• Non ci sono risultati.

L'analisi delle dinamiche della vergogna e delle sue articolazioni in alcune scritture della Shoah ha permesso di rilevare una serie di pratiche narrative, temi e dispositivi ben definiti. La descrizione di scene in cui viene messa in moto una dinamica di potere, condizione basilare affinché si provi vergogna, è assai frequente infatti nell'opera di Levi come in quella di Antelme e degli altri narratori ai quali ho chiesto supporto per condurre l'analisi. All'interno di tali scene, inoltre, la dimensione dello sguardo – tema centrale, come abbiamo visto, anche nella riflessione filosofica e nella ricerca psicologica a partire dagli anni Quaranta del Novecento – si rivela fondamentale, espressa sia nel suo senso diretto, come abbiamo visto nel caso di Levi e del dottor Pannwitz, che tematizzata nell'immagine e nelle descrizioni del volto, come accade principalmente nell'opera di Antelme.

Di grande importanza si è rivelato poi, direttamente connesso a quello del volto, il tema dell'identità, anche questo espresso sia in forma diretta che attraverso la tematizzazione delle sue componenti principali: il nome proprio, il corpo e, ripeto, il volto.

Inoltre, la dichiarata sfiducia nei confronti delle possibilità comunicative del linguaggio, e quindi la ricerca di una forma linguistica e stilistica adatta a comunicare la verità, è un tema che serpeggia costantemente in quasi tutte le scritture del periodo. Tema sia pratico che teorico, dato che viene espresso proprio tra le righe di testi letterari che si preoccupano di testimoniare, di dire quindi la verità.

Voglio infine soffermarmi su un ultimo dato. Un testo facente parte del grande insieme che, per comodità, chiamiamo letteratura della Shoah, è spesso costruito su due pratiche narrative: la riflessione etica e la descrizione visiva di scene. La prima è sempre stata in forte commercio, com'è ovvio, con il discorso filosofico; la seconda, che spesso funge da preludio e pungolo alla teoresi proprio perché consiste nella messa in pratica di una teoria dello sguardo, è legata a doppio filo con la tecnica cinematografica del montaggio, la quale avrà poi immenso successo come tecnica di scrittura a partire dal

196

dopoguerra. Ho già descritto, nello specifico, l'utilizzo di questa tecnica nel caso del libro di Antelme.528

In ultima istanza, il forte approccio visivo di questi autori, reso caratteristico dal fatto che descrivono una realtà inumana e distorta, è causa del loro soffermarsi in narrazioni di scene che si distinguono per via di una loro certa "aria onirica". Il sogno quindi, tema psicanalitico e letterario per eccellenza, assume un ruolo importante anche in queste narrazioni, ed è forse, insieme con l'autobiografia classica, uno dei pochi legami che la letteratura della Shoah instaura con la letteratura precedente. Il sogno di Primo Levi è uno dei cardini su cui ruotano Se questo è un uomo e La tregua; alcuni passi in stile grottesco presenti in La specie umana potrebbero benissimo venire dalle immagini di un incubo; le due scene di risveglio raccontate da Jorge Semprún in La

scrittura o la vita, cioè scene in cui il personaggio principale è in una condizione di

semi incoscienza, hanno con la dimensione onirica un forte legame.

Le pratiche letterarie e i temi che qui ho specificato entreranno a far parte dell'insieme di strumenti adoperati da alcuni scrittori italiani del dopoguerra che, pur non avendo sperimentato l'esperienza del Lager e non parlando direttamente di questo tema, sono influenzati dal medesimo clima culturale venutosi a creare. Tale clima comprende le filosofie e le tecniche psicanalitiche, ma anche la presenza di decisivi cambiamenti nella pratica della scrittura letteraria, dovuti non solo alla centralità di Auschwitz, ma anche ai mutamenti e alle piccole rivoluzioni che la letteratura italiana si è conquistata autonomamente, per riflessione interna e in risposta alla caduta del fascismo.

