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autenticità di un pensiero relazionale

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 110-116)

di Iolanda Poma

Il riferimento principale del mio contributo va al saggio di Armando Rigobello, Autenticità nella differenza 1, rispetto al quale procedo come

durante i nostri storici seminari di dottorato all’Università di Roma Tor Vergata, da lui coordinato, e che ricordo come piccoli ma intensi mo- menti e luoghi di fermento. L’attenzione per la posizione di ciascuno si dava nell’esperienza del pensare insieme, grazie alla relazione che ci legava e che rispettava le nostre differenze e che, anzi, le faceva essere: se vogliamo, un esempio di autenticità nella differenza, o differenza che rende autentica la relazione.

Il confronto con questo testo mi permette di tornare a soppesare il ruolo e il significato del soggetto, che rimane uno dei temi principali della mia ricerca, talvolta avvicinandomi, talvolta allontanandomi dal- la proposta di Rigobello, sicuramente condividendo l’urgenza di quel pensiero. Sottolineo quindi i caratteri che ritengo più significativi del soggetto rigobelliano, per come emergono da questo scritto ricco di spunti, pur nella linearità di un pensiero fatto di tensioni attenuate, di accenni discreti, non per questo meno incisivi. Credo di poter dire che le sfumature di significato costituiscano l’aspetto più suggestivo di questo scritto e forse del pensiero stesso di Armando Rigobello (e, di nuovo, cos’è la sfumatura se non questa sottile, quasi impercettibile

differenza, che rende autentico un discorso?).

La prima sfumatura è contenuta in un’affermazione all’inizio del sag- gio, secondo cui l’autenticità “si trova intenzionalmente rivolta a risolversi nella nozione di identità” (p. 7). Nel riferimento alla sfera gravitazionale dell’identico, l’autenticità esprime un’intenzionalità e in questo sembra lasciarsi ricondurre a un qualche potere decisionale da parte del soggetto.

Ma l’esito, al contrario, non è da lui intenzionato, e infatti Rigobello ag- giunge che l’autenticità «all’interno del “più proprio” dell’identità intro- duce una articolazione che ne rompe la costituzione univoca» (ibid.). È da pensare, quindi, che intenzionalmente il soggetto voglia raggiungere la propria autenticità, costituendosi nella forma dell’identico, ma l’autentici- tà ricercata sopraggiunga (potrei dire, inintenzionata) come ciò che spacca l’univocità di quella costituzione, rendendo quell’identità duplice o mol- teplice. L’autenticità non è perciò da considerarsi come un marchio di garanzia che il soggetto conferisce a se stesso, un attributo da appuntare come una medaglia sul suo petto gonfio d’orgoglio, come l’ornamento innocuo del suo perentorio “io”. L’autenticità dice la verità dell’essere che egli è, se solo egli rinuncia a catturare ciò che sfugge ai suoi calcoli. Il più proprio porta fuori di sé, implica un morire a se stessi, diverso però dalla morte che ribadisce la più piatta e immobile delle identità 2.

Allora l’identità dell’uomo è percorsa da un’ineludibile differenza. Ed è questo a far sì che essa si dia nella forma della relazione tra ciò che le è intimo e ciò che le è intimamente estraneo (estraneità interiore). Poiché aderiamo alla nostra vita, non possiamo staccarla da noi per oggettivarla, ma non per questo coincidiamo con essa: questa estraneità interiore impedisce la chiusura dell’io su di sé, che provocherebbe la morte per asfissia del soggetto 3.

Seconda sfumatura. L’estraneità che tocca l’interiorità viene de- scritta da Rigobello come «un livello di realtà che ci è immanente ep- pure ci supera, che è estraneo alla soggettività empirica eppure ci co- stituisce» (p. 8), a significare che ciò che individua il soggetto non è ciò che gli appartiene. Il più proprio del soggetto è ciò di cui il soggetto non può propriamente appropriarsi: il più proprio dell’uomo è di non essere a se stesso proprio. L’impossibilità insita nella nostra possibilità

2 Pur riconoscendo a Heidegger la struttura relazionale dell’identità, Rigobello non condi- vide la funzione trascendentale da lui attribuita alla morte, che sembra ricondurre al dominio dell’uguale in cui tace ogni relazione. Il vero trascendentale è per Rigobello l’autenticità, che si dà come il contesto entro cui si articola la realtà complessa dell’uomo: questi i termini del suo confronto, critico ma costruttivo, con Heidegger, a partire appunto dal termine di “autentici- tà”, che nel corso dello scritto egli cerca di slegare da una grammatica del proprio e del mede- simo per farne il grimaldello in grado di forzare il profilo identitario della condizione umana.

