• Non ci sono risultati.

ESPRESSIONI DELLA VERGOGNA

2. Riduzioni dell'identità: il nome e il volto

2.5 I volti, i nomi e i numeri in Vedi alla voce: amore di David Grossman

Nella sezione in corsivo di W, vale a dire quella finzionale, Perec omette spesso i nomi propri e quelli delle città. Il che è un paradosso, dato che nella parte in tondo, nella quale mette in certo modo a nudo la propria biografia, non rinuncia mai a riferire i nomi delle persone coinvolte, ma addirittura li analizza lettera per lettera, come abbiamo visto. Così facendo viene meno alla tradizionale laconicità di molti scrittori autobiografici.

In Vedi alla voce amore, i personaggi della storia hanno tutti un nome e un cognome, un’identità, anche se in alcune occasioni quest'ultima viene in certo modo distorta. La prima di tali distorsioni avviene con il passaggio dal primo e al secondo capitolo, quando il giovane protagonista Momik diventa l’adulto Schlomik. La seconda ha luogo nel terzo capitolo, quando il suono “herrneigel”, continuamente emesso da nonno Anshel, diventa finalmente Herr Neigel, il comandante del campo di concentramento in cui è rinchiuso Anshel Wassermann (che a sua volta ha un nome d’arte: Sheherazade). La terza avviene nello stesso capitolo, dato che Momik, poi Schlomik, nella bocca di Anshel diventa Shleimele.

I capitoli stessi sono basati su delle identità: i loro titoli portano infatti il nome dei loro protagonisti principali: Momik, Bruno (Schulz), Wasserman.

Tuttavia, la presenza costante di nomi propri non significa che le identità dei personaggi siano salde. Al contrario, vi è in Grossman una costante interrogazione sul problema. Sin dalle primissime pagine del suo lavoro, infatti, l’autore inserisce nella storia due figure che, a fasi alterne, torneranno in scena e che si costituiscono come materializzazioni narrative di questo tema:

«Ginzburg che era sudicio e puzzolente chiedeva sempre chi sono chi sono, e questo perché aveva perso la memoria quando era da quelli lì che Dio li maledica, e il piccolino, Seidman, sorrideva a tutti, e si diceva di lui che era vuoto dentro».499

Ginzburg e Seidman sono personaggi, ma la loro funzione narrativa è più simile a quella del simbolo. In queste poche frasi è già condensato il problema della

499

180

depersonalizzazione operata nel Lager, ne sono già chiari gli effetti. Ginzburg perde la memoria a tal punto da dimenticare se stesso, mentre Seidman dice di essere vuoto dentro, ed emula costantemente i movimenti e gli atteggiamenti degli altri. Seidman è molto probabilmente un esempio di persona in stato schizoide, la sua condizione di vuotezza tanto somiglia a quella del malato mentale che soffre di ansia da implosione.500 Anche Levi aveva detto che l'internato è «un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso».501

Inoltre, Momik li chiama Ginzburg e Seidman operando una scelta ben precisa: sa infatti che questi sono i loro veri nomi, mentre tutti gli altri li chiamano Max e Moritz. Il lettore qui può dedurre che la depersonalizzazione è completa, non potrebbe esserlo di più, perché tale processo interno alle loro personalità è stato ormai riconosciuto e legittimato anche all'esterno, da quelle persone altre che non si curano più di chiamarli con i loro veri nomi, ovvero di identificarli per ciò che essi realmente sono.

L'autore mostra così quali sono gli effetti del soggiorno prolungato in Lager, mette in scena le storture della mente nel pieno di un giorno qualsiasi, in un quartiere qualsiasi. Fortunatamente Grossman è un narratore generoso e il suo lettore non deve accontentarsi della rappresentazione di tali effetti perché, nella seconda parte del libro, l'autore ne mette in chiaro anche le cause. Mette cioè in scena il meccanismo di distruzione dell'identità insito nella macchina del Lager. Tale meccanismo si articola in due momenti distinti: quello in cui le SS si depersonalizzano per fare il loro lavoro e quello in cui depersonalizzano a loro volta i prigionieri. Analizziamo più da vicino il primo aspetto di questo problema.

