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biamenti politici ed economici della seconda metà del secolo portano ad un irrigidimento del sistema La prima

città in cui si istituisce un esame per valutare le competenze degli aspiranti artefici, al termine dell’apprendistato, è Saragozza (1446); seguono Barcellona (1455), Valencia (1472), Cagliari (1473), Palermo (1487), Girona (1481), Perpignan (1505), Maiorca (1506). Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., pp. 41-47.

101 «Puxa millorar e prosperar e lurs obres sien bones e ben fetes a llaor de nostre senyor Déu e honor del se-

nyor rey e comunal proffit de la universitat» [A01]. Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 40. Si confronti anche l’appendice documentaria del contributo di Magda Bernaus pubblicato in E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 134. Non sono da meno i colleghi valenciani per i quali il mestiere del picapedrer è una missione «molt necessari per al be e ornament de la cosa publica de la dita ciutat», come recita lo statuto di cui già conosciamo le note di apertura [A03]. Anche a Girona gli artigiani della Confraria dels Sancts Quatre Martyrs sono ben consapevoli di operare «per lo be comu de tota republica de dita vostra ciutat». Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 155. Per un approfon- dimento sulle ordinazioni della confraternita di Girona si veda il contributo di Miquel Àngel Chamorro Trenado pubblicato in E. Garofalo, Le arti…, cit., pp. 147-160.

102 Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 40. Per un approfondimento sulle ordinazioni della confraternita di Perpignan

Sono documentati vari casi103 tra cui si può citare il crollo avvenuto nella chiesa di San Fran-

cesco di Alghero il 17 febbraio 1593, che coinvolse il corpo centrale e diverse cappelle104.

È per il bene generale della collettività, oltre che per preservare interessi di parte105, che le

corporazioni si dotano quindi di regole atte a difendere la qualità costruttiva con misure più o meno dettagliate. Come si è visto, l’istituzione di un esame per verificare le abilità degli aspi- ranti maestri è il provvedimento più diffuso nel mondo aragonese.

La seconda disposizione dello statuto di Alghero offre un’ulteriore garanzia di trasparenza sullo svolgimento delle prove, le quali «d’ora in avanti saranno dentro la casa del Consiglio» in presenza del majoral, del clavary e dei consiglieri (o della maggior parte di essi). Doveva intervenire anche «lo notari de la casa qui llenara lo acte del dit examen»106 al costo di venti

soldi. Infine era prevista una multa di tre lire per coloro che avessero la presunzione di eser- citare la professione «palessament ni amagada» (apertamente o nascostamente) senza pri- ma aver superato l’esame. Un deterrente che doveva scongiurare il pericolo di maestri im- provvisati, magari inesperti o addirittura incapaci. La parte del testo in cui si specifica che «d’ora in avanti [gli esami] si svolgeranno [pubblicamente] nella casa del Consiglio»107 po-

trebbe essere la riprova dell’esistenza di un documento precedente al 1570, dove eventual- mente gli esami coinvolgevano solo le figure di vertice dell’organizzazione e non la municipa- lità. In ogni caso è opportuno ricordare che a Sassari e ad Alghero l’amministrazione aveva un ruolo fondamentale nelle attività delle associazioni di mestiere, molto più che nelle altre città della Corona.

L’Alguer e Sàsser erano entrambe città regie, molto vicine tra loro, spesso e volentieri rivali,

ma con una fortissima coesione sociale intorno al Consiglio civico in cui si riconoscevano ben più che nel potere centrale108. Così se ad Alghero e a Sassari gli esami si svolgevano

pubblicamente nella casa del Consell, a Cagliari invece le prove venivano gestite interamen- te dai membri della confraria. È ovvio che una conduzione interna di questo tipo si prestasse più facilmente a tentazioni monopolistiche: per questa ragione vi erano maggiori probabilità che un giovane algherese di umili origini “facesse carriera” entrando a far parte di una cate-

103 A Palermo, per esempio, si sono verificati diversi crolli significativi, «non relazionabili a eventi sismici o ad altri

accidenti imprevisti, ma imputabili esclusivamente a difetti della costruzione». E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 41. Si confronti anche M. R. Nobile, Un altro rinascimento. Architetture, maestranze e cantieri in Sicilia 1458-1558, Be- nevento, Hevelius Edizioni, 2002, pp.15-16.

