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3. Gli scrittori della seconda generazione: quando la finzione è un obbligo

3.2 David Grossman

David Grossman si muove su una linea diversa, seppur parallela. È infatti figlio di emigrati polacchi in Israele, ma non per motivi connessi alla Endlösung: la nonna paterna emigrò in Palestina con il figlio di nove anni, Yitzhak, mentre la madre nacque direttamente nel territorio della Palestina britannica. Grossman fa quindi parte della generazione dei figli, nato nel 1954 a Gerusalemme, ma non ha un trauma familiare diretto con cui fare i conti, come nel caso di Perec. Vive certamente, com'è ovvio, il motivo di disagio più importante per la sua generazione.200

In risposta a un interrogativo di Wiesel, che si chiede come comunicare la Shoah alle nuove generazioni, Grossman scrive quello che oggi è considerato il suo libro più importante, Vedi alla voce: amore.201 Grossman ha scritto anche libri per bambini, prima e dopo la pubblicazione di questo romanzo, ma non sceglie un registro di lettura facile, non scrive in modo da essere compreso da un lettore inesperto: per questo motivo Grossman non scrive una storia per le nuove generazioni, ma una storia delle nuove generazioni, perché ne mima la confusione e la paura attraverso la lingua. La parola di Grossman per le nuove generazioni non è una medicina, è uno specchio.

L'autore di Vedi alla voce: amore inventa un vero e proprio linguaggio ed entra in una sorta di mimesi espressiva con il Bruno Schulz di Le botteghe color cannella.202 Ha bisogno di rinnovare completamente gli strumenti dello scrittore per poter parlare di un'esperienza non esperita, di affilare il coltello della finzione per affondarlo nella carne viva della realtà del genocidio e dei suoi effetti di lunga durata.

Per far questo, inaugura la sua opera con la storia di Momik, un bambino nato nel dopoguerra a Gerusalemme. La cosa sembrerebbe coincidere con la biografia dell'autore, ma non è così. Infatti il bambino è figlio di sopravvissuti al genocidio e assorbe inconsciamente i traumi dei genitori.

200

«Although David Grossman is strictly not a ‘second generation’ holocaust survivor (his parents emigrated to Israel years before the Nazis came to power), his novel is nonetheless an example par excellence of this type of Shoah literature». Mark De Kesel, Katarzyna Szurmiak, Introduction in Marc De Kesel, Bettine Siertsema, Katarzyna Szurmiak, See under: Shoah. Imagining the Holocaust with

David Grossman, Brill, Leiden, 2014, p. 1. Nello stesso volume, cfr. Dany Nobus, Quod Vide, or the Displacement of Meaning In the Narrative Construction of Love, p. 13.

201

David Grossman, 'Ayen 'Erekh: Ahavà, cit., 1986 (trad. it. Vedi alla voce: amore, Mondadori, Milano, 1988).

202

Bruno Schulz, Sklepy cynamonowe, Towarzystwo Wydawnicze „Rój”, Warszawie, 1933 (trad. it. Le

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Lo scrittore adotta un tattica narrativa piuttosto comune: creare un protagonista bambino permette di parlare di qualsiasi cosa da un punto di vista straniante ma in certo modo familiare, dato che tutti abbiamo avuto un'infanzia, felice o infelice che sia. Il dato che fa di questo romanzo un'opera importante è che l'oggetto dell'osservazione straniata del bambino non è il Lager, ma gli effetti post trauma dei suoi genitori.

In un periodo in cui il disturbo post traumatico da stress entrava nella terza edizione del DSM grazie soprattutto alle spinte dei veterani del Vietnam – con ciò che ne consegue a livello pratico, ovvero l'assistenza sanitaria statale203 – Grossman sembra dare voce anche a quei potenziali pazienti provenienti dai campi di concentramento. I genitori di Momik non dormono a causa degli incubi,204 sono depressi, gestiscono in modo non lineare il loro rapporto con il figlio. Soprattutto, quando parlano della Polonia e della Germania di fronte al bambino, usano l'espressione "Quel Paese Lì": questo è il segnale di una lunga catena di omissioni e di eufemismi della Shoah, il genocidio che i genitori non vogliono in nessun modo raccontare al figlio per non contagiargli il loro trauma.

