una postazione nei siti d’estrazione. Una gestione ottimale dell’attività estrattiva, per garantire la massima qualità del materiale lapideo utilizzato in edilizia, era centrale nelle disposizioni maiorchine. Non stupisce, quindi, che Pe- re Servera sia stato designato per un compito così delicato, di grande responsabilità, come prima di lui altri picapedrers suoi conterranei54: a dimostrazione, ancora una volta, del presti-

gio di cui godevano i maestri maiorchini nel Mediterraneo55.

Si è già accennato all’eventualità che la rebelión de las Germanías possa aver determinato un nuovo afflusso di maestri principalmente di area valenciana e maiorchina nelle terre dell’ambito “italiano”, ma per il momento possediamo solo prove indirette56 rintracciabili

nell’architettura costruita e nessun nome.

50 Come ci informa un documento indiretto datato 1479: ARM, Prot. M-25 1, f. 72r. Nel documento, datato 6 otto-

bre 1479, la vedova Antonina Scalella firmava (come garante) un contratto di apprendistato a nome del nipote, Mateu Vilasclar, con il fornaio Gabriel Onarcia (?). Si specifica che Mateu è il figlio di Pere Vilasclar, assente dall’isola. Cfr. M. B. Crespi, Notes…, cit., p. 138.

51 Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 384 e p.387, note 29-30-32. Antònia Juan Vicens segnala due documenti

che legano Pere Servera alla Sardegna: ASC, Antico Archivio Regio, Arrendamenti, infeudazioni e stabilimenti, BD 14, ff. 27r-75r.

52 ASC, Antico Archivio Regio, Arrendamenti, infeudazioni e stabilimenti, BD 14, ff. 24v-25r. 53 Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 137.

54 Antoni Sagrera, per esempio, nel 1450 è documentato nella cala Sa Nau di Felanitx (Maiorca) per scegliere la

pietra destinata alle opere di Castel Nuovo. Cfr. M. B. Crespi, Notes…, cit., p. 134.

55 Antònia Juan Vicens ipotizza la presenza di un altro lapicida maiorchino in Sardegna, tale Joan Serra, questa

volta a Cagliari (nel quartiere Stampace, dove vivevano gli artigiani). La stessa studiosa precisa che potrebbe trattarsi anche di un sardo che aveva trascorso un periodo di formazione nelle Baleari per poi rientrare in patria. Il cognome Serra, infatti, è presente a Maiorca (e anche a Valencia), ma è molto diffuso anche in Sardegna. Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., pp. 384-385.

Risultano invece più numerosi i nomi di pittori catalani attivi in Sardegna tra Quattro e Cin- quecento e, seguendo le tracce dei loro itinerari professionali, appare evidente che la mobili- tà è comune a tutte le categorie di artefici. Si considerino solo i due casi esemplari di Joan Barceló57 e Guillem Mesquida58. Quest’ultimo è uno degli autori (insieme a Julià Salba59 e

Pietro Cavaro) del Retaule di Sant’Eligio, che rappresenta «una netta svolta nella storia della pittura isolana»60. Il Cavaro61, è uno degli artisti più significativi del primo Cinquecento in

Sardegna, ma non è originario del Levante iberico: si tratta, invece, dell’esponente più impor- tante di un’affermata dinastia di pittori cagliaritani62. La sua formazione comprende

un’esperienza barcellonese63, un viaggio nel napoletano e probabili soggiorni a Roma e Fi-

renze, prima di ritornare a Cagliari (nel 1512) per lavorare nella bottega di famiglia. Il nome di Pietro Cavaro è un ottimo pretesto per invertire la rotta degli spostamenti e provare a seguire le traiettorie formative e professionali delle maestranze sarde operanti nel mondo della co- struzione tra il XV e il XVI secolo.

