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Vico e il pensare poetico

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 97-103)

di Giuseppe Patella

Vorrei qui ricordare il pensiero di Armando Rigobello provando a ri- flettere brevemente su un tema apparentemente marginale, al quale per la verità egli non ha dedicato molta attenzione nei suoi scritti, ma che sicuramente è sempre stato al centro del suo interesse speculativo e ne rispecchia il senso fino in fondo. Si tratta del tema della metafora, letta a partire dal pensiero di Giambattista Vico, in cui essa svolge un ruolo emblematico e significativo.

Qual è la concezione gnoseologica e filosofica che la visione vichia- na della metafora precisamente veicola? Che tipo di pensiero è sotteso a questa visione? E qual è infine il significato di questo pensiero per la riflessione filosofica contemporanea? Al di là di una considerazio- ne meramente stilistico-formale, che inquadra la metafora come figu- ra propria del discorso retorico, come ornatus, Vico fa della propria dottrina della metafora una delle cifre più suggestive e profonde del suo pensiero. Nella Scienza nuova del 1744, il grande capolavoro del filosofo partenopeo, la metafora viene definita sinteticamente con tre aggettivi, luminosa, necessaria, spessa (§ 404) 1, termini che ci intro-

ducono immediatamente in un contesto riflessivo che non può esse- re superficialmente classificato come analitico-razionale (si pensi alle idee «chiare» e «distinte» di cartesiana memoria). Ed è quanto rileva esattamente Rigobello in uno scritto occasionale dedicato proprio alla metafora in Vico, in cui egli scrive che questi tre aggettivi «nel contesto vichiano, hanno uno spessore semantico particolare. “Luminosa” qui non significa certamente chiara di quella chiarezza che cartesianamente

1 G. Vico, La Scienza Nuova 1744, in Opere, a cura di A. Battistini, Mondadori, Milano 1990; le citazioni da quest’opera vichiana vengono indicate, come d’abitudine, con il numero di capoverso e integrate nel testo.

si unisce alla distinzione. Luminosa qui rinvia ad una fonte di improv- visa comprensione, indica una guida percorsa da vivida luce, investita da una dinamica espressiva; si riferisce ad una turgida luminosità che si sviluppa d’impeto. “Necessaria”, dal canto suo, non costituisce una connotazione del pensiero logico che riconosce un nesso, ma denota uno status ontologico, un modo di essere che precede il riconoscimento. In quanto all’aggettivo “spessa”, è già di per sé stesso una piccola meta- fora, indica una densità di significato non riconducibile alla precisione del definire» 2.

Fin qui le parole di Rigobello, che non potevano essere più chiare ed efficaci nell’evidenziare come questi tre aggettivi definiscano forse meglio di tante altre spiegazioni il carattere originario, sorgivo della metafora e indichino la natura spontaneamente poetica del pensiero che le è sotteso.

Se è vero _ come infatti Vico sostiene _ che la poesia è guisa pri- mordiale della nostra mente, e cioè modo originario e più proprio di conoscere, essa trova nella metafora la forma espressiva più adeguata a manifestare questo suo carattere aurorale. Se la poeticità originaria del- la nostra mente fa sì che la sapienza sia propriamente sapienza poetica, perché tale, cioè poetica, è la sapienza più propria della mente umana, allo stesso modo, la metaforicità originaria del linguaggio fa sì che ogni primordiale significare abbia nella metafora il proprio centro seman- tico. Si potrebbe perciò dire che, per Vico, pensare in forma propria, pensare in senso autentico significa pensare poeticamente e metafori- camente per necessità, cioè secondo il modo spontaneamente poetico della nostra mente ed il carattere naturalmente metaforico del nostro linguaggio. La metafora diviene perciò la prima, necessaria, premessa di ogni pensare, a partire da quello che Vico chiama l’avvertire «pertur- bato e commosso» dei primi uomini fino al riflettere con «mente pura». Tale concezione della metafora, espressione originaria della mente poetica primordiale e non frutto di sofisticata riflessione retorica, va tuttavia connessa a quella dottrina vichiana dell’ingegno, di ispirazione barocca, per la quale la metafora sarebbe propriamente l’espressione degli immediati vincoli di senso, individuati dalla facoltà dell’ingegno, tra elementi e cose spesso tra loro distanti e remoti. La metafora verreb- be altresì ad essere la reale manifestazione espressiva di quell’attività della nostra mente di stabilire delle connessioni, di cogliere il simile ed

2 A. Rigobello, Metafora e testimonianza: categorie per una rilettura di Vico, in AA.VV., a cura di A. Verri, Vico e il pensiero contemporaneo, Milella, Lecce 1991, p. 182.