Purtroppo sembra che Momik sia un bambino più dotato del normale e assorbe comunque quel veleno che riempie i pensieri dei genitori: per questo non si dà pace, fa domande continue, soprattutto a Bella, droghiera del quartiere e amica di famiglia. Esplora quegli eufemismi e quei nascondimenti non per curiosità morbosa, ma perché pensa di essere in grado di salvare i genitori.

Un giorno sente Bella parlare della "Belva Nazista", indicata come la causa di tutti i mali della gente che gli vive intorno. Alla domanda ingenua di Momik, che chiede spiegazioni, Bella risponde che «la Belva Nazista in fondo poteva venir fuori da qualunque bestiaccia, se solo l'avessero allevata in modo adatto e col mangiare adatto».205 Il problema è che Momik pensa che si tratti di una bestia vera, di un animale che potenzialmente si sarebbe potuto trasformare in un feroce predatore. Allora decide di creare una specie di zoo nel ripostiglio di casa sua – mai frequentato dagli adulti e quindi perfetto contenitore di segreti – per cercare di far scaturire da una bestiola tra le

203

«What is at stake in the recent emphasis on the traumatic image? In 1980, largely as a result of agitation by the anti–Vietnam War movement, PTSD was in-troduced into the third edition of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-III), the official classification manual of the American Psychiatric Association». Ruth Leys, From guilt to shame. Auschwitz and after, Princeton University Press, Princeton-Oxford, 2007, p. 94. Cfr. anche Cristina Demaria, Il trauma, l'archivio e il

testimone, cit., p. 29.

204

D. Grossman, Vedi alla voce: amore, cit., pp. 43-44.

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tante la terribile Belva Nazista, per poi domarla e salvare tutti i suoi cari.206Anche lui, nel suo piccolo, è un Geheimnisträger.

Il bambino poi entra progressivamente in una sorta di processo delirante, si documenta sulla Shoah, va di nascosto in biblioteca, osserva le fotografie documentarie dei Lager, sommerge Bella di domande:

«cos'è il Treno-Della-Morte? E perché avevano ammazzato i bambini? E cosa prova la gente quando si scava la fossa? E Hitler ce l'aveva la mamma? Davvero col sapone fatto di gente si lavavano? Dove ammazzano ora la gente? Cosa vuol dire "Jude"? Cosa sono gli esperimenti su cavie umane?».207

Il pensiero della Belva diventa una vera e propria ossessione, ma dotata di una sua logica interna: proprio come la Shoah. Infatti il bambino riesce a capire da solo che alle bestie bisogna dare il cibo giusto, e a quella bestia speciale bisogna dare l'ebreo.208

Questo lo porta, a un certo punto, alla conclusione del suo delirio: riesce a condurre alcuni ebrei adulti – ma dalla psicologia instabile – nel suo ripostiglio, per far risvegliare la Belva Nazista da uno dei tanti animali che hanno ormai riempito la stanza trasformandola in una sorta di stalla lasciata a se stessa, in cui le bestiole sono ormai nervosissime per via della lunga cattività in gabbie piccolissime.209 Il bambino sembra che pensi e che agisca proprio come una SS, il suo delirio di salvazione lo porta in realtà a pensarla esattamente come i carnefici.

Questo disegno narrativo, che mostra come dall'ingenuità e dalla buona fede di un bambino possano nascere i mostri della mente, si carica di un messaggio morale: bisogna legittimare il bisogno di parlare di quei fatti nonostante la loro indicibilità, perché Momik – o chiunque di noi al suo posto – impazzisce a causa di un silenzio.