In una scena in cui Neigel e Anshel discutono della guerra, l'ufficiale tedesco esprime la propria opinione sul movimento nazista. Dopo aver citato il noto discorso tenuto da Himmler a Poznań, il militare instaura un legame diretto tra l'uccisione di donne e bambini e la fortificazione dell'animo. Ammette, come peraltro ogni libro sull'argomento ha fatto fino a oggi, che esistono dei sadici i quali godono del massacro, eppure quest'ultimo lo si deve condurre in silenzio, perché la vera SS non deve far trapelare alcuna emozione, non deve gioire del proprio lavoro. Neigel si sofferma in modo particolare su questo punto, perché tiene a citare un episodio che ha come protagonista proprio Himmler:

500

R. Laing, L'io diviso, cit., p. 52.

501

181

«Lo sai che Himmler stesso viene ad osservarci mentre eseguiamo le selezioni, per vedere se permettiamo all'espressione, di qualunque sentimento, di apparirci in faccia».502

Himmler si ispira al Drill, la pratica militaresca ereditata dall'esercito prussiano. Primo Levi ne parla specificamente nel suo I sommersi e i salvati:

«si ha l’impressione che per tutta la Germania hitleriana il codice ed il galateo della caserma dovessero sostituire quelli tradizionali e "borghesi": la violenza insulsa del Drill aveva cominciato a invadere fin dal 1934 il campo dell’educazione e si ritorceva contro lo stesso popolo tedesco. Dai giornali dell’epoca, che avevano conservato una certa libertà di cronaca e di critica, si ha notizia di marce estenuanti imposte a ragazzi e ragazze adolescenti nel quadro delle esercitazioni premilitari: fino a 50 chilometri al giorno, con zaino in spalla, e nessuna pietà per i ritardatari. I genitori e i medici che osavano protestare venivano minacciati di sanzioni politiche».503

Come è chiaro, il culto della durezza permea la società tedesca dell'era nazista, costantemente in concorrenza con la durezza che caratterizza l'Armata Rossa. Lo sforzo, il sacrificio, l'annullamento della pietà entrano a far parte del sistema educativo tedesco, poiché è necessario alla dirigenza di partito inculcare una Weltanschauung militaresca nella mente dei giovani.

L'Italia di Mussolini non mette in pratica lo spietato Drill prussiano. Tuttavia, l'Opera nazionale balilla per l'assistenza e per l'educazione fisica e morale della

gioventù venne fondata nel 1926, e sin dal 1928, cioè prima ancora che Hitler prendesse

il potere, il giuramento stampato sulle tessere dell'Opera nazionale Balilla non lascia dubbi: «Nel nome di Dio e dell'Italia giuro di eseguire gli ordini del DUCE e di servire con tutte le mie forze e se è necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione Fascista».

Anche da questo aspetto della storia dei totalitarismi è stato tratto spunto per una rappresentazione artistica: gli americani infatti, cogliendo la brutalità dell'educazione tedesca, hanno prodotto nel 1943 un cortometraggio di propaganda antinazista,

Education for Death. The making of the Nazi, realizzato dalla Disney.504

502

David Grossman, Vedi alla voce: amore, cit., p. 301.

503

P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 94.

504

182

Anche Tzvetan Todorov parla del Drill in un suo saggio già più molte citato, legando direttamente questa pratica prussiana alla depersonalizzazione:

«Infine la depersonalizzazione è ottenuta anche mediante l'indottrinamento ideologico, che soprattutto in Germania assume la forma di un culto della "durezza" e di una sistematica denigrazione di ogni senso di pietà. Un culto anteriore al nazismo, detto

Drill, e che fa parte di quella che è stata definita "psicologia nera" (il padre deve picchiare

il figlio per farne un uomo), lo si ritrova anche nell'addestramento militare prussiano, durante il quale vengono imposti esercizi spossanti, marce chilometriche con un grosso peso sulle spalle, in nome dell'idea che ogni sofferenza in più è per il tuo bene e che invece di lamentarsene se ne deve essere orgogliosi. Il nazismo si appropria di queste "tradizioni" e le integra in un sistema coerente. L'addestramento delle SS è "duro", il che garantisce che il trattamento a cui sottoporranno i detenuti non sarà viziato da una spontanea pietà».505

L'SS diventa un automa: ovvero, la condizione in cui vorrebbe che morissero le sue stesse vittime. Una tecnica per raggiungere questo risultato consiste nella fuga di ogni emozione dal proprio volto, la qual cosa riporta direttamente al testo di Antelme, nei passaggi in cui il volto e il suo rossore diventano tema centrale. La comprensione profonda del significato dello sguardo mutilato di Neigel è propedeutica a quella dei passi seguenti, i quali riportano il lettore, seppur nel quadro di una scrittura narrativa, nei territori del pensiero fenomenologico ed esistenziale.

