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statuto di Barcellona (valido nel principato di Catalogna) opera una distinzione tra gli stranieri provenienti dagl

altri territori della Corona d’Aragona e quelli originari «de la nació francesa», i concorrenti principali per i maestri locali, a giudicare dalla tassa proibitiva che dovevano pagare per lavorare in città. Stesso trattamento economico sfavorevole riservava lo statuto valenciano [A03] ai forestieri che arrivavano dalla Castiglia e dall’Andalusia. Cfr.

E. Garofalo, Le arti…, cit., pp. 30-33.

134 Ivi, p. 32.

135 A Girona, in particolare, agli artefici forestieri che desideravano lavorare in città era sufficiente giurare di aver

esercitato la professione, in qualità di maestri, per una durata di almeno quattro anni: «si home stranger expert en dits arts vindra per fer faena en dita ciutat no sia tengut subir examen, prestant jurament o promitant que per temps de quatre anys com a mestre ha usat en altra loch e en las dites activitas en aquells». Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 160.

136 Una precisazione che non risulta comune ad altri statuti. Ivi, p. 31.

16. Palma di Maiorca, chiesa di S. Eulalia: lapide sepolcrale nella cappella della confra-

Sassari e ad Alghero, è obbligatoria la prova di idoneità e il consueto pagamento di una tas- sa d’iscrizione alla confraria. Sembrerebbe quindi che le città sarde abbiano adottato il pac- chetto di prescrizioni più severe, per giunta non giustificate dall’urgenza di difendere una pe- culiare tradizione costruttiva. Un atteggiamento quantomeno singolare, se si pensa alla storia dei ripopolamenti e alla massiccia importazione di modelli culturali catalani. Ancora più stra- no nel caso di Alghero, la più catalana delle città sarde.

Leggendo con attenzione gli statuti saltano però all’occhio alcune differenze rispetto agli ori- ginali del Levante iberico. Intanto a Cagliari si concede un anno di tempo per regolarizzare l’iscrizione alla confraria, cosicché i «mestre de poca durada» (quelli che avevano program- mato un breve soggiorno di lavoro in città) erano esentati dalle prove d’esame e dovevano pagare soltanto un flori dor137. A Sassari non esiste questa distinzione, ma la disposizione

numero 8 equipara i maestri stranieri (estranger) a quelli locali (natural habitator) garantendo a entrambi un sussidio economico («qualsevol quantitat de diners») in caso di «extrema ne-

cessitat»138. Nello statuto algherese [A09] ben tre prescrizioni su quindici riguardano gli estrangers e non danno affatto l’impressione di voler salvaguardare la città dall’arrivo di ope-

ratori esterni. Tutt’altro. È vero che gli stranieri erano tenuti a superare un esame prima di aprire bottega (così come gli algheresi) e a versare una tassa di iscrizione alla confraria, raddoppiata rispetto a quella richiesta ai maestri locali139. Ma, a parte gli oneri economici

maggiorati (peraltro in linea con quelli di Sassari), si rileva una grande disponibilità ad acco- gliere artigiani forestieri e a offrirgli le condizioni per invogliarli a stabilirsi in città140. La terza

disposizione cerca di consolidare il loro insediamento, con l’obbligo di sposarsi entro un anno e un giorno dal superamento dell’esame e diventare così cittadini a tutti gli effetti. Per chi non avesse messo su famiglia entro i tempi indicati si prevedeva l’interdizione dal mestiere e una multa di cinque lire da versare «a la ditta conffraria irremesiblement exhigidora». I toni si smorzano subito dopo, quando si specifica che a discrezione dei “magnifici” consiglieri la norma poteva essere applicata con una certa elasticità e si poteva concedere più tempo ai forestieri perché si sposassero «sens yncidir en pena alguna». Tra tutte le città dell’ambito di studio solo le ordinazioni di Girona prevedono una norma analoga141.

Anche la disposizione numero 7 dello statuto algherese si concentra sulla questione dei lavo- ratori stranieri assicurandogli aiuti economici e assistenza in caso di «pobressa inffirmitat o

malaitia» e garantendogli il finanziamento del viaggio «si sen volgues anar ultramar»142.

137 Ivi, p. 31 e p. 216. 138 Ivi, p. 265.

139 La tassa di iscrizione riservata agli stranieri era di «sei lire di moneta corrente» a fronte delle tre lire previste

per i maestri locali, come recita la disposizione numero 5 dello statuto algherese.

140 Cfr. A. Budruni, Gremi…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 407.

141 Come sappiamo, I maestri stranieri che volevano trasferirsi a Girona erano esentati dalle prove d’esame, ma

avevano il dovere di trasferirsi stabilmente in città con la propria famiglia «e contribuesquen en los carrechs de la dita ciutat com los altres ciutadans de aquella». Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 160.