È necessario che soffermarsi ora su alcuni brevi passaggi che, attraverso il dispositivo dello sguardo straniante di un bambino, giustificano l'uso della finzione e del linguaggio figurato come un buon mezzo per comunicare la profondità di campo della realtà storica. Attraverso alcuni brevi cenni, infatti, Grossman esprime con un vocabolario bambinesco alcuni nodi fondamentali della questione. Per esempio, per comunicare al lettore la possibilità di un ritorno di Auschwitz, il narratore pone Momik

206 Ivi, p. 46. 207 Ivi,p. 88. 208 Ivi,p. 89. 209 Ivi,p. 78

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in una situazione particolare: il bambino, più scaltro dei suoi coetanei, segna tutto quello che gli succede su un quaderno (il "Quaderno di Spionaggio"), e infine scopre che la maestra fa una verifica di aritmetica una volta al mese. Riesce quindi a prevedere ogni volta la data del compito a sorpresa. I compagni, quindi, «pensano davvero che Momik è un mago, ma chi c'ha a casa un Quaderno di Spionaggio e ci segna tutto quel che succede, lui può sapere che quel ch'è successo una volta ne succederà anche un'altra».210 Da adulto Momik non cambierà opinione, dato che l'evento di cui paventerà il ritorno sarà proprio la Shoah, non certo un compito di matematica.

Inoltre, per Momik i numeri sull'avambraccio sinistro dei suoi parenti sopravvissuti sono dei "codici segreti" e cerca di decifrarli, magari sostituendo il numero alla lettera corrispondente dell'alfabeto, o con altre soluzioni a incastro. Somma il numero di un parente con quello di un altro, li scompone, li unisce e li slega, alla ricerca della costruzione di una parola di senso compiuto: questo modo di ragionare è chiaramente in connessione con la Cabala ebraica, e Grossman riesce a rappresentare questo dato culturale con grande maestria. Ma la cosa che più colpisce il lettore è che, proprio a causa del numero, Momik pensi che il corpo del nonno, ridotto a uno stato di semidemenza, sia in realtà un grande involucro, una cassaforte da aprire attraverso la soluzione del "codice segreto", in modo tale da liberare un nonno piccolissimo, buono, che ama i bambini.211

Sulla questione del nome e del tatuaggio tornerò a breve. Qui mi preme invece sottolineare come Grossman comunichi al lettore la propria postura critica di fronte al problema della Shoah attraverso i pensieri leggeri di Momik:

«Momik non sapeva nemmeno cosa volesse dire lasciar cadere qualcosa senza andare fino in fondo, lui c'aveva una pazienza grossa così e sapeva che tutto quello che oggi ci sembra misterioso e spaventoso e poco chiaro, se ne può fare una cosa chiara come il sole, perché è tutta una questione di logica, e a ogni cosa c'è una spiegazione».212

Le cose misteriose e poco chiare a cui si riferisce il bambino sono, in realtà, le parole del nonno Anshel che, demente ormai, non riesce più ad articolare un discorso di senso compiuto. Si riescono solo a isolare alcune parole apparentemente singole, come "herrneigel" o "sheherazadah": nella terza parte del romanzo il lettore capirà

210 Ivi,p. 32. 211 Ivi,p. 33. 212 Ivi,p. 35.

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perfettamente a cosa si riferiscono queste parole, ma dovrà prima passare attraverso il lavacro purificatore della seconda parte in cui si attua, come dicevo prima, quella mimesi linguistica con Bruno Schulz che si risolve nell'invenzione di un linguaggio e di un modo di procedere narrativamente del tutto nuovo. Solo dopo la seconda parte del romanzo il lettore, insieme con lo scrittore, può affrontare in modo più diretto il tema della Shoah: nella terza parte si narra infatti la storia di Anshel al tempo della sua detenzione in un Lager.