104 La parte anteriore della chiesa coinvolta nel crollo venne ricostruita in cinque anni, ma con un deciso cambia-

mento di stile. Al termine dei lavori, nel 1598, la parte absidale, la tribuna e il campanile poligonale, dalle marcate forme catalane, convivevano con un’aula realizzata secondo i nuovi canoni estetici del Rinascimento italiano «nella sua declinazione manieristica». Stessa sorte, come vedremo, toccherà alla cattedrale senza bisogno di crolli. Cfr. A. Sari, Un brandello…, cit; cfr. F. De Vico, Historia general de la isla y reyno de Sardeña, Barcelona, 1639, VI, p. 50.

105 Come vedremo non mancano gli intenti monopolistici.

106 «Il notaio della casa [del Consiglio] per redigere l’atto del detto esame». 107 «Y per havant seran dins la casa del Consell».

goria sociale più elevata109 (dopo aver superato l’esame per l’esercizio della professione), ri-

spetto a un coetaneo cagliaritano che partiva dalle stesse condizioni. A Cagliari pesava di più l’eredità del mestiere e, senza il ruolo di garanzia svolto dall’amministrazione, gli esami risentivano del potere discrezionale della corporazione. In poche parole i figli dei maestri avevano vita più facile e questo era evidente già a partire dal periodo di apprendistato110. Si

pensi solo che le corporazioni di Barcellona, verso la metà del XVI secolo, limitarono la con- vocazione agli esami dando la precedenza ai figli d’arte, nell’intento di esercitare un controllo più serrato sulle botteghe artigiane presenti in città. Di conseguenza molti giovani che ave- vano completato il periodo di apprendistato (encartament) non potevano esercitare la profes- sione perché non venivano fissate nuove date per le prove111. In alcune città si registra un

cambio di indirizzo che lascia intravedere il tentativo di contrastare queste tendenze all’esclusione112.

Nel documento dei picapedrers e dei fusters di Alghero non sono chiariti i contenuti e le mo- dalità dell’esame, ma in generale doveva trattarsi di una prova pratica in cui si valutavano le abilità nell’esecuzione di uno o più “capi d’opera”, come avveniva in molte altre città (Barcel- lona e Cagliari, per esempio). Non mancano però i casi in cui si fa esplicita richiesta ai can- didati di esprimersi attraverso il disegno, come negli statuti di Saragozza113, Valencia e Sas-

sari. I picapedrers valenciani erano famosi per la sapienza tecnica con cui realizzavano co- struzioni dalle geometrie sempre più ardite; è comprensibile, quindi, che un aspirante mae- stro della città di Valencia non dovesse solo dimostrare di saper lavorare la pietra, ma anche di essere in grado di «elegir e ordenar ab lo compas e regle totes aquelles cose que perta-

nyen saber a mestre»114. Quel che può stupire, invece, è il fatto che le ordinazioni di Sassari

siano le più dettagliate in materia tecnico-costruttiva: il documento del 1538 [A08] riporta una lunga serie di prescrizioni per l’esecuzione di specifiche operazioni, come la costruzione di pareti in muratura, la realizzazione di coperture a una o due falde, la predisposizione dei vani delle bucature, ecc. Si raccomandava inoltre ai maestri un’esecuzione a regola d’arte, pena il rifacimento delle opere a proprie spese115.

109 Ivi, p. 412.

110 Cfr. G. Olla Repetto, Lavoro…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 231.

111 Di tutta risposta gli aspiranti maestri della città di Barcellona chiesero l’autorizzazione per formare una confra-

ternita a parte: quella dei fadrins o joves (giovani). Altri giovani artigiani optarono per un trasferimento in altre città del regno, nella speranza di trovare condizioni migliori per la loro affermazione professionale. Cfr. M. Tintó, Las corporaciones…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., pp. 250-251.

