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alla scoperta della filosofia americana

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 141-159)

di Elisa Buzzi

Nel complesso dell’opera di Armando Rigobello la filosofia americana non occupa uno spazio cospicuo: una introduzione al volume antologico La fi-

losofia americana contemporanea del 1960 e alcune pagine di presentazione

del “Personalismo americano”, ancora in un’opera antologica, Il Personali-

smo, del 1975 1. La lettura di questi testi offre, tuttavia, spunti di riflessione

su due fronti. Da un lato infatti aggiunge un tassello utile a ricostruire nella sua completezza la figura di Rigobello: l’ampio respiro dei suoi interessi e della sua cultura filosofica e quella curiosità intellettuale che lo ha spinto a inoltrarsi anche in percorsi poco frequentati dalla storiografia filosofica, senza perdere di vista l’orizzonte di una ben definita prospettiva ermeneu- tica, la centralità di «una concezione globale della persona» 2. Da un altro

lato, tale ampiezza di orizzonti unita alla sicurezza di riferimenti speculativi ha permesso a Rigobello di cogliere aspetti della filosofia americana, ricon- ducibili a istanze in senso lato spiritualistiche e, in senso più specifico, per- sonalistiche, che, pur esprimendosi in correnti apparentemente marginali nella cultura filosofica americana della metà del ’900, in realtà si collocano «all’interno della maggiore linea del pensiero in America» e, consentendo di individuarne «una linea di sviluppo unitario», offrono la possibilità di comprendere più compiutamente «quel fatto di singolare rilevanza ed at- tualità che è la civiltà americana oggi» 3.

Questi giudizi di Rigobello, a distanza di più di mezzo secolo, possono apparire scontati, ma nell’epoca in cui venivano pronunciati

1 A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, Società Editrice Internazionale, Tori- no 1960; Il Personalismo. Scelta antologica a cura di A. Rigobello, G. Mura e M. Ivaldo, Città Nuova Editrice, Roma 1975

2 Cfr. A. Rigobello, Introduzione, in Il Personalismo, cit., pp. 82-83. 3 Cfr. A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, cit., pp. 5, 2.

introducevano una novità in grado di iniettare il germe dell’“inquie- tudine” in letture riduttive del pensiero americano. In questo senso non è azzardato affermare che le riflessioni di Rigobello ponevano al centro questioni che anche negli Stati Uniti iniziavano appena ad essere tematizzate esplicitamente e che, in seguito, hanno costituito l’argomento di un dibattito sempre acceso e tutt’altro che concluso 4.

Esse, inoltre, suggeriscono ipotesi di interpretazione della storia della filosofia americana sempre più condivise dalla recente storiografia fi- losofica d’oltreoceano. Mi riferisco in primo luogo a tutte le questioni che ruotano intorno all’idea stessa di “filosofia americana”. Anche a prescindere dalla domanda più generale se sia corretto connotare in senso nazionale la speculazione filosofica, sorge il problema se, nono- stante il giudizio di de Tocqueville 5, sia possibile parlare di una filosofia

americana in senso proprio, con una linea di sviluppo unitario, con un canone di “pensatori rappresentativi” 6, con un suo carattere originale,

e, eventualmente, quale sia questo carattere, quali i suoi rapporti con le correnti filosofiche europee che sono via via approdate sulle coste ame- ricane in analogia e, talvolta, in concomitanza con le ondate migratorie che hanno plasmato l’identità nazionale e culturale del “Nuovo Mon- do”. La filosofia in America è sostanzialmente un fenomeno migratorio che ha generato e continua a generare un pluralismo irriducibile di posizioni, vanificando ogni tentativo di individuare una tradizione au- toctona 7, oppure è frutto di una “discontinuità” che ha prodotto una

sintesi intellettuale del tutto nuova e “sorprendente”? 8 E in che pun-

to si colloca precisamente questo clinamen: nella New England Way delle colonie puritane, con la maestosa architettura teologico-filosofica di Jonathan Edwards 9, o in quel periodo di rivolgimenti politici, reli-

4 Cfr. M.A. Singer, The Context of American Philosophy, in American Philosophy, ed. by M.A. Singer, Cambridge University Press, Cambridge-London-New York 1985, pp. 1-20; B. Kuklick, Does American Philosophy Rest on a Mistake?, ibid., pp. 177-189; Id., A History of Phi-

losophy in America, 1720-2000, Oxford University Press, Oxford-New York 2001, pp. X-XIII.

