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coinvolti nell’elezione delle cariche di vertice, più tardi, invece, lo strapotere dei fusters e dei picapedrers «troverà

un correttivo» e si istituirà una turnazione per coinvolgere tutti i componenti della corporazione. Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 258.

93 Nell’ordinamento di Barcellona [A02] le disposizioni riguardanti le mogli dei confratelli («les dones mullers no-

stres») sono contenute nel tredicesimo capitolo (Capítol trezè). Si confronti l’appendice documentaria del contri- buto di Magda Bernaus pubblicato in E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 80.

94 Cfr. M. Tintó, Las corporaciones…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 252-253. Si veda an-

che M. Vicente, Les dones en els gremis de l’Edat Moderna (segles XVII-XVIII), in Revista d’història moderna, X (1990), pp. 137-142.

95 Tutte mansioni che possiamo assimilare ai mestieri di fornaio e sarto.

96 A. Budruni, Gremi…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 410. Dalle carte d’archivio scopria-

mo che, talvolta, le mogli di ricchi mercanti o di agiati artigiani si dilettavano nella creazione di gioielli d’oro, d’argento o di corallo. È il caso, ad esempio, della vedova del defunto Pere Tibau, che ben conosciamo: cfr. ASS, Atti Notarili Originali, Tappa di Alghero, Notaio Simon Jaume, Inventari e Testamenti, busta n.1 (1570-1584), fa- scicolo n. 11, Inventario dei beni del magnifico Pere Tibau, 1575 [A11].

97 «Che fossero puntuali al pagamento dell’annata e all’adempimento dei loro doveri». A. Pino Branca, Gli statu-

lavoro maschile e femminile98. La questione riguarda solo «tutte quelle donne che esercitas-

sero l’arte di sartore o di calzolaio»99, mentre nello statuto algherese dei fusters e dei pica- pedrers [A09] non si fa alcun cenno alla questione femminile. Cosa che non stupisce affatto visto che si tratta, anche oggi, di mestieri prettamente maschili.

Ma allora chi era Julia Scano? Com’è possibile che una donna fosse a capo di un’intera con-

fraria, per giunta tipicamente maschile? Considerando che gli statuti corporativi sardi deriva-

no tutti (almeno inizialmente) dal modello barcellonese, si può pensare che anche le mogli degli iscritti alla confraternita algherese di San Giuseppe potessero diventare confraresses, come accadeva a Cagliari (anche se non è esplicitamente chiarito). Può darsi quindi che Ju- lia Scano fosse la vedova di un maestro particolarmente influente (forse addirittura un majo-

ral) e alla sua morte gli altri confratelli avessero deciso di onorare la sua famiglia con un ri-

conoscimento di assoluto prestigio. Magari più su un piano formale che sostanziale. Queste valutazioni però non reggono se si considera che Julia Scano è definita «mestre […] de ditta

confraria» e non solo confrare. Alla luce dei documenti che ci sono pervenuti e delle conside-

razioni fatte sinora, risulta del tutto impossibile che una donna esercitasse uno dei mestieri della confraternita di San Giuseppe, a meno che non facesse parte dei cosiddetti mestres de

stergio. Dopotutto i fabbricatori degli utensili da cucina rappresentano un unicum nel mondo

corporativo aragonese. Questa è una delle tante riflessioni possibili, ma si tratta pur sempre di ipotesi. Pertanto la figura di Julia Scano, mestre e majoral della confraternita di San Giu- seppe e i Quattro Coronati, rimane un mistero.

3.3.3. Una questione di qualità

Leggendo la seconda disposizione dello statuto si apprende dell’assoluto divieto di svolgere uno dei mestieri della confraria («fer foena de dits officis») o di aprire bottega nella città di Alghero e dintorni («dins la pnt. ciutat ni termens»), «senza prima essere esaminati dagli esaminatori» (examinadors). Era quindi obbligatorio superare un esame per conquistare la qualifica di maestro che consentiva l’esercizio della professione. Diventare maestro significa- va occupare il livello più alto nella gerarchia interna a ogni mestiere, emanciparsi dalle con- dizioni ben più dure di obrer (lavorante) o di aprenedis (apprendista) e poter gestire com- messe di qualsiasi entità. In tutte le principali città del Mediterraneo aragonese l’accesso alla maestria era regolamentato (a partire dalla seconda metà del Quattrocento) da una o più prove d’esame100 con cui si valutavano le competenze degli aspiranti artefici e il grado di abi-

98 In realtà il documento è la trascrizione settecentesca (datata 1795) dell’antico statuto risalente ai primi decenni

del XVI secolo e non possiamo dire con certezza che questa norma facesse parte anche del documento cinque- centesco, anche se in apertura si fa esplicito riferimento ai «primitivi statuti». A. Pino Branca, Gli statuti…, cit., p. 508.

99 Ivi, p. 514.

100 Gli esami per regolare l’accesso alla maestria vengono introdotti a partire dalla seconda metà del Quattrocen-

lità raggiunto nell’esecuzione di un “capo d’opera”. L’obiettivo principale era quello di garanti- re il corretto esercizio dei mestieri e, nel nostro caso specifico, evitare errori o difetti di co- struzione. Assicurare un certo standard qualitativo nell’attività costruttiva e scongiurare i pos- sibili rischi conseguenti all’imperizia tecnica di operatori non adeguatamente addestrati, era un interesse di tutta la comunità.

13. Sassari, chiesa di Santa Maria di Betlem: chiave di volta della cappella della confraria di Santa Maria degli Angeli .

14. Palma di Maiorca, chiesa di S. Eulalia: insegne del ofici dels

picapedrers in corrispondenza della cappella della confraria.

Gli statuti di molte città fanno esplicito riferimento al bene pubblico come principale scopo da perseguire. Si pensi alla dichiarazione d’intenti dei picapedrers maiorchini che si affidano umilmente («ab deguda humilitat») alle regole e alle disposizioni del loro statuto [A01] affin- ché la loro arte «possa migliorare e prosperare e le loro opere siano buone e ben fatte […] per il profitto comune […]»101.

I picapedres e i peyrers di Perpignan si adoperano invece per allontanare la costante minac- cia di un «gran dan[y] a la cosa publica» dovuta all’imperizia di coloro che si spacciano per maestri («se assereix mestre en dit offici») e si avventurano in progetti troppo complessi per le loro reali competenze, con il grande rischio di fabbricare «coses inperfectes»102. La preoc-

cupazione maggiore era ovviamente quella dei crolli dovuti a errori tecnici e difetti costruttivi.

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