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delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità di Armando Rigobello

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 63-70)

di Marco Buzzoni

1. Introduzione

Lo scopo di questo mio breve intervento è riprendere, da un angolo prospettico molto particolare, il problema del rapporto fra dimensione trascendentale ed ermeneutica nella filosofia di Rigobello, problema che in passato ho affrontato in modo più generale 1. Cercherò, in par-

ticolare, di difendere la tesi secondo cui, nel volumetto Dalla pluralità

delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità 2, l’autore suggeri-

sce un nuovo aspetto dell’“a priori ermeneutico” che concerne la natu- ra della riflessione filosofica e i suoi rapporti con le scienze particolari. Questo nuovo aspetto mi pare di grande interesse teoretico, anche se probabilmente – ma accennerò solo fugacemente a questo problema – potrebbe essere in conflitto con alcune delle tesi fondamentali delle opere precedenti.

Non v’è dubbio che Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allarga-

mento della razionalità riprende temi ben noti nella riflessione di Ar-

mando Rigobello, di cui fornisce un estremo distillato. Come scrive l’autore, può accadere che, tentando di definire meglio il proprio pen-

1 M. Buzzoni, Persona e trascendenza, in A. Pieretti (a cura di), Estraneità interiore e te-

stimonianza. Studi in onore di Armando Rigobello, ESI, Perugia 1995, pp. 439-452; Id., Dal trascendentale verso il trascendente. A proposito di L’estraneità interiore di Armando Rigobello,

in Studium, 98 (2002), pp. 405-414.

2 A. Rigobello, Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità, Rub- bettino, Soveria Mannelli 2014. D’ora innanzi, le citazioni da questo volume si limiteranno all’indicazione delle sole pagine.

siero, ne derivi «qualcosa di parzialmente diverso, una riconsiderazio- ne da una prospettiva più ampia» (p. 5). Nella percezione dell’autore, quindi, per un verso il testo di cui intendiamo occuparci persegue l’o- biettivo di una migliore definizione e approfondimento di uno stesso pensiero; ma per altro verso è forse anche riuscito a pensare “qualcosa di parzialmente diverso”, la cui diversità deriverebbe da “una riconsi- derazione da una prospettiva più ampia”.

Queste affermazioni, alla luce della produzione filosofica prece- dente di Rigobello, non possono non far sorgere due domande: 1) Di- verso in che senso? 2) Qual è la prospettiva più ampia cui si allude in questo passo? L’ipotesi, che avanzo con tutte le riserve di un caso che rimane comunque assai arduo e complesso, è che l’intreccio fra piano esistenziale e trascendentale, che per un verso indubbiamente attraver- sa ogni scritto di Rigobello, per altro verso si è qui soprattutto concre- tizzato nella forma di una riflessione sulla natura della filosofia, che, pur perseguendo uno stesso ideale di allargamento del concetto di ra- gione, aggiunge una nota nuova, concernente il rapporto che intercorre fra la ragione filosofica e la ragione scientifica. In questo scritto, come cercherò di mostrare, Rigobello, senza affatto rinunciare alla tesi della differenza radicale e qualitativa della filosofia dalle scienze particolari, coglie un’analogia fra queste e quella che non mi pare fosse emersa ne- gli scritti precedenti dell’autore, ma che ha una innegabile importanza teoretica, poiché consente al tempo stesso di cogliere, proprio mentre ne segna i limiti, un elemento importante di verità della concezione naturalistica della filosofia.

2. L’apriori ermeneutico e la filosofia come domanda radicale di senso Per entrare subito in medias res, citerò anzitutto alcuni passi di Rigobel- lo. La cifra cui subito Rigobello collega la filosofia è la nozione di “apriori ermeneutico”, che si pone alla confluenza di piano trascendentale e piano esistenziale: «La condizione ermeneutica è condizione trascen- dentale. L’apriori di questo trascendentale è l’irrinunciabile domanda di senso, la risposta a questa domanda interrompe l’indefinito rinvio. Siamo strutturati nel positivo, e ciò precede il dubbio e stimola la ricer- ca. Questo avvertimento pregiudiziale a ogni ragionamento costituisce

l’apriori ermeneutico, forma trascendentale del consistere dell’uomo.