3 In questa riflessione il mio riferimento va al pensiero di Gabriel Marcel, a cui ho dedicato alcuni miei scritti e con il quale ho reso omaggio a Rigobello per il volume a lui dedicato, Pas-

sione dell’originario. Fenomenologia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa (Edizioni Studium,

Roma 2000), curato da Emilio Baccarini; Gabriel Marcel, a cui anche Rigobello ha rivolto la sua attenzione per lo meno in due scritti: L’esperienza del trascendente in Marcel e la filosofia

come “philosophie de l’esprit”, in AA.VV., La filosofia dal ’45 a oggi, ERI, Torino 1976, e il

volume L’impegno ontologico. Prospettive in Francia e riflessi nella filosofia italiana, Armando, Roma 1977.

propria, l’ineliminabile differenza tra sé e sé, non è ancora l’autenticità, ma è la premessa perché si dia autenticità: «La differenza come elemen- to costitutivo dell’identità rende possibile l’autenticità e l’inautenticità di una cosa» (p. 14). Bisogna prendere sul serio il carattere ancipite di questa differenza che si dà nell’identità. Di per sé la non-coincidenza di sé con sé è un dato esistenziale insuperabile che specifica la condizione ontologica fondamentale dell’uomo, da cui possono dipartirsi direzioni diverse se non addirittura opposte, come opposti sono l’autentico e l’inautentico 4. Ossia, la direzione (autentica) che lascia essere quell’a-

pertura, attraverso la quale può entrare la trascendenza di una verità che s’incardina nella nostra vita, ma anche la direzione (inautentica) che emerge dall’insopportabilità di quella non-coincidenza, che suscita l’esigenza (illusoria, ma che comunque produce effetti reali!) di voler chiudere con le proprie mani, con le sole forze del proprio pensiero, quell’apertura, spingendo a escludere tutto ciò che può minacciare una compattezza artificialmente costruita. Gesto tipico, questo, del sogget- to moderno che ha fatto coincidere la propria emancipazione con l’ap- propriazione di sé, a esclusione di ogni forma di esteriorità: gesto che si è rivelato inappropriato, nel senso che ha mancato il bersaglio della propria appropriatezza, dell’autenticità che consiste nel vivere quella non-coincidenza come apertura di una relazione. E trovo giusta la scel- ta di Rigobello di ricorrere al termine “estraneo”, perché l’estraneità (più dell’alterità), nello choc che il suo significato produce, ha intrinse- ca la possibilità del rifiuto della relazione; è un termine che contiene in sé una minaccia per il soggetto che teme di perdersi, perché è qualcosa che, come egli dice, «pone in crisi la solitudine dell’identico, la sua autosufficienza» (p. 9).

Terza sfumatura. Per descrivere la natura relazionale dell’identità, Rigobello parla di “identità sintetica relazionale” (ibid.), proponendo di leggere la sintesi non alla maniera idealistica, come risoluzione su- periore di ogni contraddizione intermedia, ma come dialettica aperta dalla sproporzione presente nell’uomo tra contesto empirico e inte- riorità. Perciò è una sintesi che si apre alla relazione per dare fiato alla differenza; anzi, una sintesi tenuta aperta proprio dal diverso, come avviene nella dialettica negativa di Adorno, in cui il non-identico si presenta come l’identità contro le sue identificazioni e contro le chiu- sure del suo concetto 5. La differenza non si riduce a un’interferenza

4 «Distinzione tra interpretazione autentica e interpretazione inautentica, tra esistenza fe- dele al suo “più proprio” ed esistenza che da esso si discosta» (p. 19).

da ridurre a sé, ma è un irriducibile attraverso cui comprendiamo l’identità.

