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rigobello lettore di camus

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 171-178)

di Giuseppe Crivella

«Au XXe siècle, la puissance est triste... 1».

Suddiviso in due sezioni perfettamente simmetriche e legate da un continuo interscambio tematico, l’agile scritto di Rigobello si misura con la produzione del pensatore franco-algerino attraverso una serie di affondi critici finalizzati ad inquadrarne le mobilissime linee teoriche all’interno di un percorso che non arrivi mai ad irrigidirne o a sclerotiz- zarne gli assunti. Interessato a cogliere la tormentata dinamica interna al pensiero camusiano, l’autore dapprima si sofferma sulla gestazione che quest’ultimo conosce nel momento di sofferta messa a punto e in seguito analizza le successive rettifiche e ritrattazioni a cui Camus non smette mai di sottoporre le proprie posizioni, refrattario sempre ad una loro ipostatizzazione definitiva, la quale rischierebbe di sminuirne o offuscarne le implicazioni radicate nella situazione storica ove esse prendono corpo.

E proprio evocando tale radicamento nella situazione specifica, Rigobello riporta in uno dei passaggi salienti della seconda sezione le seguenti parole tratte da L’homme révolté: «la storia non è assenza di valore, né valore in sé, e neppure materia prima di un valore. È un’oc- casione tra le altre, in cui l’uomo può avvertire l’esistenza ancora con- fusa di un valore che gli serve poi a giudicare la storia stessa. La rivolta stessa ce ne dà promessa [...]. La rivolta è nell’uomo il rifiuto di essere trattato come cosa e ridotto alla pura storia. È l’affermazione di una natura comune a tutti gli uomini, che sfugge al mondo della potenza.

1 A. Camus, Essais, Bibliothèque de la Pléiade, éd par R. Quilliot, Gallimard, Paris 1965, p. 647.

Certo la storia è uno dei limiti dell’uomo; in questo senso il rivoluzio- nario ha ragione. Ma reciprocamente l’uomo, nella sua rivolta, pone un limite alla storia. Su questo limite nasce la promessa di un valore» 2.

La messa a fuoco che Camus tenta del difficile rapporto che vincola l’uomo alla storia permette di portare alla luce un fitto plesso di rilie- vi strettamente intrecciati in un ganglio di questioni teoriche che non solo toccano il cuore di quella struttura metafisica della rivolta tanto problematica per Camus, ma chiamano direttamente in causa le forme e le dimensioni di attuazione concreta di quel “pensiero meridiano” centrale per il pensatore franco-algerino.

Immediatamente dopo il passo citato, Rigobello sente quindi la ne- cessità di soffermarsi su questo nodo teorico dell’itinerario di Camus. In esso convergono molte delle traiettorie di interrogazione presenti nel saggio ed è soprattutto attraverso di esso che quelle stesse questioni possono essere condotte non tanto ad un punto di scioglimento e solu- zione, quanto inserite in una più vasta latitudine di sviluppo.

L’assurdo e la rivolta in Camus costituiscono, come noto, l’eviden- za prima e la verità originaria di un mondo contratto nella spenta ed astratta dulcedo di un panteismo negativo, di fronte al quale l’uomo non può che sperimentare lo scacco e il fallimento di ogni logica della giustificazione e della legittimazione dello stato di cose universale in cui versa l’esistente. Il pensiero meridiano si configura allora con la fisio- nomia inquieta e sfumata di un gesto che contemperi indefettibilmente misura e tensione, convertendo la prima nelle forme della seconda, alla ricerca di un equilibrio oscillante 3 all’interno di uno spettro di possi-

bilità pratiche le quali però non deroghino in alcun modo alla presa d’atto della constatazione originaria.

A tale stato di cose il pensiero meridiano si commisura e in esso non solo sceglie di situarsi ma decide di lottare e di organizzarsi secon- do i termini mobili ed ogni volta in via di ridefinizione di un conflitto costante, di una rivolta suscitata e padroneggiata dall’intelligenza, per usare le espressioni dello stesso Camus 4.

Alla luce di tutto ciò, Rigobello passa in rassegna le posizioni di Camus in merito a quella che egli denomina La riflessione sull’arte 5. Il

2 A. Rigobello, Camus. Tra la miseria e il sole, Il Tripode, Napoli 1976, p. 76. La prima versione di questo scritto apparve in lingua spagnola nel 1961 presso la casa editrice Columba di Buenos Aires, curata da Alberto Josè Vaccaro.

3 Già nello scritto su Plotino e sant’Agostino, il giovanissimo Camus aveva proposto una soluzione analoga a quella poi prospettata più tardi (cfr. A. Camus, Essais, cit., p. 1290).