5 Cfr. A. de Tocqueville, La democrazia in America, in Scritti politici, vol. II, a cura di N. Matteucci, Utet, Torino 1968, p. 491.

6 Già nel 10911 Josiah Royce indicava un tale canone di “filosofi rappresentativi” d’A- merica in Jonathan Edwards, Ralph Waldo Emerson e William James. Cfr. J. Royce, William

James and the Philosophy of Life, in William James and Other Essays in the Philosophy of Life,

Macmillan Co., New York 1911, pp. 3-45.

7 Cfr. H. Schneider, A History of American Philosophy, 2nd ed., Columbia University Press, New York 1963, pp. VII-VIII.

8 Cfr. M.A. Noll, America’s God: From Jonathan Edwards to Abraham Lincoln, Oxford University Press, Oxford-New York 2002, p. 9.

9 S.H. Lee, The Philosophical Theology of Jonathan Edwards, Princeton University Press, Princeton 1988, pp. 3-4.

giosi e intellettuali che va dalla Rivoluzione alla Guerra Civile, con il fiorire dell’Academic Orthodoxy 10; nei Trascendentalisti di Concord, in

particolare con Emerson, vero archetipo dell’intellettuale organico del mito americano 11, o nei Pragmatisti di Cambridge? E, anche ammesso

che non esista una tradizione unitaria nella filosofia americana, quanto piuttosto «una complessa interazione di tradizioni eterogenee e persino eteronome» 12, quali e quante sono tali tradizioni, e quali sono gli ele-

menti che permettono di qualificarle come propriamente americane e che ne consentono l’interazione? 13

Rigobello condensa questi interrogativi in due problemi di storio- grafia filosofica: «la precisazione dell’inizio della filosofia americana da fissarsi nell’età dei Padri Pellegrini [...] oppure da spostarsi al sorgere del pragmatismo [...]; il significato delle due cosiddette anime della filosofia americana, la romantico-idealistica e la pragmatico-naturalisti- ca» 14. La formulazione di questi problemi e l’obiettivo dichiarato della

sua ricerca – «il tentativo di individuare la condizione delle istanze spi- ritualistiche» in seno alla filosofia americana della prima metà del XX secolo 15 – lasciano intendere che almeno la risposta a uno dei preceden-

ti interrogativi, quello relativo all’esistenza di una filosofia genuinamen- te americana, con una linea di sviluppo unitario, è data per acquisita in senso affermativo. Questa risposta rappresenta già una novità che ha il sapore di una scoperta. In effetti, nella cultura filosofica italiana si registrava da tempo un filo ininterrotto di interesse per le vicende del pensiero americano: le opere di James, Royce, Dewey erano state tradotte, studiate e commentate, a partire da primi anni del ’900 fino al secondo dopoguerra, da un discreto numero di valenti studiosi 16.

10 Cfr. M.A. Noll, America’s God, cit., pp. 439-445; D. H. Meyer, The Instructed Con-

science. The Shaping of the American National Ethic, University of Pennsylvania Press, Phila-

delphia 1972.

11 C. West, La filosofia americana, trad. italiana a cura di R. Recchia Luciani, Editori Ri- uniti, Roma 1997, pp. 11-54; R.B. Goodman, American Philosophy before Pragmatism, Oxford Universty Press, Oxford-New York 2015.

12 M.A. Singer, The Context of American Philosophy, cit., p. 5.

13 Cfr. H.F. May, The Enlightenment in America, Oxford University Press, Oxford-Lon- don-New York 1976, pp. 358-362; J. Stout, Democracy and Tradition, Princeton University Press, Princeton 2004.