4.2. Lapicidi sardi in cerca di specializzazione

Nella prima metà del Quattrocento la scuola barcellonese è quella che più influenza le vicen- de artistiche della Sardegna. Infatti, la prima notizia di un lapicida sardo in trasferta risale al 1437 e ci informa del contratto di apprendistato firmato da Pere Serra con Marc Safont, il grande maestro del palazzo della Generalitat di Barcellona64. Nella seconda metà del secolo

cresce l’importanza commerciale di Maiorca e Valencia65 e si amplifica il loro ascendente in

campo artistico, mentre l’aura di Barcellona si affievolisce con il trasferimento della corte di Alfonso e la città vivrà un momento di profonda crisi a causa della guerra civile catalana. Il prestigio guadagnato dagli architetti maiorchini nelle nuove fabbriche reali spiega l’interesse di molti aspiranti artefici, soprattutto sardi e siciliani, per un periodo di formazione nelle loro

57 Originario di Tortosa, attivo a Barcellona nel 1485 e poi a Sassari nel 1488 (dove dipinge un retablo per la chie-

sa di San Francesco di Alghero). Cfr. A. Pillittu, La civiltà…, cit., in A. M. Oliva, O. Schena, (a cura di), Sarde- gna…, cit., pp. 324-325.

58 Nato a Palma di Maiorca, attivo a Barcellona nel 1496 e poi a Cagliari nel 1512. Ivi, p. 329. 59 Ibid. Julià Salba è documentato anche ad Alghero nel 1520.

60 Ivi, pp. 327-329. L’opera, conservata alla Pinacoteca Nazionale di Cagliari, introduce numerose novità «rina-

scimentali italiane di ascendenza peruginesca e pinturicchiesca nello scenario locale, in cui coesistevano una tendenza orientata a riproporre schemi valenzani e barcellonesi di metà Quattrocento e un’altra tradizione ibero- fiamminga - guidata dalla bottega del Maestro di Castelsardo […].» I tre pittori, Guillem Mesquida, Julià Salba e Pietro Cavaro, «sono coloro fra i quali, d’ora in avanti, dovranno essere divise le spoglie del Maestro di Sanluri», scrive ancora Pillittu.

61 Ivi, p. 329.

62 Documentata dal 1455 nel quartiere di Stampace.

63 Nel 1508 risulta iscritto alla confraria dei pittori di quella città. 64 Cfr. M. R. Nobile, La cattedrale…, cit., p. 24, nota 32.

65 Verso le quali si sposta una parte del potenziale economico di Barcellona. Cfr. J. F. Cabestany i Fort, I mercan-

botteghe: è significativo che diversi sardi si trovino a Maiorca per apprendere o perfezionare l’arte del costruire, negli anni appena successivi agli arrivi di Guillem Vilasclar e Pere Vila- sclar ad Alghero. Nel luglio 1479 Àngel de Sàcer (Sassari) sottoscrive un contratto di perfe- zionamento con il picapedrer maiorchino Pere Llull66 senza alcun tutore, il che dimostra che

aveva raggiunto la maggiore età e poteva garantire per sé [A05].

Miquael Amorós, lapicida algherese, lavora cinque mesi (da luglio a dicembre dell’anno 1500) presso il maestro guixer (gessaio) Pere Sanxo67 [A07] e circa un anno dopo, nel feb-

braio 1501, riesce ad ottenere un contratto di apprendistato della durata di quattro anni per il giovane Domingo Fàbregues (anche lui di Alghero) nientemeno che con Joan Sagrera68. Il

fatto che Miquael Amorós figuri come tutore nel documento lascia intendere che avesse il ragazzo sotto la sua responsabilità.

7. Contratto di lavoro [A07] sottoscritto da Miquael Amorós con il maestro maiorchino Pere Sanxo (1500). Si legge: «Io Miquael Amorós, lapicida originario della villa di Alghero isola Sardegna […]». ARM, Prot. P-396, f. 20v.

Domingo Fàbregues non è l’unico sardo che ha la fortuna di apprendere il mestiere lavoran- do fianco a fianco con uno dei picapedrers più rinomati dell’epoca: stessa sorte tocca ad Amingo Sucha, originario della città regia di Iglesias e a Salvador Guiso, proveniente dalla villa di San Pantaleone (rispettivamente nel giugno del 150269 e nel marzo del 150370). En-

trambi hanno raggiunto la maggiore età e sottoscrivono personalmente un contratto di perfe- zionamento della durata di tre anni con l’illustre maestro, che poteva contare in un folto gruppo di collaboratori (apprendisti e lavoranti, anche stranieri) a dimostrazione di quanto fosse consolidata la sua fama. Alcuni di loro, tra cui Salvador Guiso, avranno la possibilità di

66 ARM, Prot. P-374, f. 62r. Si confrontino: M. R. Nobile, La cattedrale…, cit., p. 24, nota 32; A. Juan Vicens, Via-

jes…, cit., pp. 382-383.