Siamo nel 1570 e sembrano lontani i tempi in cui Alghero rischiava di rimanere quasi del tut- to spopolata, ma l’intento di attrarre nuovi abitanti, a quanto pare, rimane ancora attuale.

3.3.6. Prevenzione degli abusi

Gli obblighi e i divieti che si alternano negli statuti corporativi ci danno la misura di quali fos- sero le questioni più sentite nei vari contesti locali. La difesa della qualità, la mutua assisten- za e il rapporto con gli stranieri, sono temi comuni a tutto il Mediterraneo aragonese, trattati con maggiore o minore urgenza a seconda delle specifiche situazioni.

Gli statuti raccontano anche di malcostumi locali, di illeciti nell’esercizio della professione e cercano di porvi rimedio. A questo proposito sembra che la preoccupazione maggiore dei mastri algheresi fosse la concorrenza sleale tra artefici che esercitavano lo stesso mestiere. La disposizione numero 9 impone il divieto assoluto di sottrarre un obrer o un aprenedis a un altro maestro, pena una multa salata di tre lire. Stesso onere economico era richiesto al lavo- rante o all’apprendista infedele.

La disposizione numero 11 cerca invece di reprimere la tendenza di «posar ma» (mettere mano) per via diretta o indiretta nei lavori affidati ad altri maestri; a meno che non ci fosse esplicita volontà del maestro incaricato, impossibilitato a completare l’opera «per malaitia o

per altre llegitim impediment». Nella stessa norma compare, per la prima volta, anche la figu-

ra del committente («lo senor de tal faena»143) a cui si riconosce pieno diritto di risolvere il

contratto in ogni momento, qualora «no se contentas ni agradas»144 del lavoro svolto dal

maestro a cui aveva affidato l’incarico. I Carcassona, i Lunell, i De Ferrera, i Guyó y Duran, ma anche committenti di estrazione sociale più modesta, potevano quindi licenziare un mae- stro per poi contrattarne un altro per la stessa commessa. L’undicesima disposizione riesce così a prevenire la problematica della concorrenza sleale e contemporaneamente si fa carico di reprimere possibili frodi e di garantire la qualità delle opere. È vero che il metro per misu- rare la qualità in questo caso è del tutto soggettivo, legato unicamente alla soddisfazione del committente, ma la norma funge comunque da deterrente per quei sedicenti maestri (non abilitati o giudicati insufficienti in sede d’esame) che pensassero di farla franca nell’esercizio abusivo della professione. Per soddisfare i committenti, soprattutto quelli più facoltosi e quasi sempre più esigenti, non ci si poteva certo improvvisare.

Misure analoghe «per evitar fraus»145 sono contenute anche negli statuti elaborati dai colle-

ghi sassaresi e cagliaritani. Il documento corporativo di Cagliari prevede in più, l’esplicito di- vieto di praticare ribassi sulle tariffe correnti: così i maestri non potevano «fer faena amanco

143 «Il signore di tale opera».

144 «Non fosse contento o soddisfatto».

145 Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 265. La precisazione («per evitare frodi») compare nella decima disposizione

dello statuto sassarese. Nel capitolo primo del documento redatto a Cagliari si specifica che il compito dei sobre- posats era quello di evitare frodi e inganni alla confraria. Ivi, p. 212. Anche a Girona, Palermo, Saragozza e Napo- li sono previste specifiche disposizioni per contrastare i malcostumi locali. Ivi, pp. 47-48.

preu de son jornal»146 [A04]. Il fatto che nella carta di Alghero non sia contemplata una di-

sposizione di questo tipo, ci conferma ancora una volta l’importanza della figura del mostas-

saf147 e lascia intendere che l’autorità di questo magistrato civico tuttofare bastasse, da sola,

a garantire la regolarità di pesi, misure e prezzi nell’attività edilizia.

Nello statuto algherese [A09] non si fa cenno ad interferenze o rivalità tra le cinque categorie di artigiani aggregate all’interno della Confraria de San Jusep, il che certamente non esclude che ve ne fossero. Si trattava infatti di un problema comune: basti solo pensare alle contrap- posizioni, evidentemente insanabili, tra i mestres de cases e i fusters cagliaritani che portano i carpentieri alla fondazione di una corporazione autonoma148. Sconfinamenti e conflitti di

competenze sono frequenti tra questi due gruppi di artefici: ecco allora che gli statuti delle associazioni di mestiere precisano ambiti di intervento e specifiche responsabilità.