14 A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, cit., pp. 7-8. 15 Ibid., p. III.

16 Per citare solo gli esempi più significativi, basti pensare al rapporto di William James con i pragmatisti italiani, in particolare con il suo «compagno in Pragmatismo di Firenze», Giovanni Papini, che ne traduceva con zelo i testi fin dal 1906; o alle traduzioni delle opere di Royce da par- te di Giuseppe Rensi e Ernesto Codignola e, ancora, agli studi dedicati a questo “pensatore ame- ricano” da Francesco Olgiati, e da un discreto numero di studiosi tra gli anni Venti e Trenta. Nel

Questi studi, tuttavia, si concentravano per lo più su singoli pensatori o scuole, quasi sempre isolandoli dal contesto di una interpretazione globale della filosofia americana come fenomeno unitario e, forse con l’eccezione dell’interpretazione “antifilosofica” del Pragmatismo offer- ta da Papini, tendevano a ricondurre tali pensatori e scuole nell’ambito di classificazioni e di contrapposizioni tipiche del pensiero europeo. Il che, per molti aspetti è senz’altro corretto, ma non rappresenta tutta la verità e, come osserva Rigobello, non permette di cogliere la forma originale in cui, in America, vengono riformulati problemi e dottrine maturati in Europa 17.

Nel periodo tra gli anni ’60 e ’70 Rigobello non è l’unico ad avvertire la necessità di un approccio al pensiero americano meno frammentario e orientato a coglierne i tratti distintivi. Nella stessa epoca diversi filo- sofi italiani si impegnavano in indagini che rispecchiavano un’analoga esigenza, anche quando si concentravano su singoli pensatori e movi- menti o quando tendevano a sottolineare motivi speculativi affini alle contemporanee vicende della filosofia europea 18. Gli antefatti di questo

mutato atteggiamento sono molteplici: anzitutto le circostanze storiche e culturali del secondo dopoguerra non permettevano più di ignorare la “singolare rilevanza” della civiltà americana e il suo impatto sulla cultura europea e globale. Non a caso, nello stesso periodo, cominciavano a cir- colare in Italia le traduzioni delle prime ricostruzioni unitarie della storia della filosofia americana 19. Per quanto riguarda poi il gruppo di studiosi

genericamente definibili di area cattolica è certamente significativo anche lo stretto rapporto con la cultura filosofica francese e, più in generale,

periodo immediatamente successivo si situa l’interesse di A. Banfi per il pensiero di Santayana e di Whitehead. Non si può infine dimenticare il decisivo impatto del pensiero di Dewey in Italia, grazie alle traduzioni e agli studi di Lombardo Radice e, soprattutto nel secondo dopoguerra, di Codignola, Borghi, Visalberghi, Albeggiani, Raccuglia, Galcano, Pedrazzi, Santucci, Abbagnano, Banfi, Bertin Geymonat, Preti, Dal Pra, Bausola, Alcaro. Cfr. L. Bellatalla, Dewey e la cultura

italiana del Novecento, ETS, Pisa 1999; Id., Dal laicismo deweyano agli interpreti laici nell’Italia dell’immediato dopoguerra, in John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, a cura di G.

Spadafora, Anicia, Roma 2003, pp. 383-397; G. Scuderi, Banfi e Bertin sul pensiero deweyano, in

John Dewey.Una nuova democrazia per il XXI secolo, cit., pp. 399-412.

17 Cfr. A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, cit., p. 7.

18 Oltre alle opere di Rigobello, e agli studi già citati sul pragmatismo di Dewey nel secon- do dopoguerra, si possono ricordare, ad esempio, le ricerche di N. Bosco su Santayana e Peirce (Il realismo critico di Giorgio Santayana, Ed. di Filosofia, Torino 1955; La filosofia pragmatica di

Ch. S. Peirce, Ed. di Filosofia, Torino 1959); gli Studi sul pensiero americano di T. Manferdini,

(Ed. Alfa, Bologna 1960); il testo di G. Riconda dedicato a La filosofia di William James (Ed. di Filosofia, Torino 1962); l’opera di C. Sini, Il pragmatismo americano (Laterza, Bari 1970).