112 È il caso di Saragozza, dove il nuovo statuto del 1533 prevede, a differenza di quello precedente (1446), di

affiancare esaminatori di nomina municipale ai membri della corporazione. Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 45.

113 In particolare si parla dei capitoli della confraternita musulmana di Saragozza (1503). Cfr. E. Garofalo, Le ar-

ti…, cit., p. 46.

114 Ibid. «Mostrare e ordinare con compasso e riga tutte quelle cose che deve sapere un maestro».

115 Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., pp. 260-261. Le prescrizioni operative occupano più di un terzo dello statuto

sassarese e ci regalano una gustoso quadro di natura costruttiva, dove sono nominati anche diversi attrezzi utiliz- zati all’epoca in edilizia: archipendul, cartabo, scayra.

Tutte misure studiate per evitare le frodi e assicurare un valido prodotto finito, che ci confer- mano come la difesa della qualità fosse una delle questioni centrali nel mondo corporativo aragonese.

15. Sassari, chiesa di Santa Maria di Betlem: rilievo sulla porta di accesso alla cappella della confraria dei picapedrers.

3.3.4. Maestri, lavoranti e apprendisti

Una volta superato con successo lo scoglio dell’esame, i nuovi maestri potevano aprire bot- tega e «fer faena de llur offici»116 ma non prima di aver versato «tres lliures moneda cor- rent»117 alla confraria. Un trattamento di favore, almeno sul piano economico, era riservato ai

figli dei maestri, la cui quota d’ingresso era ben più bassa (pari a trenta soldi)118. Si stabilisce

inoltre una tassa settimanale di due denari per i maestri e di un denaro per gli obrers (lavo- ranti), da versare ogni sabato nelle casse dell’associazione «com se hacostuma ales ciutats

ha hont hià conffraria»119.

116 «Far lavoro del proprio mestiere». 117 «Tre lire di moneta corrente».

118 Come leggiamo nella disposizione numero 4 dello statuto. 119 «Come costuma nelle città che hanno già confraternite».

Nel testo dello statuto si incontrano più volte i termini di mestres, obrers e aprenedis120, sui quali può essere utile fare alcune precisazioni, anche se in linea generale conosciamo già i loro ruoli. I maestri erano gli unici abilitati a tenere bottega e a stipulare contratti d’opera; avevano piena responsabilità sui lavori finiti, per i quali potevano avvalersi della collabora- zione di semplici operai o giovani apprendisti: figure totalmente subordinate e prive di qual- siasi autonomia. Il lavorante (obrer) veniva assunto direttamente dal maestro e non aveva nessuna possibilità di elevarsi socialmente. Sarebbe rimasto un semplice operaio a vita. Di- verso era il discorso per gli apprendisti che, al termine di lunghi (e spesso duri) anni di for- mazione sotto la responsabilità di un maestro, potevano sperare di aver maturato le compe- tenze richieste per conseguire l’ambita qualifica. Cosa non certo scontata, visto l’ostacolo dell’esame. Gli apprendisti giudicati non idonei all’esercizio della professione potevano co- munque lavorare nel settore edile (se privi di alternative) ma come semplici obrers121.

L’accesso alla maestria «passava obbligatoriamente per l’apprendistato»122. Gli apprendisti

erano in genere adolescenti sui 12-16 anni destinati a trascorrere un tempo molto lungo (dai 4 ai 9 anni) alle dipendenze di un maestro da cui dovevano imparare il mestiere. Il contratto (denominato carta, da cui encartament123), di cui erano garanti i genitori o altri parenti del

giovane, aveva una formula comune a tutti i mestieri: l’aprenedis, chiamato spesso anche

criat (servo), si impegnava a servire il maestro «tant en sa casa com en botiga»124 e a rispet-

tarne completamente l’autorità, senza percepire alcun compenso per i lavori svolti. In caso di furto o di fuga del ragazzo erano i garanti a dover rispondere a titolo oneroso, mettendo a di- sposizione i loro beni per un adeguato risarcimento. Non tutte le famiglie, quindi, potevano permettersi di avviare un figlio all’apprendistato perché significava rinunciare a un eventuale impiego retribuito del giovane. In ogni caso il requisito minimo era possedere i mezzi suffi- cienti «per prestare le garanzie contrattuali»125.