Ma il punto qui è un altro: Grossman costruisce un personaggio, Anshel, che dopo la detenzione non riesce più a parlare se non in forma di balbettìo. La cosa coincide perfettamente con la sfiducia nei confronti del linguaggio da parte di tutti gli scrittori- testimoni che ho citato finora. Per di più, Anshel da giovane era uno scrittore, quindi mi pare che la coincidenza sia voluta e che questo personaggio sia la controfigura narrativa di ogni testimone reale della Shoah: dopo Auschwitz, la parola ha perso il suo potere di comunicare.

Ma Momik non ci sta e vuole attraversare questo mistero, decifrarlo per poterlo capire. Perché, come dice lui, di ogni cosa misteriosa, spaventosa, se ne può fare una cosa chiara come il sole, perché a tutto c'è una spiegazione, è una questione di logica. Anche se la logica può essere quella di cui parla Anshel a Herr Neigel nella citazione che ho posto in epigrafe a questo capitolo.213

Grossman quindi ha fiducia nel linguaggio, anche se ha bisogno di torcerlo, di divaricarlo, di slabbrarlo perché sia utile ai suoi scopi. Ha quindi bisogno della finzione, dello straniamento, del punto di vista altro, e riesce a portare avanti questo modo di procedere fino alla descrizione straniata di un paese-campo, proprio come aveva già fatto Perec in W. Momik giunge infatti alla seguente conclusione, dopo aver decifrato a modo suo le parole che il padre urlava durante i suoi incubi notturni:

«Ed era successo così, che in quel Regno [in Quel Paese Lì] c'era la guerra, e il babbo era l'Imperatore lì ma anche il Capo dei Guerrieri. Un guerriero di truppe di commando, ecco cos'era. Uno dei suoi compagni [...] lo chiamavano Zonder, o forse è meglio scriverlo Sonder. È un nome strambo e forse un nome da cospiratori, un soprannome clandestino, come facevano al tempo dell'Irgun e della Banda Stern. E quelli stavano tutti in un grande campo che si chiamava con un nome complicato. Lì facevano esercitazioni e di lì uscivano anche per sortite coraggiosissime, che erano così segrete, che ancora oggi non se ne può dir nulla e bisogna tacerle. C'erano anche dei treni lì nei dintorni,

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ma questo non era tanto chiaro. [...]. Treni come quelli che i selvaggi indiani attaccavano? Tutto è molto confuso. Nel Regno del babbo si facevano anche grandi e splendide azioni belliche che si chiamavano akzien, e a volte facevano lì [...] meravigliose parate militari, delle marce, come a Gerusalemme il Giorno dell'Indipendenza. Un-due, un-due, urla il babbo di Momik nel sonno, links-rechts urla in tedesco e Bella non vuole assolutamente tradurre queste parole a Momik».214

Il bambino non capisce tutto fino in fondo, com'è ovvio, ma di fatto racconta in un modo disarmante, a metà tra la fiaba e l'epica, che il padre era un Kapo, forse componente di un Sonderkommando, e viveva in un Lager polacco o tedesco. Le corvée di lavoro diventano, ai suoi occhi innocenti, delle esercitazioni (come in W), per preparare i soldati a delle sortite coraggiosissime: forse si tratta delle giornate di lavoro in luoghi esterni ai campi (come nel caso della I.G. Farben a Monowitz) o più probabilmente di quelle dei Sonderkommando, dato che spesso le zone in cui venivano installati i forni crematori e le fosse comuni erano distanti dai luoghi più frequentati nella quotidianità. Quelle che il bambino chiama «sortite coraggiosissime» erano inoltre «segretissime», tanto che ancora oggi bisogna tacerle: si sa che il lavoro inerente la

Endlösung era coperto da segreto di stato e che ogni detenuto, a maggior ragione se

componente di un Sonderkommando, era un pericoloso Geheimnisträger.215

Il padre, visto ingenuamente come un eroe, come un capo di guerrieri in buona fede, è in realtà un classico esponente di quel potere espresso nella zona grigia di cui ha parlato Primo Levi.216 Il bambino, seppur molto intelligente, non ha i mezzi per capirlo razionalmente, ma sembra quasi che lo avverta spiritualmente, dato che di lì a poco raggiungerà uno stato paranoico particolarmente violento.