4 Ibid., p. 704.

filosofo italiano dispiega così una molteplicità di prospettive estetiche riducibili sostanzialmente a tre: l’estetica dell’assurdo, l’estetica della rivolta e l’estetica della testimonianza 6, le quali consentono di misurare

la coerenza profonda e la vasta organicità della riflessione camusiana. Seguendo Rigobello possiamo allora individuare le seguenti fasi. 1. La prima posizione è quella corrispondente alle tesi esposte ne Le

mythe de Sisyphe 7. Si tratta di un’estetica finalizzata a cogliere l’assur-

do secondo le strutture elementari della sua sfaccettata fenomenologia. Privo di senso, contratto in una meccanica coazione a ripetere che non conosce termine o scopo, il mondo dell’assurdo bagna in una luce di fredda crepuscolarità. Cerebrale e notturno, esso si profila con la fisio- nomia agghiacciante di uno spazio geometricamente labirintico, luogo di smarrimenti circolari e di riconoscimenti impossibili, teatro di un tragico ironicamente quotidiano, la cui indole coincide perversamente e grottescamente con la misura della più piatta banalità. È un’estetica fissamente concentrata sulla registrazione di tale stato di cose, lucida- mente orientata a rintracciarne nel dettaglio più minuto e sfuggente le matrici di manifestazione deforme e avvolgente, in una soffusa e inav- vertita paresi della logica che permea ogni dato reale 8.

L’arte deve riprodurre tale sguardo lucido e disilluso, sagomarsi senza resto sui riscontri che tale attenzione disperata porta sull’orlo tagliente delle cose. Rigobello parla in tal senso di un «realismo alla seconda potenza» 9, il quale si serve soprattutto della pausa descrittiva

contenuta nell’utilizzo dell’immagine come luogo geometrico ove far concentrare e fermentare tutte le istanze riferibili in maniera immediata alla ritrascrizione della condizione assurda in cui il soggetto narrante versa, senza alcuna possibilità di fuga 10, configurandovisi in ultimo con

i tratti di quell’«asceta dell’assurdo» 11, impegnato a distruggere tutte

le illusioni e a tenere desta l’attenzione dei suoi simili contro ogni pro- messa – storica o metafisica – che punti a mascherare la verità dei fatti.

6 Cfr. ibid., pp. 89-94.

7 Cfr. E. Mounier, Albert Camus ou l’appel des humiliés, in Esprit, n. 163, Janvier 1950, pp. 27-66. Rigobello aveva ben presente questo scritto di Mounier (cfr. A. Rigobello, Camus, cit., pp. 102-118).

8 Cfr. ibid., p. 31.

9 Rigobello, Camus, cit., p. 90. Cfr. inoltre la voce “Artiste” in Dictionnaire Albert Camus, sous la direction de J. Guérin, Robert Laffont, Paris 2009.

10 Cfr. J.-J. Gonzales, Albert Camus. L’exil absolu, Manucius, Houilles 2007, pp. 37-83. 11 A. Rigobello, Camus, cit., p. 91. Cfr. anche E. Mounier, Albert Camus ou l’appel des

Si tratta senza dubbio di un’estetica del disincanto, ma anche del coraggio e della resistenza, della strenua opposizione ad ogni proposta di soluzione goffamente consolatoria, la quale pertanto non può non dare luogo ad una posizione ulteriore.

2. Perveniamo così all’estetica della rivolta 12. Consegnate nelle sezioni

centrali del saggio del 1951, le tesi di questa tappa si condensano in quella rivolta allo stato puro che sembra sfociare in una sorta di tra- scendenza bianca, ove a brillare come la fonte di una pienezza possibile è solo la bellezza. Si tratta di una posizione piuttosto rischiosa per due ordini di motivi: da un lato, Camus sembra rivedere le tesi dell’estetica dell’assurdo cercando una sorta di esilio felice proprio nelle produzioni dell’arte; dall’altro, il pensatore franco-algerino rischia di ricadere in una specie di estenuato estetismo che di fatto sconfesserebbe gli assunti della prima estetica.

Camus però elude entrambi i pericoli mettendo a punto una teoria estetica del tutto in linea con quanto espresso ne Le mythe de Sisyphe. Scrive infatti Rigobello: «creare artisticamente comporta una dimen- sione di trascendenza, l’ultima ma non riducibile trascendenza, quella della bellezza: “c’è forse una trascendenza vivente, di cui la bellezza ci dà promessa, che può far amare e preferire a qualsiasi altro questo mondo mortale e limitato. L’arte ci riconduce alle origini della rivolta, in quanto tenta di dar forma ad un valore che sfugge nel divenire per- petuo, ma che l’artista ha presentito e vuol sottrarre alla storia”» 13.