Sia nel campo della prosa che in quello della poesia, infatti, assistiamo a cambiamenti consistenti. Da un lato, il frammentismo e certa prosa d'arte – nata anche per via della censura – progressivamente lasciano il posto al romanzo e al neorealismo, con la conseguente promozione di uno stile e di un linguaggio semplici e diretti. Dall'altro, la poesia dismette sempre più i modi ermetici e, grazie ad alcuni autori, inizia il suo cammino verso la contaminazione con la prosa.

La gran parte degli autori italiani vengono influenzati anche inconsapevolmente da questo clima: i risultati sono l'abbassamento generale dello stile – con l'ovvia eccezione di Carlo Emilio Gadda – e il più insistente interesse in tematiche etiche e d'impegno politico.

528

197

Le opere di Cesare Pavese, di Elio Vittorini, quelle di Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Vasco Pratolini, concorrono, con l'influsso delle letterature straniere e in particolare di quella americana, a creare il clima giusto perché la letteratura italiana successiva alla Resistenza trovi la sua modalità di espressione. A partire da queste esperienze l'Italia darà vita a una congerie di nuovi scrittori come Italo Calvino, Carlo Levi, Giuseppe Berto.

Tutti gli autori qui citati sono certo assai diversi tra loro, per lingua, modalità narrative, scelte stilistiche. Tuttavia seguono un filo comune che caratterizzerà la letteratura italiana a lungo, costituito ripeto dall'abbassamento dello stile e dalla scelta di tematiche sia politiche che etico-esistenziali.

Nella prima parte di questo lavoro ho diviso gli autori trattati in una sorta di canone diviso in tre gruppi: testimoni diretti o prima generazione (Primo Levi, Robert Antelme, Elie Wiesel e Jorge Semprún); testimoni indiretti o seconda generazione (Georges Perec, Art Spiegelman); autori ebrei i quali, pur non essendo coinvolti nella storia del genocidio neanche a livello familiare, hanno colto proficuamente la testimonianza dei loro predecessori (David Grossman, Jonathan Littell, Joe Kubert).

Al fine di portare a termine un'analisi che abbia come perno la vergogna e le sue articolazioni all'interno di testi narrativi, è giunto il momento di individuare un secondo canone, con la presentazione del quale certo non pretendo di esaurire le molteplici forme in cui la vergogna si manifesta in campo letterario. Ritengo in ogni caso opportuno concentrare l'attenzione su un numero definito di autori, in modo che gli esempi testuali che proporrò siano contestualizzati all'interno di un discorso più puntuale. Tuttavia, il presente studio si concentrerà in particolar modo sull'opera di Giuseppe Berto, l'autore che io ritengo in grado di dare più risposte se interrogato attraverso il filtro della vergogna. Spiegherò a breve i motivi di questa scelta, nel capitolo che segue a questa breve introduzione.

Adesso è più opportuno citare gli altri nomi possibili e spiegare brevemente perché fanno parte di questo secondo canone: tali autori sono Umberto Saba, Curzio Malaparte, Vittorio Sereni, Giorgio Bassani e Giovannino Guareschi.

Umberto Saba è un caso a parte. Dopo Italo Svevo, è tra i pochi autori italiani dell'epoca a trattare apertamente tematiche psicanalitiche, avendo egli frequentato Edoardo Weiss – lo stesso analista di Svevo – a cavallo tra gli anni Venti e gli anni

198

Trenta. Il Canzoniere viene pubblicato per la prima volta nel 1921 e di lì in poi verranno pubblicate successive edizioni ampliate, fino alla morte dell'autore, avvenuta nel 1957.

Tuttavia, a noi qui interessa il Saba prosatore, non meno generoso del Saba poeta. Nelle sue prose, qui è il punto, uno dei temi principali è certo la propria appartenenza alla comunità ebraica, che egli tratta con affetto ma anche con ironia. La qual cosa, dopo il genocidio nazista, rende tali scritti in certo modo non pubblicabili.