67 ARM, Prot. P-396, f. 20v. Si confrontino: M. R. Nobile, La cattedrale…, cit., p. 24, nota 32; A. Juan Vicens, Via-

jes…, cit., p. 383.

68 ARM, Prot. M-590, ff. 5v-6r. Si veda A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 383. 69 ARM, Prot. P-416, f. 60. Si veda A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 383. 70 Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 383.

lavorare nel cantiere della cattedrale di Palma ancora in costruzione71, negli anni in cui Joan

Sagrera ricopriva l’incarico di mestre major72. Joan di Iglesias, un altro lapicida sardo che si-

curamente orbitava intorno al circolo di Joan Sagrera, compare come testimone di Guiso nell’atto notarile datato 11 marzo 1503. Nel 1504 si registra la presenza a Maiorca di Miquel Carbonell, anche lui di origini sarde, che ricorre agli insegnamenti del picapedrer Antoni Ar- mengol73 per un periodo di due anni, con il benestare del suo primo maestro. Se ne deduce

che Carbonell avesse già completato il suo apprendistato decidendo poi di perfezionarsi nell’arte del lapicida sotto la guida di un maestro maiorchino.

Non tutti i sardi di cui si ha notizia nelle Baleari fanno ritorno in patria una volta terminato il periodo di formazione. Alcuni decidono di fermarsi stabilmente e di aprire bottega nella ciutat

de Mallorca, come il cagliaritano Antoni Orraxi, che il 23 gennaio 1514 ottiene un permesso

per sposarsi74. Anche Bartolomeo Sart e suo figlio Pere, inequivocabilmente sardi a giudica-

re dall’appellativo75, non sembrano di passaggio sull’isola visto che sono documentati a pa-

recchi anni di distanza (1494-1512) in cantieri diversi. Pere Sart doveva esseri costruito una reputazione più che apprezzabile come picapedrer, se il 3 marzo 1522 viene eletto sobrepo-

sat della corporazione maiorchina insieme a Baptista Garau76: un incarico prestigioso che

Guillem Sagrera e Guillem Vilasclar avevano rivestito prima di lui.

L’elenco dei lapicidi sardi in trasferta o residenti a Maiorca è ancora lungo e comprende altri due algheresi, tali Gabriel Pujol e Domingo Sard. Vale la pena di citare anche Lleonard Ber- rai77 che sembra essere il rampollo di una delle dinastie di picapedrers più rinomate della cit-

tà di Cagliari, quella dei Barray78. Il fatto che il giovane sia documentato per sei mesi conse-

cutivi (dal settembre 1498 al marzo 1499) nel cantiere della cattedrale percependo il soldo di un semplice apprendista, conferma il grande interesse di molti aspiranti artisti sardi per l’ambiente maiorchino. Anche la nota famiglia stampacina dei Barray sceglie quindi di investi- re nella formazione dei giovani eredi proprio nella ciutat de Mallorca. E questo è un dato mol- to significativo. Sono quasi una ventina i lapicidi sardi attestati a Maiorca tra il 1479 e il 1522, ma conosciamo la provenienza precisa solo di dieci di loro: due sono originari di Cagliari, uno di Sassari, due di Iglesias, uno della villa di San Pantaleone e ben quattro provengono da Alghero.

71 Il cantiere della cattedrale di Santa Maria di Palma di Maiorca durerà circa quattro secoli dal 1230 al 1601. 72 Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 386, nota 13.

73 ARM, Prot. S-882, f. 128v. Il maestro Antoni Armengol faceva parte di una delle casate di picapedrers più in-

fluenti nel panorama maiorchino del primo Cinquecento. Si veda A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 383.

74 Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 385. 75 Ma di cui ignoriamo la città di origine. Ibid.

76 Nell’incipit del documento corporativo del 1522 si legge: «Honorabiles Baptista Garau et Petrus Sard, suppra-

positi officii lapiscidorum». Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 144.

77 Cfr. A. Juan Vicens, Viajes…, cit., p. 385.

78 Che insieme ai Morroni si contendono la piazza cittadina tra XV e XVI secolo ricomprendo importanti posizioni

anche in seno alla corporazione dei Santi Quattro Coronati. Nell’integrazione allo statuto cagliaritano datata 1560 compare un mestre Pere Barray. Si confronti: E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 221.