Il maestro, a sua volta, si impegnava a istruire il giovane secondo coscienza («segons nostre

Señor Deu li administrarà»126), con l’obbligo di farsi carico del suo mantenimento in base alla

propria condizione economica e di corrispondergli vestiti e strumenti necessari per svolgere la professione autonomamente una volta terminato il periodo di tirocinio. Esisteva anche un altro particolare tipo di contratto di breve durata (circa un anno) con cui il giovane poteva per- fezionare l’arte (acabar carta127) nella bottega di un altro maestro.

120 A Cagliari e Sassari l’apprendista era detto mosso.

121 Cfr. G. Olla Repetto, Lavoro…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 233.

122 Ivi, p. 228 e pp. 228-234. Si veda anche M. Tintó, Las corporaciones…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corpo-

razioni…, cit., p. 251.

123 Per avere un’idea sulla formula generale dei contratti di apprendistato, sempre molto simili tra loro, si veda in

particolare l’appendice documentaria n.1 pubblicata in T. Budruni, Breve…, cit., vol. 2, pp. 163-165.

124 Ivi, p.165. «Così in casa come in bottega».

125 G. Olla Repetto, Lavoro…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., pp. 230-231. 126 Cfr. T. Budruni, Breve…, cit., vol. 2, p. 165. «Così come nostro signore Dio lo guiderà». 127 «Concludere l’apprendistato».

La decima prescrizione dello statuto algherese [A09] dispone una sanzione per quei giovani che avessero interrotto anzitempo il periodo di formazione: «qualsevol criat que exira da car-

ta»128 doveva pagare una multa di dieci soldi (troppi per un giovane praticamente nullatenen-

te); in caso contrario non avrebbe potuto percepire alcun salario in futuro129 («no puga guan- jar jornal»). L’obiettivo era quello di arginare gli episodi di ribellione e di fuga, tendenze piut-

tosto diffuse tra i giovani apprendisti e considerate gravi violazioni.

La vita dell’aprenedis, spesso più un servo che un artigiano, non doveva certo essere sem- plice. A servizio notte e giorno di maestri-padroni, quasi sempre autoritari e con ampi poteri coercitivi, in una società (tra basso Medioevo e l’età moderna) che ovviamente non contem- plava diritti e tutele per i minori. In un quadro di questo tipo colpisce l’ultima norma (Capitol

XXXXII) dello statuto cagliaritano che impedisce a quei maestri «che non siano sufficienti»130

di tenere un apprendista (detto mosso a Cagliari) alle proprie dipendenze, affinché «lo mos-

so no perda lo temps». Si tratta di una disposizione aggiunta con l’integrazione del 1560 (di

quasi un secolo successiva allo statuto originario), che evidentemente cerca di tutelare la formazione artigianale dei giovani e di raddrizzare la tendenza di farne più dei servi che degli artigiani. Una misura che si può annoverare a tutti gli effetti tra le norme adottate nelle varie città del Mediterraneo aragonese per garantire la qualità.

È vero che la giornata tipo di un apprendista era piuttosto dura ma ciò non significa che maestri e lavoranti avessero vita facile, almeno a giudicare dall’orario di lavoro previsto nel Regolamento municipale sulle tariffe delle arti e dei mestieri131: i falegnami, i muratori e i loro

operai venivano pagati a giornata (jornal) «traballant de quant ìx lo sol fins que se colga»132.

3.3.5. I lavoratori stranieri

Un’altra questione centrale negli statuti di quasi tutte le città del Mediterraneo aragonese è quella dell’assorbimento dei lavoratori stranieri133 nelle confraternite locali. Un’eventualità che

128 «Qualsiasi apprendista che esca dal contratto».