In un ulteriore passo Rigobello colloca questa identità sintetica re- lazionale in un contesto antinaturalistico e quindi in una dinamica pro- priamente coscienziale e spirituale 6. Qui cerco di orientare la mia rifles-

sione nel senso di un’integrazione del discorso che sto intessendo con quello di Rigobello, per evitare che si possa pensare a una separazione tra le dimensioni naturale e spirituale dell’uomo. Si potrebbe dire che la natura non ha bisogno di rivelare a se stessa la propria autenticità; l’uomo sì, perché l’uomo può non essere autentico, come sottolinea Ri- gobello quando dice che «l’autenticità è una particolare relazione signi- ficante» (p. 14), il che implica dunque la possibilità permanente del suo contrario, il pericolo di un misconoscimento e il compito imposto di un riconoscimento 7, attraverso il lavoro necessario dell’interpretazione e

l’impegno costante della testimonianza 8: gli aggettivi stanno a indicare

che l’esito non è mai assicurato una volta per tutte; questo a partire dal- la costitutiva struttura dell’uomo, che lo vede divenire nell’esperienza continua dell’irrompere della differenza temporale.

La diversificazione dei piani sensibile, intelligibile e interiore, che struttura dinamicamente l’unità della realtà umana 9, lungi dall’indicare

un rafforzamento dell’uomo, si rivela un suo di più rispetto alla natura

ciclo coordinato da Armando Rigobello, poi pubblicata con il titolo Minima philosophiae. La

modernità in Th. W. Adorno, Trauben, Torino 1998.

6 «La nozione di autenticità, se è applicabile a ogni realtà sia pure intesa naturalistica- mente, è nella realtà umana che rivela la sua essenza». Questo per il primato della “coscienza riflessa” che riconosce quell’intima relazione e che, con ciò, toglie l’«identità dalla sua soli- tudine logica e metafisica» (p. 9): «Il più proprio dell’identico è [...] cogliersi nella dinamica coscienziale» (p. 10).

7 Cfr. pp. 17-18.

8 «Vivere l’identico nella differenza [...] non è uno status conseguito una volta per sempre, è un gesto interiore e pratico che non si esaurisce nella consapevolezza ma richiede una fedeltà sempre rinnovabile e quindi un’esposizione alla infedeltà sempre possibile» (pp. 20-21). Come osserva Ugo Perone, facendo riferimento al testo di Rigobello, «la concezione personale della verità scopre, nel gioco rischioso della persona che ricerca tra identità e differenza la propria autenticità, l’estraneità interiore come luogo ineludibile e prezioso. Il rapporto con la verità non è negato né tolto, ma la relazione, assumendo, almeno per un momento, la forma dell’e- straneità (che va fino a coingere l’interiorità stessa della persona, sbalzata fuori di sé) risulta per lo meno interrotta» (Nonostante il soggetto, Rosenberg & Sellier, Torino 1995, pp. 177-178). Si profila «un margine sottile, inabitabile, che non è lo spazio tra il soggetto e l’oggetto né tra il soggetto e la verità, ma la differenza nell’identità» (ivi, p. 190). È evidente il capovolgimento di ciò che in Rigobello, per definire l’autenticità, si presenta come identità nella differenza. Senza voler essere un’opposizione, con questa espressione Perone sottolinea lo «spazio rischioso di questo margine» in cui può darsi l’esperienza autentica della testimonianza.

che invero ne individua un’intrinseca fragilità. L’uomo, infatti, è abitato dalla possibilità costante di venire meno a se stesso, di mancare l’essere proprio, che non manca in natura, perché in natura non c’è volontà e quindi nemmeno la possibilità di essere altro da ciò che è. L’uomo è più debole, perché intaccato dall’arbitrio; se egli comprendesse fino in fon- do di essere libero ma anche naturale, capirebbe che dare gradualmente forma alla propria libertà non significa negare la propria provenienza naturale, perché la libertà non è l’opposto della necessità, bensì del libero arbitrio. Ed ecco perché l’uomo può riconoscere nella natura un modello per la sua vita spirituale, perché lì trova una dimensione dell’essere priva di arbitrio; una necessità in cui può brillare la luce del bene 10.

Per smantellare la solitudine logica e metafisica dell’uomo non si può tendere a un trascendimento, dimentico del suo necessario radica- mento. Contesto naturale e dinamica coscienziale, procedendo in que- sta direzione, rappresenterebbero la giusta alternativa ai soliti dualismi: soliti, come solita è l’identità solitaria a partire dalla quale questi dua- lismi si producono. Solo un movimento differenziante reale, quale si dà nell’esperienza insieme fisica e spirituale dell’uomo, può neutraliz- zare fratture dualistiche e dicotomiche. D’altronde Rigobello intende l’autenticità come la condizione trascendentale attraverso cui le diverse dimensioni umane si articolano tra loro 11.