Tutti dati a sostegno della tesi, a cui ho già accennato in precedenza, secondo cui i rapporti tra l’Alguer e ciutat de Mallorca siano in qualche modo privilegiati in virtù delle fortissime ana- logie tra i materiali presenti in situ: in entrambi i casi troviamo cave di arenaria (massacà di Alghero e marés di Maiorca) con caratteristiche tecniche praticamente identiche. Non dimen- tichiamo che anche i maestri maiorchini Guillem Vilasclar, Pere Vilasclar e Pere Servera so- no documentati proprio ad Alghero (mentre erano di stanza in Sardegna) e la questione del materiale da costruzione non può che essere centrale, considerando che si sta parlando di specialisti della pietra. Basti pensare che Guillem Sagrera, tra il 1448 e il 1459, organizza il trasporto costosissimo di una grande quantità di pietra da costruzione da Maiorca a Napoli per impiegarla nel cantiere della residenza reale di Castel Nuovo79. Operare con un materia-

le familiare, di cui si conoscono le caratteristiche di lavorabilità, è ovviamente un grande van- taggio per ogni scalpellino: un valore aggiunto, quindi, per quei lapicidi algheresi che sceglie- vano di perfezionarsi a Maiorca e che avrebbero lavorato con un materiale molto simile una volta tornati in patria.

Il fatto che sardi e siciliani avessero una preferenza per Maiorca sembra confermato anche dai risultati dello studio antroponimico dell’immigrazione italiana a Valencia nei secoli XV e XVI80: tra il 1450 e il 1525 non si ha notizia di lapicidi provenienti dalla penisola italiana (o

dalle isole di Sardegna e Sicilia) nelle terre valenciane. Il Pere lo Sicilià di cui si è parlato in precedenza è attestato a Valencia nel 1445 e, al momento, risulta documentato un solo sar- do (tale Francesco Sardo, appunto) ad Ayora (Comunitat Valenciana) nel 1536 nel cantiere diretto dal maestro Jeronimo Quijano81. A quell’epoca, la rebelión de las Germanías, che po-

trebbe aver generato un afflusso di maestranze valenciane nella penisola italiana, si era conclusa da tempo (1522): si può pensare quindi che Francesco Sardo sia partito alla volta di Ayora proprio in virtù di un incontro professionale con questi maestri. Di grande interesse è poi la tesi proposta da Arturo Zaragozá82 di una corrispondenza tra il disegno che compare

su una pila battesimale in una chiesa parrocchiale di Ayora e il profilo poligonale sfaccettato dei pilastri della cattedrale di Alghero (dove Marco Rosario Nobile aveva ipotizzato una squadra di maestri valenciani).

L’intrico di questi intrecci mediterranei non si conclude qui, a giudicare dal discreto numero di artefici sardi presenti in Sicilia tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo: a cominciare dal magistro Martino Dagliero (che secondo Marco Rosario Nobile potrebbe essere interpre- tato come Martino di Alghero), documentato nell’isola nel 1482, dove sarebbe stato inviato da re Ferdinando in persona; segue il maestro Antonio da Caglari, attestato nel palermitano

79 Cfr. A. Zaragozá Catalán, Arquitecturas…, cit., in A. Zaragozá Catalán, E. Mira, (a cura di), Una arquitectura…,

cit., vol. I, p.157.

80 Cfr. D. Igual Luís, G. Navarro Espinach, Estudi antroponímic de l’emigració italiana a València (segles XV-XVI),

in Actes del IV Colloqui d’Onomàstica Valenciana, Ontinyent (29 septiembre -1 octubre 1995), 1997, pp. 559-589.

81 Notizia segnalata da Mercedes Gómez-Ferrer e riportata da M. R. Nobile, Volte…, cit., in M. R. Nobile, (a cura

di), La stereotomia…, cit., p. 24.

nel 1484 dove figura come testimone in un contratto; Antioco de Cara, uno dei più stretti col- laboratori di Matteo Carnilivari, attivo in Sicilia occidentale tra il 1484 e il 1499, proprio quan- do il maestro notese aveva ricevuto gli incarichi dei palazzi palermitani; Diego Cossu, uno degli aiutanti di Antonio Belguardo, «il maestro che nel primo XVI secolo realizza a Palermo una serie di cupole “neo normanne”»83; chiude l’elenco il maestro Giordano di Cagliari, fabri- cator di Palermo, che nel 1529 si impegna a realizzare i conci per una piccola cupola che

avrebbe poi posto in opera lui stesso nella cittadina di Corleone84.