Il nodo centrale del rapporto tra Herr Neigel e Anshel Wasserman sta nel fatto che nessuno riesce a uccidere quest'ultimo. Camera a gas e proiettili in testa non possono nulla contro questo piccolo uomo che non riesce a morire. Il patto tra Neigel e Anshel è semplice: se l'ebreo riuscirà a raccontare una bella storia al tedesco, costui proverà a ucciderlo. La scena seguente ha luogo proprio in un momento in cui Anshel, che desidera fortemente di morire, chiede disperatamente alla SS di ucciderlo. Tuttavia, specifica di non desiderare un omicidio alla maniera dei nazisti. Anshel infatti vorrebbe morire in un modo particolare, che va oltre la volontà e oltre la legge che Neigel deve rispettare:

«"Lei ne ammazza qui a migliaia ogni giorno. Tutti gli ebrei che ci sono al mondo le passano davanti come pecore mandate al macello per ordine suo, e l'ho vista finire con le sue mani così tanta gente. Innumerevoli volte. E non ho mai visto che lei ci riflettesse su o esitasse, Dio liberi, nemmeno una sola volta! E cosa le chiedo io, ora? Un nonnulla! Un

505

183

puntino sull'i, non più grosso di un puntino sull'i è ciò che le chiedo! Di fare come è suo solito, ma solo, questa volta, di farlo con intenzione, in virtù di una decisione nuova! O forse non è capace di farlo, Herr Neigel? Mi spari, batta sulla sua polvere da sparo, nu! Magari le si tappasse la bocca di terra, spari a palla! Feuer, Neigel, Feuer, fuoco!"

Neigel chiuse gli occhi e sparò e nel far così emise uno strano suono, un sospiro o un grido di spavento strozzato».506

Dopo questo momento terribile, di fronte ad Anshel ancora vivo, Neigel inizia a tremare – senza nasconderlo, si premura di comunicare l'autore – e gli appare una strana espressione sul volto, è in pieno shock emotivo. Ma ciò su cui dobbiamo ulteriormente soffermarci è il fatto che a Neigel è stata chiesta una cosa "illegale", a volerla vedere dalla sua ottica. Wasserman gli chiede di ucciderlo con intenzionalità, ovvero uno dei concetti più cari alla scuola fenomenologica. Tale intenzionalità dovrebbe mettere in atto il riconoscimento dell'altro, cosa assolutamente inconcepibile per Neigel, sia perché così altri non vogliono che sia fatto, sia perché attraverso il riconoscimento si esporrebbe al colpo di scena etico levinassiano, cioè all'epifania dell'altro per mezzo dell'apparizione del volto, che lo condannerebbe a rendersi pienamente conto di essere un assassino. Per questo motivo, quando fa esplodere il colpo in testa al suo problematico prigioniero, i suoi occhi sono completamente chiusi.

Il tema degli occhi chiusi si ripete in una scena successiva, quando Neigel decide di mettere in pratica la regola della decimazione e deve selezionare venticinque prigionieri:

«Neigel sceglie con un cenno del dito i condannati a morte. Tiene gli occhi socchiusi come se esaminasse i condannati molto attentamente. Ma tra i condannati molti sarebbero stati pronti, più tardi, a giurare che ha scelto le sue vittime ad occhi chiusi. [...]. Quando passò davanti all'abbaino, anche Wasserman potè vedere che la sua faccia era molto tesa e i suoi occhi parevano chiusi».507

Da questo momento in poi, si capisce che il destino di Neigel è segnato. Non è semplicemente un uomo incapace di mantenere fede agli obblighi imposti da Himmler, cioè non tradire emozioni, ma non riesce neanche a infrangere la regola come fanno di solito i suoi colleghi, cioè godendo profondamente dei massacri. Neigel chiude gli occhi perché serba ancora, dentro di sé, un po' di umanità.

