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ESPRESSIONI DELLA VERGOGNA

1.4 Lo sguardo di Pannwitz

«Le mie idee sono chiare, e mi rendo conto anche in questo momento che la posta in gioco è grossa; eppure provo un folle impulso a scomparire, a sottrarmi alla prova.

Pannwitz è alto, magro, biondo; ha gli occhi, i capelli e il naso come tutti i tedeschi devono averli, e siede formidabilmente dietro una complicata scrivania. Io, Häftling 174517, sto in piedi nel suo studio che è un vero studio, lucido pulito e ordinato, e mi pare che lascerei una macchia sporca dovunque dovessi toccare.

Quando ebbe finito di scrivere, alzò gli occhi e mi guardò.

Da quel giorno, io ho pensato al Doktor Pannwitz molte volte e in molti modi. Mi sono domandato quale fosse il suo intimo funzionamento di uomo; come riempisse il suo tempo, all'infuori della Polimerizzazione e della coscienza indogermanica; soprattutto, quando io sono stato di nuovo un uomo libero, ho desiderato di incontrarlo ancora, e non già per vendetta, ma solo per una mia curiosità dell'anima umana.

Perché quello sguardo non corse fra due uomini; e se io sapessi spiegare a fondo la natura di quello sguardo, scambiato come attraverso la parete di vetro di un acquario tra due esseri che abitano mezzi diversi, avrei anche spiegato l'essenza della grande folli della terza Germania.

Quello che tutti noi dei tedeschi pensavamo e dicevamo si percepì in quel momento in modo immediato. Il cervello che sovrintendeva a quegli occhi azzurri e a quelle mani coltivate diceva: "Questo qualcosa davanti a me appartiene a un genere che è ovviamente opportuno sopprimere. Nel caso particolare, occorre prima accertarsi che non contenga qualche elemento utilizzabile"».365

L'esame di chimica tenuto in Lager da Primo Levi non rappresenta certo la scena più cruda del libro. Al contrario, tutto nell'ambiente circostante dà un'idea di pulizia e di ordine, non vi è il minimo spargimento di sangue. Tuttavia, si tratta di uno dei nodi fondamentali del libro, rappresentando questo un episodio che Primo Levi ricorderà vividamente e sul quale baserà il suo giudizio riguardo ai tedeschi.

L'esame di chimica è un evento complesso nella storia di Levi, perché basato su un principio di contraddizione: fare il chimico in un campo significa avere qualche speranza di sopravvivenza, ma per diventarlo bisogna sottoporsi allo sguardo reificante di Pannwitz, un'esperienza che farà capire a Primo quanto l'ideale nazista fosse sentito da quell'uomo, quanto siano diversi due esseri che dovrebbero, a dirla con Antelme, far parte della stessa specie.

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Levi, nel suo racconto, dice di trovarsi come Edipo di fronte alla Sfinge.366 Il richiamo al classico ha il suo fascino perché è inteso dalla maggior parte dei lettori, essendo il mito della Sfinge di vasta diffusione. Attiva, tuttavia, un'ulteriore suggestione nel lettore che voglia andare più a fondo, in un secondo livello di lettura: la Sfinge- Pannwitz non considera Edipo-Levi un essere umano, eppure secondo il mito la risposta al suo indovinello è proprio la parola "uomo".367

Inoltre, forse inconsciamente, Levi richiama una seconda volta la mitologia greca, questa volta attraverso il filtro della commedia dantesca: secondo Alberto Cavaglion Levi sovrappone la figura di Pannwitz a quella di Minosse:368 se Auschwitz è paragonato a un inferno in terra, Pannwitz ne è il giudice, dato il suo ruolo di esaminatore. Tuttavia, non indicherà il girone in cui Primo dovrà scontare la sua pena, ma il laboratorio in cui conquisterà la sopravvivenza. Pannwitz, il quale «siede formidabilmente dietro una complicata scrivania»,369 corrisponde al Minosse che sta «orribilmente», e la lunga coda del giudice forse eguaglia la complicatezza della scrivania del chimico tedesco.

Ma al contrario di ciò che avviene nell'inferno dantesco, in cui le pene dei dannati vengono comunicate con precisione attraverso le evoluzioni della coda dell'antico re di Creta, l'esito dell'esame di Pannwitz viene scritto «in segni incomprensibili [...] sulla pagina bianca».370 In questo luogo del testo, Cavaglion vede un punto di contatto tra le due figure, perché si tratta in entrambi i casi di giudizi espressi non verbalmente. Tuttavia, a me sembra invece che questo sia un momento in cui esse si discostano. Per quanto appaia complesso il modo in cui Minosse comunica le pene ai giudicati, essi sono in possesso della chiave per decifrare le sue indicazioni: ogni giro della coda corrisponde a un girone. Al contrario, Levi non conosce assolutamente il proprio destino: si tratta di un metodo più volte sperimentato dai nazisti nell'ambiente del Lager, al fine di non permettere all'internato di fare previsioni, di prefigurarsi un futuro. Quasi a dire che l'inferno di Auschwitz supera, per certi aspetti, quello tradizionalmente inteso, poiché in quest'ultimo è assai chiaro quale sarà il destino del dannato, mentre Levi è

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P. Levi, Se questo è un uomo, cit., p. 133.

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Questo è quello che accade nella versione del mito dello Pseudo-Apollodoro, e in quella di Asclepiade riportata da Ateneo di Naucrati.

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«L'autore riconosce nel Doktor Pannwitz un giudice infernale padrone del suo destino; anche lui, come Minosse, esprimerà il suo giudizio non a parole, ma "in segni incomprensibili"». Alberto Cavaglion,

Commento al testo, in Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 2012, p. 212.

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P. Levi, Se questo è un uomo, cit. p. 133.