Lungi dall’essere una ricaduta nelle seduzioni delle vecchie ideo- logie della consolazione, la trascendenza bianca dell’arte opera su tutti i livelli già messi in luce dall’estetica dell’assurdo. Qui viene compiuto un passo ulteriore però: l’arte – in particolare il romanzo 14 – non si sra-

dica mai dalla necessità di rimanere ancorati nella constatazione della situazione assurda, non si svincola mai dalla consapevolezza della ne- cessità di una rivolta rispetto a questa situazione assurda, che va accet- tata ma non giustificata, tollerata nelle sue forme anomale ma combat- tuta attraverso un pensiero vigile e penetrante, una ragione “illogica” ma consequenziale, una pratica di contrasto e di opposizione rispetto ad essa che la trascendenza vivente della bellezza racchiude in pieno.

Se nella prima estetica Camus ci suggeriva il metodo per far fronte a tutte le forme di narcosi miranti ad occultare la vera condizione dell’uo-

12 Cfr. ibid. 13 Ibid., p. 92. 14 Cfr. ibid., p. 93.

mo, con questo secondo momento egli ci indica una soluzione per far fronte a tutte le forme di necrosi – materiale e spirituale – che potrebbero insorgere nel momento in cui ci si rende conto che l’assurdo è una fron- tiera fluida che non può essere oltrepassata 15. Ma anche questo fronte

di riflessione per Camus non può essere definitivo e, come la transizio- ne dall’estetica dell’assurdo a quella della rivolta era motivata e richiesta dalla presenza di elementi propri della prima, anche ora questa seconda estetica contiene i germi destinati a sfociare in una fase ulteriore.

3. Perveniamo così all’estetica della testimonianza 16. È difficile dire

quale sia il testo specifico a cui tale posizione dovrebbe corrisponde- re. Giustamente Rigobello nota che essa si trova esposta nel testo che chiude Actuelles I, intitolato non a caso Le témoin de la liberté 17. Ma

libertà rispetto a cosa? In primis rispetto all’assurdo stesso, a cui siamo inchiodati ma dal quale possiamo distanziarci per frangenti brevi e feli- ci, nel tentativo di guardarlo come un oggetto estraneo a noi, nel quale non possiamo riconoscerci, rispetto al quale dobbiamo rigettare ogni istanza di disperata e definitiva identificazione.

La testimonianza dà conto di questo reiterato sforzo di allontana- mento da una realtà che ci assorbe ma nella quale non dobbiamo ac- cettare di restare imprigionati. La testimonianza è il segno di questa libertà assoluta e necessaria, è la risposta coraggiosa e ostinata ad un mondo di cui siamo parte ma a cui non dobbiamo prendere parte in maniera irriflessa. Essa è la prova della nostra resistenza all’assurdo, della nostra reazione calcolata e vigile ad esso. Il testimone della libertà è colui che scrivendo insorge contro le naturali deformità di un mondo che, seppur privo di ragione e di logica, può ancora essere penetrato dal pensiero dell’uomo, posto di fronte ad esso non per correggerlo o miglioralo, ma per descriverne la brutale fisionomia in modo da non restarne vittima.

La terza estetica è allora quella più vasta, quella che le ricomprende tutte e le porta al loro punto di massima perfezione. In essa convergono il notissimo “mi rivolto, dunque siamo” e le tesi esposte nel 1957 du- rante la celebre e potente conferenza di Uppsala, nel corso della quale il premio Nobel afferma che nessun artista può sottrarsi responsabil-

15 Cfr. S. Mastouri, La création absurde chez Camus: un art de la limite, in M. Trabelsi, Al-

bert Camus. L’écriture des limites et des frontières, Sud éditions, PUD 2009.