506

David Grossman, Vedi alla voce: amore, cit., p. 317.

507

184

Per uno scrittore che parla della Shoah, il tema dell'umanità dei carnefici è delicato e difficile da equilibrare nella narrazione senza esporsi alla polemica: l'intervista di Gitta Sereny a Franz Stangl, in cui il carnefice nazista viene descritto da questo punto di vista, ha infatti valso diverse critiche alla sua autrice; Jonathan Littell ha subìto la stessa sorte. Anche l'azione contraria, ovvero l'accusa dei capi delle comunità ebraiche, ha suscitato sospetti e violente reazioni nei confronti di Hannah Arendt, la quale ha espresso questa critica in uno dei suoi libri più celebri.

Volendo tornare al tema del riconoscimento, è importante soffermarsi su ciò che anche Todorov ha da dire in merito. Dopo aver elencato le tecniche di depersonalizzazione delle vittime (tra cui annovera la nudità forzata, la privazione del nome proprio e il mancato utilizzo di termini afferenti al campo della personalità), lo studioso bulgaro mette in chiaro che quando il carnefice si trova di fronte l'essere umano in sé, ovvero quando non può vederlo come inserito in una categoria, è costretto a interagirvi come persona:

«Proprio per questa ragione nei campi di sterminio tutto è concepito per evitare il faccia a faccia, per impedire che il boia veda lo sguardo della vittima posarsi su di lui. Solo un essere individuale ci può guardare [...]; sfuggendo il suo sguardo ci sarà più facile ignorarne la persona».508

La conferma che Neigel sia coinvolto in un vortice di eventi che lo mettono sotto uno scacco etico insopportabile è data dal fatto che, dopo l'uccisione, continua a tenere gli occhi chiusi. Neigel diventa il sonnambulo della propria morale: per un certo periodo di tempo successivo al massacro non solo sceglie di non guardare il volto delle proprie vittime, di non riconoscerle, ma oblitera intenzionalmente al suo sguardo la totalità del mondo circostante, che potrebbe ancora contenere un collegamento diretto tra lui stesso e la propria colpa.

Il vero nazista, il vero gerarca non avrebbe bisogno di questo. È noto che al processo di Norimberga gli imputati, per giustificarsi, hanno spesso portato avanti il principio dell'obbedienza ai comandi,509 cioè un principio che li priva di autonomia e li riduce a uno stato subumano. Questa tecnica di legittimazione li conduce alla continua perpetrazione dell'omicidio e li condanna a una condizione voyeuristica forzata – vedere

508

T. Todorov, Di fronte all'estremo, cit., p. 177.

509

185

la morte di migliaia di persone a causa loro – le cui conseguenze psicologiche sono però azzerate dalla neutralizzazione del loro Super-Io.

Poche pagine dopo, Neigel dimostra di non saper fare lo stesso e continua a tradire questa sua umanità nascosta, la quale, tornando in attività, gli causerà la morte. Il lettore certo sa, o facilmente deduce, che le SS non davano certo del lei o del voi ai prigionieri. La cosa è ben documentata anche da Bettelheim, il quale sostiene inoltre che gli stessi internati erano costretti a darsi del tu tra di loro. Bettelheim vede in quest'obbligo un'ulteriore prova del fatto che i nazisti adottassero la tecnica della regressione infantile510 per controllare i loro prigionieri attraverso l'umiliazione:

«Vorrei a questo proposito ricordare che quando parlavano tra loro gli internati erano obbligati a darsi del "tu", che in Germania non viene mai usato indiscriminatamente, se non fra bambini, mentre dovevano rivolgersi alle guardie nella maniera più ossequiosa, usando tutti i titoli che loro spettavano».511

Anche Neigel dà del tu a Wasserman, all'inizio della loro strana relazione. Ma, assai stranamente, non va in collera per il fatto che Wasserman fa altrettanto.512 Probabilmente accetta la situazione perché Anshel è il mitico Sheherazade, lo scrittore per bambini che lui stesso leggeva assiduamente da piccolo. Paradossalmente, siamo di fronte a due tentativi di regressione infantile: una, quella agìta da Neigel nei confronti di Anshel, è coatta e volta alla distruzione dell'equilibrio mentale; l'altra, che consiste nell'atto di narrare storie per bambini a un ufficiale tedesco, non è volontaria e risulta piacevole alla sua "vittima".