Le disposizioni sassaresi prevedono capitoli dedicati a tutti i mestieri della confraria (pica-

pedrers, fusters, sellers, basters) con l’indicazione di precise regole per una corretta prassi operativa. Laddove era richiesta una collaborazione tra muratori e falegnami, per esempio per la costruzione dei tetti, si stabili- scono compiti e responsabilità di ciascuno: mentre il mestre fuster lavorava per realizzare le carpenterie lignee, il mestre de cases aveva il compito di calcolare la corretta pendenza delle falde. Era il mestre de cases a dover ri- spondere di eventuali errori (nel calcolo della pendenza) al proprietario (amo) della casa «si

la teulada non sta be»149.

Ulteriori contese potevano sorgere tra gruppi di artefici che avessero interessi comuni, per esempio nella gestione dei materiali disponibili in situ. È il caso dei mestres de cases e dei molers di Barcellona, la cui attività era legata allo sfruttamento delle cave del Montjuïc, di cui entrambi si contendevano il controllo. Per questa

146 Ivi, p. 221. «Lavorare ad un prezzo inferiore del loro salario giornaliero». 147 Il mostassaf sovrintendeva ai mercati e all’edilizia privata. Cfr. capitolo 2, p. 40.

148 Cfr. G. Olla Repetto, Lavoro…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 221. I mestres de cases e

i fusters cagliaritani erano riuniti nella stessa corporazione sin dal 1473. L’integrazione dello statuto redatta il 26 dicembre 1487 non contempla più i falegnami, con la motivazione che «se son volguts apartar […] y fer confraria a part» e vieta loro di esercitare l’attività edilizia. Anche i fusters di Girona prendono le distanze dai picapedrers e mestres de cases con cui dividevano la stessa corporazione, mentre a Barcellona si rende necessario addirittura l’intervento della municipalità per sanare i contrasti tra falegnami e muratori. Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 35.

149 Ivi, p. 266.

17. Guillaume Cretin, Chroniques françaises, costruzione della chiesa di San Giacomo di Compostela, XVI secolo, Parigi, Biblioteca Nazionale di Francia (f. 115v.)

ragione si riuniscono in una corporazione comune (nel 1423) sebbene il mestiere del moler non fosse strettamente legato al mondo della costruzione150. Conflitti, rivalità, malcostumi,

abusi e frodi che minacciavano di inquinare il mondo della costruzione nel Mediterraneo ara- gonese, vengono quindi prontamente contrastati da regolamenti ad hoc, atti a favorire il cor- retto esercizio della professione. Tutto nell’ottica della qualità.

18. Galatina (Lecce), Basilica di Santa Caterina d’Alessandria: dettaglio degli affreschi del Ciclo della Genesi (seconda campa- ta), XV secolo (da E. Garofalo, 2010).

3.4. Il declino delle associazioni di mestiere

Come si è avuto modo di vedere, le attività religiose, assistenziali e devozionali rivestono una grande importanza nelle associazioni di mestiere, nella città di Alghero così come in tut- te le altre151. Si intrecciano continuamente con la sfera professionale e con il passare del

tempo avranno sempre maggior peso, fino a prendere il sopravvento sulla regolamentazione del lavoro. Le corporazioni, che tra il XV e il XVI secolo erano ancora in grado di influenzare il mondo della costruzione in tutto il Mediterraneo aragonese, sono così destinate ad un lento ma inesorabile declino.

Dal confronto tra gli statuti algheresi del 1570 e del 1773152 appare evidente come nel corso

di duecento anni cambino sensibilmente le priorità delle corporazioni, sempre più concentra- te sugli aspetti religiosi e mutualistici. L’istituto corporativo non è più in grado di interpretare il cambiamento dei tempi «restando in definitiva un semplice retaggio di un’organizzazione so- ciale e professionale ormai sorpassata»153. Dopotutto anche la storia della Sardegna era

sensibilmente cambiata e Alghero, così come tutta l’isola, faceva ormai parte dei possedi- menti sabaudi (dal 1720)154. Lo statuto del gremio155 dei falegnami e dei mutatori di Alghero

del 1773, intitolato questa volta al solo San Giuseppe, contiene ventidue disposizioni di cui più della metà disciplinano le pratiche religiose e assistenziali156. Le rimanenti si concentrano

prevalentemente sull’organizzazione del gremio e sull’elezione delle cariche di vertice (quat- tro “Maggiorali” e un “Clavario”), mentre si accenna appena a questioni un tempo centrali come quelle degli esami e dell’apprendistato. L’abilitazione all’esercizio della professione