esprimere il nuovo che è in noi del tutto spontanea e naturale e che per definizione coincide con l’ingegno. Tutto ciò, se da un lato esplicita il legame della riflessione vichiana con la problematica barocca dell’in- gegno, rendendo evidente la movenza barocca del pensiero vichiano 3,

dall’altro lato dà a tale riflessione un significato gnoseologico proprio, tale che la metafora diviene cifra emblematica di un nuovo modo di conoscere e di pensare e non uno strumento, sia pure essenziale, del discorso retorico. Infatti, rispetto alla maggior parte delle dottrine ba- rocche, in cui la metafora «è strumento dell’ingegno come modo di procedere dell’intelletto che ha esito in un discorso», e un discorso che «segue quello proprio [... che] non è reperibile se non nello scarto da una norma e da un uso, che è quello del discorso proprio» 4, la dottrina

vichiana si colloca su un piano completamente diverso. In essa la me- tafora è sì prodotto dell’ingegno e della mente ingegnosa, e appartiene pure all’ambito poetico del discorso, ma quest’ultimo non si crea certo nello scarto da un impiego del linguaggio proprio, ma è linguaggio pro- prio esso stesso, sicché la parola metaforica è parola primaria, espressio- ne propria ed originaria, non ornamento, decorazione verbale, abbel- limento esteriore. In questo senso la metafora non rappresenta affatto un che di secondario ed accessorio, una sorta di bella veste che guar- nisce le relazioni tra le cose che sono già in anticipo conosciute da un pensiero logico-deduttivo. È invece attraverso la facoltà dell’ingegno, attraverso la nostra capacità di rinvenire sempre nuovi legami tra i dati della realtà e di produrre metafore adatte ad esprimerli che riusciamo a stabilire quelle originarie, primordiali, connessioni che danno alla no- stra mente la capacità stessa di pensare, e di pensare quindi anche in termini razionali.

La metafora, in sintesi, sottende un pensare ingegnoso che si ma- nifesta nella naturale capacità della nostra mente di cogliere dei nessi significativi tra le cose in grado di dare senso a ciò che ci sta di fronte, alle cose stesse. La metafora infatti, scrive Vico, viene «vieppiù loda- ta quando alle cose insensate ella dà senso e passione» (§ 404), il che corrisponde precisamente, come si legge nella degnità XXXVII della

Scienza nuova, al «più sublime lavoro della poesia», che consiste ap-

punto nel dare senso e passione a cose insensate. Ed è per questo allora che la metafora viene ad essere una «picciola favoletta», nel senso che,

3 Sull’ispirazione barocca dell’intero pensiero vichiano ci si permetta di rinviare al nostro

Giambattista Vico tra Barocco e Postmoderno, Mimesis, Milano 2005.

4 G. Conte, La metafora barocca. Saggio sulle poetiche del Seicento, Mursia, Milano 1972, p. 172.

come il mito, e come la poesia, essa rinviene un ordine laddove questo non c’è, dona senso a fenomeni sconnessi ed irrelati e riesce ad espri- mere in forma immediata ciò che sarebbe indicibile altrimenti.

In questo senso è dunque evidente come nella dottrina vichiana della metafora non sia in gioco semplicemente un discorso di ordine retorico o linguistico, ma più ampiamente un discorso di ordine gnoseologico e filosofico, poiché essa viene posta a fondamento di un modo di cono- scere ed un modo di pensare che trova nella poesia il proprio nucleo essenziale. Come Vico la comprende, la metafora non è più solo una ca- tegoria descrittiva, ma principio strutturante del linguaggio e, ancor più, del pensiero. Egli, infatti, lega la retorica al linguaggio poetico originario, quel linguaggio di cui la metafora è per definizione l’essenza, facendo così di essa quell’attività primordiale che nella parola poetica, nella me- tafora, dice l’origine della civiltà e del pensiero.

D’altra parte, la stessa retorica, quella «difficilissima arte del dire» che Vico ha insegnato all’università di Napoli per oltre quarant’anni, non viene mai considerata nel suo pensiero in funzione puramente esornativa, anzi semmai la vede sempre in correlazione alla filosofia, al pensiero, dotata di una propria dimensione speculativa.

E questa connessione di retorica e filosofia viene sostenuta dalle giovanili Orazioni inaugurali fino ad uno tra gli ultimi discorsi pubblici vichiani, che risale al 1737 ed è conosciuto col titolo significativo di Le

accademie e i rapporti tra la filosofia e l’eloquenza 5, in cui Vico ribadisce

proprio la sua decisa convinzione nell’unione di sapienza ed eloquenza, poiché «non vi è eloquenza senza verità e degnità, delle quali due parti componesi la sapienza». Se quel «violento divorzio» tra «la lingua e ’l cuore» è avvenuto nell’antichità per mano dei sofisti, oggi _ continua Vico _ si ripete per mano della «cartesiana filosofia», che, avanzan- do il primato della sola facoltà dell’intelletto, «corrompe» la retorica e rende la filosofia «secca» e «arida». Così di fronte alla tendenza della filosofia moderna ad inaridirsi, a poggiarsi sempre più sulla netta con- trapposizione tra sensibilità e ragione, a chiudersi via via in se stessa a causa della sua separazione dall’eloquenza e dal «senso comune», Vico si preoccupa di ricomporre queste dissociazioni in nome di una conte- stualità organica delle facoltà umane, riaffermando quello che definisce «lo natural legame» di retorica e filosofia, di sapienza ed eloquenza.