16 Cfr. A. Rigobello, Camus, cit., p. 94.

17 Cfr. A. Camus, Essais, cit., pp. 397-406. Allocuzione pronunciata a Pleyel nel novembre 1948, apparsa poi su La Gauche il 20 dicembre dello stesso anno.

mente ad una serie di compiti come quello di testimoniare delle brut- ture e delle storture della propria epoca, alla ricerca di un riscatto nella denuncia che, per quanto possa sembrare insignificante, di fatto incar- na in toto la missione dello scrittore. È finita l’epoca in cui l’arte pote- va essere derubricata come un lusso menzognero, così come è finito il tempo in cui gli artisti potevano essere tranquillamente irresponsabili. È venuto il momento in cui l’écrivain ha per compito quello di mappare le latitudini di un deserto reso percorribile grazie ai fuochi delle opere dei grandi narratori che ci hanno preceduto 18, fuochi che hanno illumi-

nato la fine di quell’Europa «menteuse et confortable» 19, il cui declino

ci ha messo dinanzi a delle verità crudeli di cui però dobbiamo gioire, poiché la loro apparizione indica la cessazione di una mistificazione la quale ci precludeva la possibilità di scorgere ciò che ci minaccia.

Dalla prima alla terza estetica la rivolta rimane costante: ora limita- ta ad una scelta stilistica, ora sbilanciata verso un impegno etico di lar- go respiro, essa è sempre al tempo stesso contestazione e trasfigurazio- ne, spinta scompaginante e impulso alla testimonianza non soggetta ad alcun tipo di cauzione, scontro violento e disperato con un complesso di situazioni inemendabili e afflato incontenibile verso una libertà ove sperimentare ciò che Rigobello chiama «maieutica dell’unità immanen- te nella dispersione originaria e radicale dell’esistenza assurda» 20.

L’arte allora non è altro che la ferita inferta dalla carezza di quella Sfinge cieca chiamata realtà, dinanzi al cui volto mostruoso non resta che opporre la «grandeur farouche» di quel Cristo risorto di Piero del- la Francesca, il quale aveva a tal punto stregato Camus nei suoi anni giovanili da spingerlo a dedicargli una delle prose più belle di Noces: «c’est sur ce balancement qu’il faudrait s’arrêter: singulier instant où la spiritualité répudie la morale, où le bonheur naît de l’absence d’espoir, où l’esprit trouve sa raison dans le corps. S’il est vrai que toute vérité porte en elle son amertume, il est aussi vrai que toute négation contient une floraison de “oui”. Et ce chant d’amour sans espoir qui naît de la contemplation peut aussi figurer la plus efficace des règles d’action. Au sortir du tombeau, le Christ ressuscitant de Piero della Francesca n’a pas un regard d’homme. Rien d’heureux n’est peint sur son visage – mais seulement une grandeur farouche et sans âme que je ne puis m’empêcher de prendre pour une résolution à vivre» 21.

18 Ibid., p. 1095. 19 Ibid., p. 1094.

20 A. Rigobello, Camus, cit., p. 100. 21 A. Camus, Essais, cit., p. 87.

Nell’indecifrabile espressione di questo Cristo disumanamente umano, trasfigurato dalla forza irrazionale di una logica priva di pre- supposti 22, si incrociano tutti i temi finora passati in rassegna da Rigo-

bello e che noi abbiamo cercato di focalizzare nel corso di questo ra- pido scritto: la tensione irrisolta del pensiero meridiano, la spiritualità intrisa di un paganesimo inattuale ma sempre risorgente sotto le larvate forme di una fede religiosa impraticabile per Camus, la dismisura di una gioia senza domani in grado di far dialogare l’assurdo e la rivolta attentamente bilanciati nel punto geometrico in cui l’arte diventa, in ultimo, la deliberata assunzione di una responsabilità collettiva, della quale tuttavia unicamente lo scrittore nella sua solitudine creativa può farsi carico fino alla fine.

Giuseppe Crivella

SOMMARIO

L’obiettivo di questo testo è offrire una lettura approfondita del saggio di Rigobello intitolato Camus. Tra la miseria e il sole. In particolare si vorrebbe analizzare la tripli- ce nozione di estetica che Rigobello rintraccia nel pensiero dell’intellettuale franco-al- gerino. Nello specifico si vorrebbe analizzare come l’estetica della testimonianza sia un punto di convergenza tra l’autore de Il mito di Sisifo e Rigobello stesso.

SUMMARY

Our text aims to propose a detailed reading of the Rigobello’s essay Camus. Tra la miseria e il sole. Our aim is to analyze the triple notion of aesthetics that the Italian philosopher shows in the thought of the french-algerian writer. In particular we will see how it is the aesthetics of the testimony to be a point of convergence between the author of Le mythe de Sisyphe and the Italian thinker.

22 M. Weyembergh, Raison, in Dictionnaire Albert Camus, cit. Cfr. inoltre la voce “Arti- ste” in Dictionnaire Albert Camus, cit. Cfr. anche Mounier che parla di un «rationalisme de l’irrationel, une philosophie sombre des lumières» (E. Mounier, Albert Camus ou l’appel des

armando rigobello:

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