151 Gli appuntamenti religiosi scandiscono i tempi della confraria algherese: l’elezione delle cariche di vertice av-

veniva nel giorno del «glorioso San Giuseppe» (disposizione n. 1) e, sempre nei giorni di festa dei santi patroni, il majoral e il clavary facevano celebrare una messa cantata seguita il giorno dopo da «un amniversary solemne per lanime de tots los confrares» (disposizione n. 12). Tutto finanziato con i denari della corporazione (disposizio- ne n. 12) che copriva anche le spese per i funerali e la sepoltura dei confratelli. Di quest’ultimo aspetto tratta la prescrizione n. 8 da cui si apprende che i maestri e i lavoranti avevano l’obbligo, se convocati dal majoral e dal clavary, di accompagnare i confratelli deceduti alla sepoltura («per sotterrar»). La tredicesima disposizione apriva le porte della confraria anche a coloro che non svolgevano uno dei cinque mestieri del sodalizio, ma esclusiva- mente per partecipare a «tots los suffragis»151, sotto il pagamento di una quota annuale di tre soldi.

152 Lo statuto del gremio dei falegnami e dei mutatori di Alghero del 1773 è stato pubblicato in A. Pino Branca, Gli

statuti…, cit., pp. 501-505. Il testo del documento si ispira certamente a quello del 1570 [A09], anche se appare evidente un orientamento più marcato verso le sfere religiose e mutualistiche. Si veda anche A. Budruni, Gre- mi…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 407.

153 E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 51.

154 Già Raffaele Di Tucci si era soffermato sul declino dei gremi sardi durante il periodo sabaudo e sui molteplici

sforzi del governo viceregio per abolirli: R. Di Tucci, Le corporazioni…, cit., pp. 33-159. Si confronti anche A. Mat- tone, Corporazioni…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 34.

155 Come sappiamo la parola gremios, per indicare le associazioni artigiane, viene introdotta in Sardegna solo nel

XVIII secolo.

156 Celebrazioni e riti, elemosine al santo, processioni con lo stendardo del gremio, gestione della cappella, assi-

non sembra più obbligatoria, con buona pace della qualità. L’iscrizione al sodalizio è vincola- to esclusivamente al pagamento di una tassa, diversificata per i figli dei maestri e per i fore- stieri. La disponibilità ad accogliere maestri stranieri sembra diminuita157, così come anche

l’urgenza di prevenire la concorrenza sleale o l’esercizio scorretto della professione. L’unica indicazione al riguardo è contenuta nella disposizione numero 7 che proibisce a qualunque maestro, sia falegname che muratore, di sottrarre un discepolo o un lavorante ad un altro maestro «senza che prima ne ottenghi dal Consiglio di Città, udite le parti, l’opportuno per- messo»158. Per il resto si segnala «qualche abuso»159 nell’amministrazione dei denari

dell’associazione e si richiedono più garanzie per l’elezione della figura del tesoriere160.

L’istituzione civica, sempre presente nelle disposizioni dello statuto, ricopre ancora un ruolo preponderante e ha piena giurisdizione sul gremio: un segno evidente che la coesione della cittadinanza intorno alla sua municipalità è ancora molto forte. Così sarà anche nei secoli successivi, tanto che Alghero riuscirà straordinariamente a conservare il suo carattere distin- tivo che ne fa ancora oggi, per certi versi, un’isola nell’isola.

3.5. Maestri e protagonisti: alcune riflessioni

Alla luce delle considerazioni fatte sinora sulle associazioni di mestiere nel Mediterraneo aragonese, emerge un quadro tutto sommato unitario, al di là delle peculiarità dei singoli contesti. A questo punto è opportuno soffermarsi su una delle questioni più dibattute a pro- posito del sistema corporativo: in un ambiente così strutturato come quello delle corporazio- ni, dove la prevenzione della concorrenza tra i soci era tra le priorità, era forse possibile che un maestro riuscisse ad emergere tra gli altri? Uno scenario di questo tipo era compatibile con l’ascesa di protagonisti in grado di lasciare un segno profondo nella storia dell’architettura? Potevano distinguersi figure chiave capaci di rinnovare il linguaggio con sempre nuove sperimentazioni? La risposta è sempre si, eppure una delle critiche più forti della storiografia al sistema corporativo lo indica come un potente ostacolo al progresso, ri- luttante all’innovazione e incapace di interpretare i cambiamenti in atto161. Il principale re-

157 Nella quarta disposizione si specifica che per forestieri si intendevano tutti coloro che non fossero domiciliati

ad Alghero, «benché regnicoli»; nell’ottava norma si precisa che i mastri forestieri o i negozianti che avessero in- trodotto in città «pezze travagliate appartenenti all’impiego di falegnami, come sono botti per mettere il vino […], oppure altre proprie di muratore come sono mattoni, coppe ed altre» avrebbero dovuto pagare una tassa a favore del santo patrono, con la garanzia, però, in caso di morte, di essere sepolti nella cappella del gremio. Cfr. A. Pino Branca, Gli statuti…, cit., pp. 502-503.