La stessa sorte toccherà a Ernesto,529 romanzo incompiuto la cui stesura si interrompe nell'anno stesso in cui fu iniziata, il 1953. In Ernesto, pubblicato postumo nel 1975 e riedito nel 1995 a cura di Maria Antonietta Grignani, il tema dell'omosessualità è centrale: il lettore potrebbe pensare che questo sia il motivo della sua impubblicabilità, considerato anche il trattamento subìto da Ragazzi di vita di Pasolini nel 1955. Tuttavia il motivo della sua mancata pubblicazione non è questo: a detta dell'autore, si tratta di questioni di linguaggio.530

Saba inoltre è l'autore della Storia e cronistoria del canzoniere,531 autobiografia critica scritta in terza persona – per pudore, a mio avviso – e pubblicata nel 1948, che ispirò chiaramente un altro libro di autocommento, scritto a sua volta in terza persona:

L'inconsapevole approccio di Giuseppe Berto. Berto cita spesso la figura di Saba,

soprattutto nei suoi elzeviri: un motivo in più per inserire questo autore nel novero degli autobiografi della vergogna.

Giorgio Bassani è il secondo autore ebreo su cui sarebbe opportuno soffermarsi. Il

giardino dei Finzi-Contini532 e le Cinque storie ferraresi533 costituiscono uno dei più interessanti resoconti narrativi della vita di una comunità ebraica. In particolare, il racconto Una lapide in via Mazzini narra il ritorno del personaggio di fantasia Geo Josz, unico sopravvissuto dei 182 ferraresi deportati dai tedeschi e, proprio per questo motivo, preso in profonda antipatia da tutta la comunità. Inoltre, è proprio questo racconto a

529

Umberto Saba, Ernesto, Einaudi, Torino, 1975 e 1995.

530

«Tutte le persone alle quali l'ho letto: Linuccia, Carlo Levi, Bollea e un giovane qui ricoverato, dicono che è la più bella cosa che io abbia scritto. (Anch'io lo credo). Disgraziatamente, è impubblicabile: per una questione di linguaggio». Lettera a Lina, 30 maggio 1953, in Mario Lavagetto, Per conoscere Saba, Mondadori, Milano, 1981, p. 555.

531

Umberto Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, Mondadori, Milano, 1948.

532

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, Torino, 1962.

533

199

segnare, nella raccolta di Bassani, il passaggio da una narrazione moderna a una tendenzialmente modernista.534

Curzio Malaparte rappresenta, così come Saba, un ulteriore caso particolare. Novello D'Annunzio, per certi versi, Kurt Erich Suckert è una delle figure più conturbanti della prima metà del Novecento italiano. Ha simpatizzato, nel corso della sua vita, per la quasi totalità delle ideologie possibili – anarchico, interventista negli anni della Prima Guerra Mondiale, fascista della prima ora, antifascista della prima ora, collaboratore degli Alleati, amico di Togliatti – mantenendo sempre ben saldo il proprio individualismo, che è poi il suo vero credo. Ha entusiasmato molti, tra cui Elio Vittorini, e allontanato praticamente tutti. Il suo successo internazionale ha inizio nel 1933 con il suo Technique du coup d'etat,535 pubblicato in francese nel 1931, che gli valse due anni dopo l'espulsione dal PNF e il confino a Lipari. In seguito, i suoi libri più noti furono

Kaputt,536 del 1944, e La pelle,537 pubblicato dopo la guerra nel 1949.

Malaparte presenta diversi punti di contatto con gli autori che ho citato in questo lavoro. Per esempio, condivide con Berto l'emarginazione del pubblico – che, ancora oggi, ostinatamente non dimentica il suo passato fascista – e l'antipatia nei confronti di chi durante il fascismo si è dichiarato fascista per poi dirsi antifascista immediatamente dopo la guerra. Entrambi gli scrittori hanno pagato il fatto di avere trovato retorico l'antifascismo espresso da alcuni intellettuali che in precedenza avevano sostenuto il regime; Alberto Moravia costituisce, in particolare, il loro bersaglio più diretto.