Questo apriori ermeneutico ci costituisce nell’esserci, nell’essere in via ed è ciò che dà senso alla vita» (p. 29). E ancora: «L’apriori ermeneutico

è il luogo genetico della domanda trascendentale perché, pur essendo

condizione formale di ogni singola interpretazione, non esaurisce lo slancio originario (Ursprung) nei singoli atti interpretativi, li condizio- na, li precede e li supera, ne è il fondamento. È quindi trascendentale, in analogia al giudizio trascendentale kantiano. Sintesi a priori come in Kant, con alcune differenze sostanziali. Mentre in Kant l’ideale tra- scendentale è una illusione trascendentale, nella prospettiva che stiamo illustrando è a fondamento dello slancio originario (che Kant invece attribuisce alla semplice spontaneità). Il senso è costitutivo come fon- damento e regolativo nelle singole applicazioni, ossia nelle singole in- terpretazioni particolari» (p. 18).

È, questo, un tema ben noto dei più recenti scritti di Rigobello e non mi è possibile soffermarmi qui su di esso quanto il suo spessore teorico certo richiederebbe. Mi soffermerò su un solo aspetto proble- matico, che è sia rilevante dal punto di vista teoretico sia funzionale agli scopi del mio intervento, e che si può esprimere mediante la seguente domanda: in quale modo cogliamo questo senso costitutivo della nostra esistenza? La risposta di Rigobello, per un verso, ricorre a un concetto ben noto della tradizione filosofica, e cioè quello dell’intuizione intel- lettiva: «La risposta a una domanda trascendentale di senso non può essere un continuo domandare tra evasione e disperazione. L’essere precede il non-essere. Se vogliamo mantenere il discorso su di un piano filosofico, consapevoli della rottura metodologica ma senza ricorrere a esperienze religiose, ad atteggiamenti mistici, occorre fare riferimento all’intuizione intellettiva. Essa è l’atto noetico con cui perveniamo, in particolari esperienze intensamente vissute, a cogliere il senso dell’esse- re, il fondamento della realtà appreso in forma atematica, che risveglia in noi l’intuizione di un consistere originario, la capacità di svincolarlo dal volto sensibile dell’immagine» (p. 29). E ancora: «Questa intuizio- ne intellettiva si rivela in qualche modo analoga all’apriori ermeneutico, e ci ricorda l’intelletto attivo di Aristotele o quella presenza più intima a noi di noi stessi di cui parla Agostino» (pp. 29-30).

Ma fin dove può giungere questa intuizione? Quali contenuti par- ticolari è in grado di cogliere?

La risposta di Rigobello presenta, a ben vedere, due aspetti, che sono strettamente connessi l’uno con l’altro, perché corrispondono all’intrinseca duplicità dell’“a priori ermeneutico”. Per un verso, ricol- legandosi alla tradizione fenomenologico-esistenzialistica, soprattutto cristiana (Marcel, Ricoeur, ecc.), egli risponde che questa intuizione ci rivela un’ineludibile domanda intorno al senso ultimo dell’esisten-

za, che fonda l’irriducibilità trascendentale della persona umana, ma che le scienze empiriche, come tali, non possono mai soddisfare. Con riferimento alla Grammatica dell’assenso di Newman, per esempio, egli insiste sull’impossibilità di porre la domanda filosofica senza coinvolge- re ab initio l’interrogante stesso: «La filosofia è [...] non soltanto impe- gno nella ricerca, ma atteggiamento che investe la vita nel suo insieme. L’assenso è un atto intellettuale e anche esistenziale. La concatenazione logica sillogistica non è sufficiente, occorre una koinonìa tra il pensato e il vissuto, un coinvolgimento» (p. 47).

3. Ricerca filosofica e scienze empiriche

Che ne è allora della razionalità scientifica? L’intuizione intellettuale non è certamente conoscenza scientifica. Ebbene, pur senza ridurre in alcun modo la filosofia alle scienze particolari, mi sembra che Rigobello non intenda affatto sostenere l’esistenza di un metodo di ricerca pecu- liare del filosofo in quanto tale, nel concreto esercizio del suo filosofare. Ciò, mi pare, è chiaramente suggerito nel passo che segue: «La metodo-

logia dell’inverificabile è in fondo la ricerca rigorosa del nostro esserci,

riassunta mirabilmente da Kant nella triplice domanda: che cosa posso sapere, che cosa devo fare, che cosa mi è concesso sperare [...]. La terza domanda si situa certamente fuori di un rigoroso illuminismo, Kant la colloca esplicitamente nell’ambito della fede religiosa. La metodologia