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costretto a dirsi che «pare sia andata bene, ma sarebbe insensato farci conto. Conosco già abbastanza il Lager per sapere che non si devono mai fare previsioni, specie se ottimistiche».371

Levi ha di fronte un superuomo, un tedesco che incarna perfettamente la teoria nazista della razza. Ha voglia di scomparire, cioè di sottrarsi allo sguardo, perché prova vergogna di fronte a Pannwitz. Ha l'impressione di sporcare ciò che tocca, di essere inadeguato. È, infine, completamente annichilito dal suo sguardo, e tutto ciò che dice dimostra il doloroso senso di inferiorità provato in quell'istante. In questo passo di manifestano la gran parte dei requisiti perché il soggetto provi una vergogna difficile da sopportare senza esserne feriti.

Nella letteratura sulla Shoah in genere, ma soprattutto in Antelme come vedremo, la vista è concepita aristotelicamente come il senso della conoscenza. Anche l'interrogazione del Doktor Pannwitz è costruita sulla dinamica dello sguardo, e tuttavia in questo caso la visione non rappresenta certo la via alla conoscenza, ma quella alla reificazione e alla depersonalizzazione. Levi cita frequentemente la mitologia classica, ma in questo passo tralascia del tutto, stranamente, il tema dello sguardo della Gorgone. È certo che Medusa non induce il suo timoroso spettatore alla vergogna, perché la sua pietrificazione non mette in moto la dinamica di potere necessaria all'attivazione di questa emozione. Tuttavia, la dinamica psicologica che Levi mette in moto nella sua rappresentazione è coincidente con quella che Laing definisce ansia da pietrificazione o

spersonalizzazione, definizione che ho già discusso in precedenza ma che qui richiamo

per chiarezza: i soggetti che ne soffrono «hanno bisogno di ricevere costantemente dagli altri una conferma della loro esistenza»,372 cosa che Primo non può pretendere dal suo esaminatore, dato che quest'ultimo vorrebbe eliminarlo al più presto, una volta utilizzate le sue conoscenze chimiche. Come ho già affermato, l’internato, al pari dello schizoide, si sente costantemente esposto alla possibilità di sentire se stesso come oggetto dell’esperienza altrui, mentre al contrario, «l’atto stesso di sentire l’altro come persona viene assunto come un atto potenzialmente suicida».373 Portando questo assunto oltre i limiti della patologia psichiatrica e trasferendolo in forma alleviata nella psiche di un uomo sano, è esattamente ciò che accade a Levi durante l'esame. Egli, considerato non umano, è oggetto della valutazione del suo esaminatore, oggetto in tutti i sensi; inoltre,

371

Ibidem.

372

R. Laing, L'io diviso, cit., p. 56.

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mentre discute con Pannwitz bada solo a condurre bene l'esame, ma una volta uscito dal Lager, messa da parte l'ansia da pietrificazione che gli farebbe sentire la percezione dell'altro come atto suicida, afferma di essersi chiesto spesso «quale fosse il suo intimo funzionamento di uomo».374 Questo è poi il senso di tutto il libro: chiedersi a posteriori le motivazioni e il funzionamento della grande macchina nazista. Lo afferma l'autore stesso nella prefazione:

«esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano».375

Riconoscere in Pannwitz un essere umano è un'operazione posticipata, ma infine condotta dallo scrittore.376Il Doktor, nel testo, è la gorgone che pietrifica con lo sguardo, così come le SS descritte da Antelme. Certo l'accostamento di Pannwitz a Medusa è un'operazione fatta da un occhio moderno, consapevole dei progressi della scienza nello scandaglio delle dinamiche psichiche dell'essere umano. Come ripeto, Medusa nel mito non fa vergognare, ma annichilisce, e chi ha parlato del mito nell'antichità certo non aveva conoscenza delle definizioni di Ronald Laing. Tuttavia questo annichilimento è accostabile alla pratica di distruzione scientifica dei nemici del Reich, che comprende anche la vergogna, la riduzione allo stato primitivo, o infantile, di un essere civilizzato e adulto.

È lo stesso mito a chiarire il parallelismo che ho posto in essere. Ho detto in precedenza come, nella letteratura del Lager, la vista sia concepita aristotelicamente come il senso della conoscenza, e come questo assunto sia interrotto momentaneamente da Levi nel racconto dell'esame di chimica. Il genio greco, nella coscienza che il nesso vista-conoscenza non possa essere considerato come un assioma, interrompe a sua volta questa concezione, e vuole che sia proprio la dea della conoscenza, Atena, ad offrire lo specchio con cui Perseo ucciderà Medusa, cioè uno strumento che riproduce la visione, ma che pura visione non è. In seguito Perseo vola sulle ali di Pegaso, le sue avventure continuano e spesso la testa della gorgone è da lui usata come arma, dato che essa conserva ancora i suoi poteri. Ma alla fine della sua corsa, l'eroe ne farà dono ancora una volta ad Atena, che la porrà al centro dell'ègida. Il fatto che Atena, personificazione

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P. Levi, Se questo è un uomo, cit., p. 134.

375

Ivi, p. 7.

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In particolare, in Il sistema periodico e in I sommersi e i salvati, Levi usa il nome di Pannwitz come metonimia di tutte le pratiche depersonalizzanti e, volendo, della Shoah in sé. «Perché Auschwitz? Perché Pannwitz? Perché i bambini in gas?». P. Levi, Il sistema periodico, Einaudi, Torino, 1975, p. 222.

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della conoscenza, si difenda con il simbolo della visione negata non è un paradosso: è lei stessa a negare la vista di Odisseo ai suoi nemici, o a tramutarne le sembianze allo scopo di riportarlo infine a casa; è lei stessa ad aver reso Medusa una gorgone.

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