Inoltre, Kaputt è a mio parere l'antenato diretto del capolavoro di Jonathan Littell,

Le benevole: e rende così possibile un immaginario ponte diretto tra la memorialistica

degli anni Quaranta e la fiction contemporanea.

Gli ultimi autori, ma non per questo meno importanti, sono Vittorio Sereni e Giovannino Guareschi.

Sereni ha in comune con Berto il fatto di essere stato un POW, ovvero un prisoner

of war, internato nei campi alleati. In Sereni la vergogna di aver vissuto al di fuori della

Storia, inerme in un campo di prigionia africano, e non aver partecipato alla Resistenza,

534

Antonio Allegra, Le "Storie ferraresi" di Bassani tra moderno e modernismo, in Elena Pîrvu, La

lingua e la letteratura italiana in Europa. Atti del Convegno internazionale di Craiova, 18-19 ottobre

2010, Editura Universitaria, Craiova, 2012.

535

Curzio Malaparte, Technique du coup d'etat, Grasset, Paris, 1931 (I ed. it. Tecnica del colpo di stato, Bompiani, Milano, 1948).

536

Curzio Malaparte, Kaputt, Casella, Napoli, 1944.

537

200

diventa una costante lungo tutta la sua esistenza, in cui la privazione della propria

Erlebnis avrà un corrispettivo nella sua opera.

Guareschi, invece, è stato prigioniero nei campi tedeschi per aver opposto il suo rifiuto all'adesione, in quanto soldato, alla Repubblica di Salò, nei giorni che seguono l'Armistizio di Cassibile; tale condizione lo accomuna a un altro importante autore italiano, ovvero Mario Rigoni Stern. Guareschi documenterà la sua esperienza di prigioniero nel suo Diario clandestino,538 scritto quasi interamente durante la detenzione.

Da questa carrellata biografica, breve per esigenze di chiarezza, si deduce immediatamente che quasi tutti gli autori citati hanno in comune l'esperienza della prigionia. Il solo Saba non patì direttamente i dolori della reclusione, subendo tuttavia quelli procurati dalla promulgazione delle leggi razziali: la condizione di rifugiato a Parigi e, una volta rientrato in Italia, la latitanza.

Un'altro punto in comune: tutti gli autori in questione si vergognano profondamente di qualcosa, o permettono a tale emozione di entrare nella loro officina di scrittori in modo attivo.

Perché, quindi, concentrare la ricerca sull'opera di Giuseppe Berto? I motivi sono diversi e verranno specificati, come ho già detto, nel seguente capitolo. Tuttavia è possibile anticipare due questioni fondamentali. Prima di tutto, Berto è il primo vero, consapevole erede della lezione di Svevo: portò infatti nuovamente in auge la psicanalisi nel mondo letterario (e infine nella società italiana) attraverso il personalissimo stile da lui stesso definito discorso associativo. Non epigono del triestino, quindi, ma vero e proprio continuatore, dato che il freudismo entra in lui non solo come tema letterario, ma anche come tecnica di scrittura.

Ma ben prima della pubblicazione del suo libro psicanalitico per eccellenza, Il

male oscuro, Berto ha dovuto fare i conti con il suo passato di soldato e con la sconfitta

bruciante. In Berto vi è la vergogna (o il senso di colpa, o la vergogna morale?) di aver partecipato volontariamente alla guerra e di aver distrutto un ordine armonico di natura metafisica (attraverso ciò che lui stesso definirà il male universale), e per di più di averlo fatto in camicia nera.539 Questa evenienza lo porta, ben prima dell'incontro con Nicola Perrotti, a concepire la scrittura come un impegno etico, non certo estetico. Vale a dire che la scrittura è per lui, sin dall'inizio, un mezzo per portare alla luce, per

538

Giovannino Guareschi, Diario Clandestino. 1943-1945, Rizzoli, Milano, 1949.

539