Ecco che adesso è possibile collocare nel percorso quella dinamica coscienziale che specifica l’«autenticità propria del soggetto umano» (p. 10). Ecco a cosa “servirebbe” la coscienza consapevole. D’altronde, a pensarci bene, siamo presi dall’impressione (illusoria) di coincidere con noi stessi, quando la nostra coscienza è sopita. Perché quando riflettiamo su noi stessi, non possiamo che riconoscere l’insuperabile nostra condi- zione dis-centramento esistenziale, di scarto incolmabile. È come se gli addentellati non combaciassero: la cerniera resta aperta. L’identità irrela- ta è un’illusione che permane finché ci si sottrae all’autoriflessione.

Ora, come arrivare al riconoscimento di questa inevitabile diffe- renza? La risposta mi sembra suggerita da Rigobello nei passaggi del suo scritto in cui egli resiste al superamento e alla dissoluzione del sog-

10 E qui sarebbero molti i riferimenti, da Kant a Rousseau, a Simone Weil. Al tema ho dedicato alcuni studi: Natura e libertà. Chiasmo antropologico in Kant e Marcel, in AA.VV, La

filosofia come servizio. Studi in onore di Giovanni Ferretti, Vita e Pensiero, Milano 2009; Di necessità virtù. Natura e bene morale, in AA.VV., Filosofia e spazio pubblico, il Mulino, Bologna

2012; Ecologia umana, esperienza di trascendenza, in AA.VV., Ma di’ soltanto una parola. Eco-

nomia, teologia, ecologia, EDUCatt, Milano 2013; Uomo-natura: dalla dipendenza al vincolo, in Philosophical News, numero 10, giugno 2015.

getto 12. Direi che il processo attraverso il quale arriviamo a riconoscere

una differenza autentica in noi stessi sia quello in cui ci soffermiamo con ostinata attenzione su di noi fino a far emergere la dinamica di una differenza che ci percorre. Senza dubbio la differenza è più inaggirabile dove non ce la si aspetta, dove anzi si fa di tutto per celebrare l’identità, come nel caso della scrittura autobiografica, di cui mi sono recente- mente occupata 13. L’io che scrive di sé è costretto ad ammettere che nel

proprio racconto si è insinuata una differenza, resa tanto più inconte- stabile quanto più è stato fatto di tutto per escluderla. Ecco che allora possiamo dirci certi che stiamo facendo esperienza di alterità, senza il rischio di facili proiezioni. Ciò che resta è l’inaggirabilità del soggetto, come mi sembra sottolineare con forza Rigobello nel suo saggio.

Mettendomi in dialogo con questo testo, tante voci sono soprag- giunte: a testimoniare la genesi ininterrotta di un pensiero, quello di Armando Rigobello, autenticamente relazionale.

Iolanda Poma

SOMMARIO

L’articolo si sofferma sul saggio di Rigobello, Autenticità nella differenza, per ripren- dere alcuni tratti della soggettività umana qui descritta. L’identità dell’uomo è per- corsa da una differenza, da un’estraneità interiore, che elimina il suo presunto potere su di sé, ma restituisce all’umanità la sua dimensione autentica: la non-coincidenza di sé come apertura di una relazione. Lavorando su di sé, il soggetto scopre il profilo ermeneutico della sua comprensione e l’impegno della testimonianza.

SUMMARY

This paper focuses on Rigobello’s work, Authenticity in the difference, to resume some traits of human subjectivity here described. The human identity is crossed by a difference, by an inner foreignness, that eliminates his alleged power about himself, but returns to the mankind its authentic dimension: the non-coincidence of self as an opening of a relationship. Working on himself, the man discovers the hermeneutic profile of his understanding and the commitment of the testimony.

12 Che per lui coincide con il superamento della coscienza, che egli intravede nell’apertura del soggetto all’Essere che, oltre Heidegger, prosegue verso un esito che, come in Deleuze, destina alla dissolvenza l’identità in un caleidoscopico gioco di differenze (cfr. pp. 15-18).

13 Cfr. I. Poma, Una genesi ininterrotta. Autobiografia e pensiero in Jean-Jacques Rousseau, Mimesis, Milano 2013; L’assoluto autobiografico. Paradossi e prospettive del racconto filosofico

Il dottorato come allargamento

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 110-116)