158 Ivi, p. 503.

159 Lo statuto prende avvio proprio dalla constatazione di alcune irregolarità nell’amministrazione del gremio, mo-

tivo per cui si rendono necessarie le nuove disposizioni del 1773 «volendo andare incontro a qualunque abuso finora invalso». Ivi, p. 501.

160 Nella disposizione numero 21 si «specifica che non potrà eleggersi in clavario alcun mastro il quale non abbia

servito da maggiorale per tre anni». Ivi, p. 503.

sponsabile, quindi, del “ritardo” con cui i territori della Corona avrebbero accolto il messaggio del Rinascimento con i suoi “vincenti” modelli all’antica, indugiando troppo a lungo su un or- mai sorpassato linguaggio tardogotico162. Cosa che è solo in parte vera e si cercherà più

avanti di spiegare il perché.

Conviene rimandare le riflessioni sullo stile per riflettere su questi interrogativi, tenendo in grande considerazione gli studi di Marco Rosario Nobile ed Emanuela Garofalo a cui si è ac- cennato all’inizio del capitolo: contributi fondamentali per delineare il ruolo dei protagonisti della stagione architettonica del Mediterraneo aragonese e, in particolare, il loro rapporto con le corporazioni.

Guillem Sagrera, Pere Compte e Matteo Carnilivari163 sono tra i più celebri interpreti di

quest’epoca: artisti raffinati che hanno costruito la loro fama su fabbriche innovative, dove sperimentazione stereotomica ed eleganti repertori decorativi coesistono in equilibrio perfet- to. L’audace cupola nervata della sala dei Baroni di Castel Nuovo, i pilastri entorxat164 e le

scale a chiocciola165 della Llotja di Palma, sono creazioni originali del Sagrera che hanno fat-

to scuola, amplificando il prestigio del maestro maiorchino. Era estremamente apprezzata dai suoi contemporanei anche la sapienza tecnica con cui Pere Compte moltiplica nervature e chiavi nelle volte, per non parlare degli straordinari congegni meccanici che inventa per realizzarle166. Un’altra carriera professionale di primo piano è quella di Matteo Carnilivari che

si distingue, tra le altre cose, per il disegno assolutamente unico dei portali dei suoi palazzi palermitani167: formidabili opere di intaglio scultoreo. Nel discorso su stile e tecniche si cer-

cherà di evidenziare come la ricerca progettuale dei protagonisti di questa stagione abbia in- fluenzato anche l’architettura dei centri minori, arrivando anche ad Alghero.

Quelli elencati sono forse i più conosciuti tra i maestri attivi nel Quattrocento aragonese, ma non sono certo gli unici168. Si tratta di artefici contesi da committenti importanti, disponibili a

spostarsi da una città all’altra del regno con straordinaria disinvoltura, spesso a capo di vere

162 Cfr. M. R. Nobile, Gli ultimi…, cit., in E. Garofalo, M. R. Nobile, (a cura di), Gli ultimi…, cit., pp.13-15.

163 Sulla figura di Matteo Carnilivari si segnala il contributo di Emanuela Garofalo pubblicato in E. Garofalo, M. R.

Nobile, (a cura di), Gli ultimi…, cit., pp. 151-179. Si veda anche M. R. Nobile, (a cura di), Matteo…, cit.

164 Guillem Sagrera è considerato l’inventore del pilastro entorxat (a spirale), che diventa il sostegno delle volte

nervate della sala della Llotja di Palma. Sagrera lo riutilizza poi, «liberato dai suoi imperativi strutturali, per deco- rare il cilindro centrale di alcune delle sue scale a chiocciola» (nella Llotja e in Castel Nuovo). Cfr. J. Domenge i Mesquida, Guillem…, cit., in E. Garofalo, M. R. Nobile, (a cura di), Gli ultimi…, cit., pp. 59-93.

165 Le soluzioni più originali ideate dal Sagrera per le scale a chiocciola delle torri della Llotja sono quelle a “oc-

chio aperto” (torre nord-occidentale) e quella con pilastro centrale entorxat (torre nord-orientale).

166 Cfr. A. Zaragozá Catalán, M. Gómez-Ferrer, Pere Compte, in E. Garofalo, M. R. Nobile, (a cura di), Gli ulti-

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