19 J. Blau, Movimenti e figure della filosofia americana, La Nuova Italia, Firenze 1957; H.W. Schneider, Storia della filosofia americana, Il Mulino, Bologna 1963.

con quell’ambiente intellettuale d’Oltralpe che aveva sempre mostrato una viva sensibilità per la “singolarità” della cultura americana, come ricorda Maritain all’inizio delle sue Riflessioni sull’America 20. E, proba-

bilmente, proprio questo testo, con le sue acute analisi sulla forma mentis americana, ha esercitato sui pensatori “cattolici” un influsso non trascu- rabile, anche quando indiretto, nella scoperta della filosofia americana. In esso, infatti, riceveva riconoscimento ufficiale l’esistenza in America di «grandi personalità intellettuali» e di un «corpo di materiale filosofico», genuinamente originale, pur nei suoi riferimenti al pensiero europeo 21.

Inoltre Maritain sottolineava la complessità e i contrasti al limite del pa- radossale, che tale originale elaborazione, in gran parte riconducibile alla sua “emancipazione dalla storia”, produce ad ogni livello della cultura americana; complessità e contrasti difficilmente catturabili dalle rappre- sentazioni che di essa venivano offerte nei termini di cliché quali materia- lismo, individualismo, borghesismo 22.

Ritroviamo anche in Rigobello un analogo invito alla circospezione nell’applicare alla filosofia americana definizioni convenzionali, troppo spesso superficiali e inaccurate, laddove nota che la sua originalità, data anche «dall’assenza di un’antica tradizione», si evidenzia soprattutto nel fatto che termini del lessico filosofico e politico assumono in essa un significato diverso rispetto al contesto europeo e queste differenze non si riducono «a sfumatura di atteggiamento psicologico, [ma] arrivano a modificare la rilevanza stessa dei vari significati» 23. Questo rilievo,

trova conferma, ad esempio, nel confronto tra il significato di naturali- smo nel positivismo europeo ottocentesco e quello che lo stesso termi- ne riveste nella prospettiva di Santayana 24. La stessa considerazione si

applica anche al significato dell’idealismo come nota dominante della filosofia americana, idealismo inteso non in senso strettamente tecni- co, quanto piuttosto come fede «consapevole o meno, nell’esistenza di un mondo organico di realtà e di valori, [...] che ci serve di misura nella valutazione e conferisce significato alla nostra attività», secondo

20 Cfr. J. Maritain, Riflessioni sull’America, Morcelliana, Brescia 1960, p. 13. Gli stessi riferi- menti storiografici generali di Rigobello nell’opera del 1960 provengono soprattutto dalla lettera- tura di area francese: l’Histoire de la Philosophie Américaine di G. Deledalle (Parigi 1954), in par- ticolare il Preface al testo di Deledalle scritto da J. Wahl, Les Philosophies Pluralistes d’Angleterre

et d’Amérique, dello stesso Wahl (Parigi 1920) e il saggio di J.A. Mourant, États-Unis d’Amérique et Canada, compreso nel primo volume dell’opera diretta da M.F. Sciacca Les grands courants de la pensée mondiale contemporaine (Marzorati, Milano 1958).

21 Cfr. J. Maritain, Riflessioni sull’America, cit., pp. 58-59. 22 Cfr. ibid., pp. 23-33, 68, 72-73, 124-136.

23 A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, cit., pp. 8-9. 24 Ibid., pp. 9, 82, 94-96.

l’espressione di H.G. Townsend 25. Il riconoscimento degli effetti che

l’affrancamento dall’“usura della tradizione” produce nelle stesse ca- tegorie definitorie del pensiero filosofico assume particolare importan- za nell’interpretazione di Rigobello a un duplice livello. Anzitutto, in senso più generale, egli se ne serve per delineare i caratteri distintivi e un’ipotesi di sviluppo della filosofia americana in opposizione ad in- terpretazioni unilaterali o parziali; in secondo luogo, con riferimento più specifico al personalismo americano, gli permette di individuare gli aspetti per cui quest’ultimo si inserisce nella “maggior linea di sviluppo del pensiero americano”, al cuore di quella “tendenza democratica” in cui si può ravvisare uno dei tratti distintivi della filosofia americana 26.