dell’inverificabile può giovarsi di tutte le metodiche delle varie discipli-

ne scientifiche, ma contemporaneamente inscrivere le conoscenze che acquisisce nell’orizzonte dell’inverificabile che ci supera e insieme ci fonda. Elementi di metodologia dell’inverificabile potremmo ravvisarli nella scepsi platonica, nell’inquietudine agostiniana, nelle ragioni del cuore di Pascal. In sintesi si tratta dell’uomo che pensa mettendo in questione se stesso. Siamo di fronte a un “allargarsi della ragione” in una razionalità più complessa in cui si può collocare anche lo sguar- do oltre il confine di Kant, inscritto in una ragione post-illuministica, in una fenomenologia in cui anche il neosocratismo e l’homo viator di Marcel possono trovare il loro ambito» (p. 35).

Ora, a prima vista il passo sembra configurare una contrapposizio- ne fra la filosofia e le scienze. La filosofia, infatti, sembrerebbe essere rappresentata, per un verso, da quella che egli, sulle orme di Marcel, chiama la metodologia dell’inverificabile, che oltrepassa la ragione scientifica, la quale non può essere considerata l’unica forma di co-

noscenza rigorosa. So bene che questo è un tema che percorre gran parte delle opere di Rigobello. Ma, se consideriamo attentamente il testo, ci accorgiamo che esso contiene una nota almeno parzialmen- te nuova. Abbiamo visto, infatti, che la metodologia dell’inverificabile “può giovarsi di tutte le metodiche delle varie discipline scientifiche”. Il passo, proprio nel momento che difende l’irriducibilità dello statuto del discorso filosofico, a ben vedere, rivendica anche l’impossibilità di separare la filosofia dalle scienze particolari (e viceversa).

Mi pare che qui traspaia una tesi di grande interesse circa il rap- porto tra la filosofia e le scienze, perché sembra proprio questo ciò che richiede un concetto sufficientemente ampio di ragione. Certo, come ho già accennato, per Rigobello le scienze particolari procedono in linea di principio con grande sicurezza verso la verifica delle loro asserzioni (che, aggiungerei, riguardano oggetti posti davanti a sé, resi estranei, almeno in un senso importante, alla persona umana grazie alla loro oggettivazione tecnica in “macchine sperimentali” funzionanti 3),

mentre la seconda pone questioni che non possono prescindere da chi s’interroga (e, in ultima istanza, solleva la questione radicale del senso). E tuttavia su un punto importante la ricerca scientifica e quella filoso- fica non si distinguono. Dopo essersi chiesto se la filosofia abbia un senso che potremmo dire etico-pedagogico, Rigobello risponde positivamente, ma nella misura in cui la sua finalità ultima è lo sviluppo della persona. Ma proprio da questa risposta egli ricava la tesi in questione. Poiché la finalità della filosofia è appunto lo sviluppo della persona, essa non può avere un solo metodo di ricerca: «Ciò comporta una autonoma formazione interiore

e, sul piano della ricerca, una pluralità di metodi. Ogni teoria scientifica non

va considerata come una conoscenza definitiva, ma sempre esposta a diver- si possibili sviluppi. [...] La stessa pluralità di metodi indica non solo i limiti

che la ricerca incontra nel suo esercizio, ma anche la capacità di riproporre ulteriori prospettive» (p. 48; il corsivo è mio).

Mi pare perciò di non forzare troppo il testo in discussione, di- cendo che in esso, fra l’altro, emerge una concezione al tempo stesso “esistenziale” e “analitica” del rapporto tra le scienze e la filosofia: in quanto richiesta radicale di senso posta dalla e per la persona umana, la filosofia è, al pari di ogni disciplina empirica che voglia presentarsi come scienza, criticità radicale senza compromessi, richiesta incondi- zionata di verità.

3 Cfr. M. Buzzoni, Thought Experiment in the Natural Sciences. An Operational and Reflec-

La concezione del rapporto tra filosofia e scienze particolari che mi pare delinearsi nello scritto in discussione evita due vedute opposte: da un lato, la soluzione del naturalismo d’impostazione analitica, dall’al- tro quella dell’antinaturalismo di tipo fenomenologico-esistenzialistico. Vorrei esprimerla concisamente come segue.