Sotto questo profilo generale, la retorica non è allora affatto estra-

5 Si tratta del testo del discorso inaugurale pronunciato il 6 gennaio 1737 contenuto in

nea alla filosofia, piuttosto ne fa parte: poiché la retorica è forma pro- pria di pensiero, essa è veicolo di verità, tuttavia di una verità che vive nel discorso e nel linguaggio, un linguaggio comunque originariamente metaforico, sicché il «parlar figurato» rappresenta la forma più propria del discorso umano ed il pensare retorico-ingegnoso la prima e più im- mediata manifestazione dell’umano pensare. Nella fase fiera e generosa della miglior poesia, come il linguaggio è naturalmente costituito da «luminose», «necessarie» e «spesse» metafore, che esprimono i nessi ingegnosi del reale e l’essenza profonda della realtà stessa, così il pen- siero, che accoglie le forme immediate del sentire e del significare per metafore, immagini, universali fantastici, si dà come spontaneamente retorico, poetico, ingegnoso.

Ora, non è certo un caso che elaborando questa complessiva lezio- ne vichiana, Ernesto Grassi, nella propria prospettiva di pensiero, ha potuto parlare di una preminenza del linguaggio poetico e metaforico e di una unione originaria di retorica e filosofia. La metafora _ egli sin- tetizza in modo assai efficace _ «sta alla radice della nostra conoscenza, in cui la retorica e la filosofia raggiungono la loro unità originaria; noi perciò non possiamo parlare di retorica e di filosofia, ma ogni filosofia originale è retorica e ogni vera e non estrinseca retorica è filosofia» 6.

Grassi intende in tal modo rovesciare la tradizionale supremazia della ragione filosofica su quella retorica e, proprio sulla scorta della rifles- sione vichiana, rivendicare tutti i diritti della retorica attribuendole pie- na dignità filosofica.

A tale proposito, nei suoi studi vichiani, Ernesto Grassi ha messo bene in evidenza come il sistema critico-deduttivo deve riconoscere la propria dipendenza proprio dall’inventio, in quanto, per la sua stessa funzione, esso presuppone un conoscere che, ponendo le premesse da cui muovere, costituisca rispetto ad esso un prius logico. D’altra parte, come ribadisce ripetutamente Vico in tutto il corso del suo pensiero e poi scrive chiaramente nella Scienza nuova, prima è il «ritruovare» e poi il «giudicare», e poiché il «ritruovare è propietà dell’ingegno» (§ 498), oc- corre ammettere il primato, onto-crono-logico, dell’ingenium sulla ratio, vale a dire della retorica sulla logica, e in definitiva quindi, nel linguaggio vichiano del De ratione, della «topica» sulla «critica». Viene così ad esse- re affermata la priorità di un pensare metaforico-ingegnoso e di un meto- do topico, che fanno del momento inventivo, poietico, la propria forza.

6 E. Grassi, Retorica e filosofia, in Id., Vico e l’Umanesimo, trad. it. Guerini, Milano 1989, p. 112.

La dottrina vichiana della metafora va dunque collocata sullo sfon- do della contrapposizione tra il conoscere topico-ingegnoso e il cono- scere critico-razionale, e non v’è dubbio che Vico pensi alla metafora come all’elemento essenziale del primo tipo di conoscere, quello per il quale l’eloquenza è sapienza, la retorica è filosofia, cioè forma propria, necessaria ed autonoma del conoscere. Quindi, nel nuovo contesto di verità che Vico sviluppa, una verità prodotta, creata, e non già data o trovata, alla metafora viene assegnata una funzione essenziale: essa diventa parte integrante e fondamentale di quel processo “poietico” che struttura la realtà e le dà senso attraverso un dire originario in cui la comunicazione e la persuasione si intrecciano reciprocamente nella suggestione della parola evocatrice.

In conclusione, in questa prospettiva generale qui delineata, con il Ricoeur de La metafora viva si potrebbe dire che la metafora dà a

pensare, nel senso profondo ed essenziale che per Vico la metafora è

davvero scaturigine del pensiero e non suo prodotto, si colloca cioè nel momento genetico del pensiero stesso, è in altri termini coessenziale del pensare allo stato nascente. La metafora produce pensiero, e non il contrario, il pensiero originario è pensiero per sua natura metaforico, pensiero poetico, luminoso, spesso, e cioè – come aveva colto bene Ri- gobello – pensiero necessariamente sorgivo, vivido, denso.

Giuseppe Patella

SOMMARIO

L’intervento prende spunto da una brillante riflessione di Armando Rigobello sul tema della metafora in Vico per cercare di misurarne la portata e di valutare più in ge- nerale il significato e il ruolo della metafora nel pensiero vichiano anche in relazione al rapporto tra pensiero e poesia.

SUMMARY

Inspired by a brilliant reflection of Armando Rigobello on the topic of methaphor in Vico, this paper aims to reflect on this issue trying to evaluate the general meaning and the role of the metaphor in Vico’s thought and in relationship with thinking and poetry.

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 97-103)