Per quanto riguarda il primo livello di interpretazione, l’aspetto più originale della analisi di Rigobello sta nel fatto che, nell’indicare il “si- gnificato dello spiritualismo in America”, egli non intende solo prendere le distanze dalle posizioni che identificavano la filosofia americana in

toto con il positivismo logico di importazione europea o con il neo-em-

pirismo scientistico di derivazione deweyana 27, ma anche correggere

interpretazioni più equilibrate ed organiche e tuttavia, a suo giudizio, non completamente giustificate. Rigobello si riferisce in particolare all’interpretazione di G. Deledalle secondo cui la filosofia americana avrebbe raggiunto la sua maturità e indipendenza dal pensiero europeo, «nell’erigere a cultura comune la riflessione sul darwinismo»; pertanto il suo carattere originale consisterebbe in un «naturalismo dinamico, evoluzionistico» 28. Il limite di questa interpretazione, obietta Rigobello,

è che in essa non trova adeguata giustificazione la «presenza dei valori nella filosofia americana», valori che non si esprimono solo in correnti secondarie e che si sviluppano in un contesto socio-culturale che fa sì che anche posizioni come il neo-realismo, il realismo critico, l’analisi del

25 Cfr. ibid., pp. 43-44. Cfr. anche H.G. Townsend, L’idéalisme en Amérique, in L’activité

philosophique contemporaine en France et aux États-Unis, Études puliées sous la direction de

M. Farber, Paris 1950, vol. I, p. 52; Id., Philosophical Ideas in the United States, Octagon Books, New York 1968, p. 4.

26 Cfr. J. Blau, Movimenti e figure della filosofia americana, cit., p. XI; B. Kuklick, The Rise

of American Philosopy, Yale University Press, New Haven-London 1977, p. XXIII.

27 Rigobello cita come esempio paradigmatico di questa interpretazione globale della filosofia americana come «positivismo logico o comunque come riflessione sulle metodologie della scienza» l’opera collettiva diretta da Ferruccio Rossi-Landi per il Centro di Studi Metodologici di Torino,

Il pensiero americano contemporaneo, pubblicata dalle Edizioni di Comunità a Milano nel 1958.

28 Questo carattere, secondo Deledalle, si rivelerebbe anzitutto nell’anti-cartesianesimo di fondo della filosofia americana e nel suo rifiuto dei dualismi e delle opposizioni che caratte- rizzano la moderna filosofia europea. Cfr. A. Rigobello, La filosofia americana contemporanea, cit., pp. 2-4.

linguaggio, lo scientismo, «ad un certo momento [...] sentono il bisogno

di individuare, nel contesto coerente delle loro argomentazioni, il posto dei valori» 29. Perciò Rigobello non si limita a confinare la sua diagnosi delle

condizioni e del significato delle istanze spiritualistiche in America alla persistenza, nel contesto pluralistico del mondo accademico americano, di espressioni filosofiche “controcorrente”, quale, ad esempio il realismo tomista, ma intende cogliere e interpretare la presenza e la rilevanza «dei valori nelle correnti [all]ora dominanti» 30. Di qui la sua inclusione nella

ricerca del “realismo integrale” di Santayana, del “prospettivismo” di Mead, persino del neopositivismo logico di Morris 31. È proprio all’inter-

no dell’orientamento più marcatamente naturalistico, in cui il pragma- tismo strumentalista tende a confluire in metodologia della scienza, che Rigobello coglie «l’eco [...] di quell’idealismo, il cui assoluto qui assume le forme della socialità» 32. In questa prospettiva Rigobello può sugge-