Per un verso, l’indagine filosofica è attraversata dall’inizio alla fine dal “conosci te stesso”, e questo rende la filosofia irriducibile alle scien- ze particolari: la sua criticità è anche riflessiva, perché riguarda il solo essere che, per quanto ne sappiamo, può sollevare – e di fatto solleva – ogni domanda, inclusa quella che concerne se stesso. Ma per altro verso la filosofia, non diversamente dalla scienza, non dispone di me- todi particolari, tranne quello delle sue possibilità di critica. È, se si vuole, un altro modo di esprimere l’eterna lezione socratica secondo cui l’uomo più sapiente (e saggio) sa di non disporre d’alcun metodo risolutivo particolare. L’indagine di Socrate, l’indagine della filosofia, dipende di volta in volta da metodi particolari sempre diversi, inclusi quelli scientifici.

Questa è in certo senso la verità d’ogni variante dell’odierno natu- ralismo, persino di quelle più estreme, che però non possono coeren- temente riconoscere la vera ragione di ciò, che lo scritto di Rigobello almeno suggerisce: soltanto se le cose stanno in questi termini, la filoso- fia – o meglio ancora la sua capacità di sollevare il quesito radicale del senso ultimo dell’esistenza – può aiutare la persona umana, nella varia e imprevedibile fenomenologia della sua esistenza concreta, a compren- dere il senso ultimo della sua esistenza, contribuendo a dare una rispo- sta alla domanda radicale di senso 4.

4. Conclusione

Come abbiamo visto, nelle prime pagine dello scritto di cui ci siamo occupati, Armando Rigobello nota che può accadere che, tentando di definire meglio il proprio pensiero, ne risulti «qualcosa di parzialmente diverso, una riconsiderazione da una prospettiva più ampia» (p. 5). Chi conosce la produzione filosofica precedente di questo autore non può non porsi almeno le due seguenti domande: 1) Diverso in che senso? 2) Qual è la prospettiva più ampia cui Rigobello sta alludendo?

4 Ho cercato di sviluppare questa tesi in M. Buzzoni, Thought Experiments in Philosophy:

Le risposte suggerite dalle precedenti considerazioni sono le se- guenti: 1) l’intreccio fra piano esistenziale e trascendentale, che indub- biamente attraversa ogni scritto di Rigobello, si è qui concretizzato in una nota nuova rispetto alle riflessioni precedenti, una nota che, nonostante sia solo fugacemente accennata, possiede secondo me un notevole interesse teoretico, e che riguarda i rapporti tra la filosofia e le scienze particolari; 2) senza togliere la loro differenza in linea di principio, emerge adesso un’importante nota comune: anche le scienze particolari, sia pure indirettamente, contribuiscono a quell’allargamen- to del concetto di ragione che, nelle opere precedenti, mi pare fosse essenzialmente riservato alla sola filosofia.

Marco Buzzoni

SOMMARIO

In Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità, Armando Rigo- bello, tentando di definire meglio il proprio pensiero, sembra derivarne «qualcosa di parzialmente diverso, una riconsiderazione da una prospettiva più ampia». L’ipotesi che avanzo è che qui l’intreccio fra piano esistenziale e trascendentale presenta un aspetto nuovo, concernente il rapporto che intercorre fra la ragione filosofica e la ra- gione scientifica. In questo libro, senza rinunciare alla differenza qualitativa tra la filo- sofia e la scienza, Rigobello coglie un’analogia fra di esse non presente nei suoi scritti precedenti, ma che ha un’innegabile importanza teoretica, poiché, proprio mentre assegna loro limiti precisi, aiuta a riconoscere un elemento importante di verità nelle concezioni naturalistiche della filosofia.

SUMMARY

In Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità, Armando Rigo- bello, while essentially seeking to express with greater exactness ideas that were al- ready presented in his preceding work, supports that “something partially different emerged, a rethinking from a broader perspective”. The answer I would suggest is that here the entanglement of existential and transcendental dimension assumes a new aspect, which pertains to the relationship between the philosophic and the scien- tific reason. In this book, without renouncing the difference in principle philosophy and science, Rigobello draws an analogy between them which was not present in his previous writings, but which is theoretically important because it helps acknowledg- ing the element of truth in naturalistic conceptions of philosophy, while assigning to them their limits.

Nel documento Autenticità di un pensiero relazionale (pagine 63-70)