Ciò che però risulta del tutto fuori luogo è il fatto che assurdamente, dopo l'esecuzione dei venticinque prigionieri, Neigel faccia un passo indietro nel tradizionale processo sociale che vede l'incremento della confidenza tra due soggetti. Vale a dire che se in precedenza aveva dato esclusivamente del tu a Wasserman, a un certo punto inizia

510

Primo Levi non apprezza le analisi di Bettelheim. Le sue interpretazioni gli sembrano «approssimative e semplificate» (I sommersi e i salvati, p. 65). Tuttavia, anch'egli sembra sia d'accordo con il nodo centrale della teoria di Bettelheim, ovvero che le SS applicassero tecniche per portare il prigioniero a una regressione infantile. Nelle prime fasi di I sommersi e i salvati parla di una "regressione allo stato primitivo" (p. 27), ma nel capitolo dedicato al tema dell'intellettuale ad Auschwitz, dopo aver elencato le vessazioni a cui erano sottoposti gli internati, parla di una «regressione esiziale verso uno stato d'infanzia desolato, privo di maestri e di amore» (p. 108). Tuttavia, non fa mai esplicito riferimento a Bruno Bettelheim.

511

B. Bettelheim, Il prezzo della vita, cit., p. 112.

512

186

a dargli del lei, come se d'improvviso riconoscesse Anshel come una persona dotata di un'identità precisa e meritevole di rispetto.

«"Grazie, Herr Wasserman". Gli occhi di Wasserman si socchiusero in un lungo palpito di dolore e di piacere. Era la prima volta, da anni, che un tedesco lo chiamava "Herr"».513

La parola Herr, pronunciata da Neigel, costituisce un passo ulteriore nel lungo cammino che lo ha portato, infine, a riconoscere Anshel, intenzionalmente. Che il tema dell'intenzionalità del riconoscimento sia caro a quest'ultimo è evidente da molte sue parole: perfino durante una discussione, in cui cerca di trovare nell'anima di Neigel un piccolo rimorso, non si lamenta semplicemente del fatto che i nazisti abbiano ucciso migliaia dei suoi correligionari, ma che li abbiano uccisi senza neppure chiedere il loro nome.514

Dal punto di vista del rapporto tra Neigel e Wasserman, la storia del tema del riconoscimento in Vedi alla voce: amore si chiude su un episodio molto significativo, collocato non a caso nella fase conclusiva del romanzo. Si tratta del momento in cui Anshel si rifiuta categoricamente di narrare la sua storia a Neigel, che risponde alla provocazione picchiandolo, per la prima e ultima volta. In questa reazione non troviamo nulla di speciale: ciò che risulta, al contrario, assai significativo è il modo in cui reagisce all'evento lo stesso Anshel. Grossman riporta il suo pensiero nella forma del discorso diretto:

«"Mi aveva preso per il collo, il poveretto, e mi percuoteva con i pugni, con tutta la sua forza mi batteva, e io non mi lasciavo sfuggire di bocca un sol suono, solo mi facevo piccino e pregavo che venisse per me la fine, imperocché in quella maniera, una maniera intima, mai fino allora avevano tentato di finirmi, ma solo da lontano avevano tentato, senza toccarmi"».515

Anche stavolta Neigel, dopo il trauma emozionale, si accascia, ansima, geme. Proprio perché, per un istante, ha riconosciuto Neigel. Picchiandolo, si è macchiato di un delitto doppio, perché da un lato aveva uno scopo troppo personale per prenderlo a

513 Ivi, pp. 360-361. 514 Ivi, p. 423. 515 Ivi, p. 529.

187

pugni, dall'altro perché si è reso conto di essere un prevaricatore, e la cosa ormai gli risulta talmente chiara da non poter sfuggire al meccanismo del senso di colpa.

Ma come ho anticipato, la reazione di Anshel è ciò che più importa in questo passo. Egli infatti afferma che nessuno aveva mai provato, fino a quel momento, a