rire una prima ipotesi di soluzione dei due problemi storiografici che orientano la sua indagine: la filosofia americana inizia nell’epoca colo- niale «se intendiamo l’inizio come inizio della funzione accoglitrice delle idee dell’Europa decantandone alcuni problemi» 33; la persistenza delle

due anime, romantico-idealistica e pragmatico-naturalistica, è da conce- pirsi nei termini di progressiva maturazione nell’autoconsapevolezza del pensiero americano e, perciò, non in termini di statica opposizione, ma di progressiva unificazione. Infatti, già la prima unificazione, avvenuta in chiave pragmatico-naturalistica evidenzia «la presenza dei valori spi- rituali, non già come seconda anima, ma come interno sviluppo di un unico discorso» 34.

Queste osservazioni si precisano nell’analisi del personalismo ame- ricano attraverso le analogie e le differenze che lo distinguono da quello europeo e, in particolare, italiano, differenze che in ultima istanza si ri- collegano alla constatazione che «il personalismo, prima di essere una filosofia, è un costume morale della società americana e si riconnette alle fonti stesse della democrazia ed al clima religioso in cui queste fonti sono andate maturandosi» 35. Anche in America, come in Europa, il persona-

lismo si caratterizza per la sua critica al clima culturale dominante in

29 Ibid., p. 6. 30 Ibid., pp. 5-6. 31 Cfr. ibid., pp. 82-96; 12-23; 127-135. 32 Ibid., p. 12. 33 Ibid, p. 8. 34 Ibid.

35 Ibid., p. 42. Cfr. R.T. Flewelling, Personalism, in American Philosophy, ed. by R.B. Winn, Philosophical Library Inc., New York 1955, p. 155.

chiave anti-riduzionistica; tuttavia, come nel personalismo italiano, la ca- ratterizzazione storico-politica è preceduta da un’istanza di fondazione teoretica in chiave spiccatamente metafisica, che si radica in una matrice speculativa idealistica 36. Le differenze “notevoli” rispetto al personali-

smo italiano sono giustamente ricollegate da Rigobello alla diversa con- notazione della tradizione idealistica di riferimento: storicistico-dialettica nel caso dell’idealismo continentale e italiano, coscienziale e relazionale nel caso dell’idealismo anglo-americano. In questa cornice speculativa, il problema di conciliare la coscienza trascendentale e la concretezza delle individualità personali – il problema dell’uno e dei molti – riceve soluzio- ni in cui riecheggiano accenti platonici e fideistici, motivi berkeleyani o associazionistici, «ma di un associazionismo etico più che psicologico» 37.

Anche in questo contesto il diverso clima culturale e sociale americano – «una fedeltà agli ideali delle origini, confermati dalle esigenze stesse della vita pratica e dai moventi individuali e sociali dell’azione» 38 –, l’o-

rientamento “democratico” della filosofia americana – inteso in senso ampio come «convinzione che la filosofia può e deve porsi in relazione alla vita e agli interessi della vita» 39 – e l’insistenza “realistica” sulla «con-

cretezza esperienziale della coscienza, a garanzia pragmatica» 40 incidono in

maniera determinante nel configurare l’idealismo americano in una varietà di atteggiamenti «i cui poli sono il platonismo e il pragmatismo» 41. Di que-

sto “idealismo teologizzante” o “spiritualismo religioso”, che costituisce la cosiddetta “anima romantica” della filosofia americana, il personali- smo americano è una formulazione particolarmente pregnante, ma esso percorre tutta la storia della filosofia americana come una sorta di fiume carsico, che ha le sue sorgenti nel Platonismo cristiano dei puritani, in particolare di Edwards, riemergendo anche nei contesti che più decisa- mente gravitano attorno all’altro polo, quello naturalistico-pragmatico, ad esempio nella tensione fortemente utopica del migliorismo deweyano. In questo senso la “persona” apre veramente un problema di fondo nella filosofia americana «nel tentativo di conciliare la personalità e l’universa-

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