129 Nei casi peggiori il giovane poteva essere punito con l’interdizione a vita dal mestiere. Cfr. G. Olla Repetto,

Lavoro…, cit., in A. Mattone, (a cura di), Corporazioni…, cit., p. 232.

130 «Item ordenan y manan que qual se vol mestre que no sia suficient no puga ni dega tenir mosso encartat per

apendre lo offici, e aco a effecte que lo mosso no perda lo temps». Cfr. E. Garofalo, Le arti…, cit., p. 222.

131 Il Regolamento municipale sulle tariffe delle arti e dei mestieri (“Tarifa de traballadors de cada offici”) della città

di Alghero, datato 1658 [A12], è conservato all’Archivio Storico del Comune di Alghero: ASCA, Fald. 1650/13. È

stato pubblicato in T. Budruni, Breve…, cit., vol. 2, pp. 199-206.

132 Ivi, p. 202. «Lavorando dall’alba sino al tramonto».

133 Come sottolinea Emanuela Garofalo, il concetto di straniero è abbastanza vago. Gli statuti in genere regolano

il lavoro artigiano nel contesto urbano di riferimento e, in certi casi, in un territorio più ampio comprendente diversi centri infeudati. È il caso ad esempio di quei maestri che avevano superato l’esame per l’esercizio della profes- sione a Sassari e potevano operare nell’intero Capo di Sassari e nella regione del Logudoro (stessa cosa avveni- va per i maestri cagliaritani che potevano operare nel Capo di Cagliari e nella regione del Campidano). Si suppo- ne, quindi, che gli stranieri fossero tutti coloro che provenivano dai centri regolati da una diversa giurisdizione. Lo

si verificava con una certa frequenza, considerata la disinvoltura con cui gli artefici si sposta- vano da un capo all’altro del regno. L’indirizzo prevalente è quello di imporre precise limita- zioni all’immigrazione di operatori esterni, più o meno severe a seconda dei casi.

In quei contesti con una forte tradizione costruttiva, ma- gari con una scuola di maestri che aveva guadagnato un certo prestigio ben oltre i confini locali, è comprensibile che la disponibilità ad accogliere i forestieri fosse piutto- sto ridotta134. È questo il caso di Barcellona, Maiorca e

Valencia, dove si adottano misure per contenere l’afflusso di lavoratori stranieri che prevedono oneri eco- nomici oltre all’obbligo di superare un esame, con modali- tà specifiche per ogni città. Anche gli stranieri che aveva- no già operato come maestri nei territori di origine dove- vano sottoporsi alle prove di idoneità e quindi al potere discrezionale delle corporazioni. Non c’è dubbio che gli esami costituissero un forte strumen- to di controllo: un’efficace forma di protezionismo per quelle confrarias determinate a salva- guardare il proprio primato professionale. Nel complesso però è impossibile fare delle gene- ralizzazioni perché si registrano atteggiamenti molto diversi, talvolta anche opposti, nei ri- guardi dei forestieri, in città che hanno condiviso stesse sorti storiche, politiche e artistiche. Se ci spostiamo a Girona o a Perpignan, per esempio, si nota immediatamente una maggio- re apertura. Ai maestri che provenivano da fuori città era sufficiente dimostrare di aver già conseguito altrove la qualifica per l’esercizio della professione135. Non era previsto alcun tipo

di esame neanche a Capua, mentre a Napoli e nella contea di Modica gli statuti non conten- gono norme specifiche per regolamentare l’ingresso degli stranieri tra gli artefici locali. Da Modica a Palermo le cose cambiano. Per entrare tra le fila dei fabricatores e dei marmorari palermitani era necessario superare un esame e pagare una tassa. Il documento corporativo chiarisce inoltre l’esclusione dei maestri stranieri dalle cariche di vertice dell’associazione136.

Arriviamo finalmente in Sardegna dove, nella definizione delle norme che regolano il tratta- mento riservato ai forestieri, pesa certamente il modello catalano. A Cagliari, così come a

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