A questi dati documentari vanno aggiunte diverse analogie riscontrabili nell’architettura co- struita: le corrispondenze di alcune strutture cupolate del nord Sardegna, in particolare di Sassari, con quelle realizzate in Sicilia negli stessi anni (prima metà del XVI secolo) «sono inquietanti, soprattutto se si osserva la conformazione decorativa data ai raccordi angola- ri»85. E non hanno niente a che fare con le coperture nervate della tradizione tardogotica.

Si ha l’impressione, quindi, che anche gli interscambi tra le due isole maggiori del Mediterra- neo fossero piuttosto frequenti e sembra che la grande mobilità delle maestranze abbia ge- nerato intrecci e sovrapposizioni che rendono meno semplici, di come siamo abituati a pen- sare, le vicende architettoniche della Sardegna tra XV e XVI secolo.

4.3. Conclusioni

Ci sono alcune osservazioni che vale la pena di riepilogare a conclusione di questi capitoli sulle corporazioni edili, i maestri e la mobilità nel Mediterraneo aragonese. Si è visto come il mondo corporativo nei territori della Corona, nonostante la rigidità di certe regole e gerarchie, non sia affatto statico e anzi sembra sia in grado di interpretare i cambiamenti del mercato del lavoro, puntando sulla sapienza tecnica e la specializzazione degli artefici e sulla qualità delle opere realizzate. Non sembra neanche aver causato un appiattimento generale, impe- dendo ai migliori di emergere e di rinnovare il linguaggio con nuove sperimentazioni, a giudi- care dal consistente numero di maestri che, pur godendo di un grande prestigio, operano all’interno della struttura corporativa.

Per queste ragioni, tra il XV e il XVI secolo, le associazioni di mestiere riescono ancora a condizionare il mondo della costruzione registrando una tendenza opposta rispetto al resto d’Europa dove, quasi ovunque, il loro peso tende ad esaurirsi. Un altro motivo di questa lon- gevità può essere ricondotto al fatto che le corporazioni nel mondo aragonese (comprese quelle mercantili) non raggiungono mai quel peso politico che contraddistingue, per esempio, le Arti di Firenze e Bologna (già nel XIII e XIV secolo). In queste città la scalata sociale delle

83 M. R. Nobile, La cattedrale…, cit., p. 20.

84 Cfr. M. R. Nobile, Volte…, cit., in M. R. Nobile, (a cura di), La stereotomia…, cit., pp. 28-29.

85 Ivi, p. 28. Il riferimento è, in particolare, alle cupole della chiesa dei Gesuiti di Sassari e della cattedrale di San

Nicola. Per un approfondimento su queste architetture chiesastiche si segnala: M. Porcu Gaias, Sassari…, cit. p. 119 e p. 187.

associazioni di mestiere (con i mercanti in testa)86 si conclude con una completa partecipa-

zione politica, tanto che in certi casi le istituzioni governative ricalcano le strutture corporati- ve. Almeno sino alla piena affermazione delle signorie: a Firenze, infatti, il peso politico delle Arti risulta già ridimensionato nel Quattrocento, dopo l’ascesa dei Medici; a Milano i Visconti impediscono alle corporazioni di affermarsi così saldamente in politica e lo stesso ostruzioni- smo viene attuato a Venezia dall’oligarchia a capo della Repubblica; a Ferrara le corporazio- ni vengono soppresse già dal 128787.

8. Nanni di Bando, Tabernacolo dei Santi Quattro Coronati (particolare della predella), 1408-14, Orsanmichele, Firenze.

Nel Mediterraneo aragonese l’istituto corporativo raggiunge, invece, il suo massimo sviluppo tra il XV e il XVI secolo, per poi avviarsi inesorabilmente verso un lento declino non riuscen- do più ad interpretare il cambiamento dei tempi: le corporazioni si concentrano ormai sulle pratiche religiose e assistenziali senza prestare troppa attenzione all’organizzazione dei me- stieri. In Sardegna le associazioni artigiane si trascinano stancamente sino alla metà del XIX secolo, ma sono ormai lontanissime dagli intenti originari e delle antiche ordinazioni catalane rimane solo la lingua. In questa fase di decadenza è assolutamente condivisibile il giudizio,

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