Per nascondere a se stesso il significato degli urli terribili del padre, Momik costruisce una bugia, misinterpreta, inventa, esattamente. Fa uso, quindi, dello stesso procedimento – il ricordo di copertura – messo in moto da Perec quando ha avuto bisogno di inventare il ricordo di una frattura da lui subita, per stornare dalla sua mente i motivi reali per cui tutti gli adulti che gli vivevano accanto gli riservavano sempre delle carezze particolari: le carezze che si danno agli orfani.

214

Ivi,pp. 43-44.

215

Jonathan Littell descrive bene le tempie orlate di sudore delle SS presenti ai discorsi di Poznań, unico momento in tutta la storia del Reich in cui Himmler ha rotto gli indugi e parlato della questione ebraica in termini espliciti. Jonathan Littell, Le benevole, Einaudi, Torino, 2007, pp. 640-644.

216

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Per far questo, Momik annulla il ricordo del nome del campo in cui stava il padre («un grande campo» con «un nome complicato»), e sostiene che Zonder, o Sonder, sia il nome in codice di un compagno del padre: un nome da feuilleton, da cospiratore. Infine, lega questo fantomatico nome alla sua realtà quotidiana di cittadino di Gerusalemme, dato che cita espressamente l'Irgun217 e la banda Stern,218 ovvero le due maggiori organizzazioni terroristiche votate all'allontanamento del potere politico britannico dalla Palestina. Sonder è un eroe, non un prefisso che indica la terrificante "specialità" di quei

Kommando.

I treni di "Quel Paese Lì" si trasformano subito nei treni degli yankee attaccati dagli indiani pellerossa, nelle carrozze prese d'assalto nei western: tutto perfettamente in linea con la mentalità di un bambino che vive a Gerusalemme tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Giungiamo infine a un passaggio cruciale, in cui la lingua di Momik offre qualche elemento in più per ipotizzare che il padre fosse assai compromesso con le SS. Il bambino parla di akzien, che è poi la resa grafica italiana del tedesco Aktien,219 ovvero uno dei mille eufemismi che i dirigenti del Reich hanno coniato, nel loro linguaggio burocratico, per indicare le azioni di sterminio. Il termine Aktion indicava principalmente le operazioni degli Einsatzgruppen, cioè di quelle unità operative votate all'eliminazione degli oppositori-sabotatori (ebrei e comunisti) nelle regioni appena conquistate del fronte orientale, ma era usato sovente per indicare anche altre fasi dello sterminio. Spesso i detenuti che andavano a morire dovevano procedere a passo di marcia verso le fosse comuni sull'orlo delle quali sarebbero stati fucilati, o verso i forni. È a queste marce che probabilmente Momik allude, dato che sono citate subito dopo le

akzien. Il padre urla sinistr-destr, un-due, nel tedesco links-rechts, e a Bella fa male

tradurre queste parole per Momik, perché sa del probabile coinvolgimento del padre nella zona grigia. Quando finalmente traduce, dopo le domande insistenti del bambino, Momik si dice: «E questo è tutto? Momik è stupito, e allora perché lei si ostina tanto a non tradurre?».220 Che male può fare questa coppia di parole? Il piccolo non può immaginare, anche se lo avverte psicologicamente, che quel trait d'union che unisce la

217

Irgun Zvai Leumi, Organizzazione militare nazionale.

218

Lohamei Herut Israel, Combattenti per la Libertà d'Israele, detto Banda Stern dal nome del suo primo comandante, Avraham Stern.

219

Il termine corretto è Aktion. Aktien è il plurale di Aktie, che indica le azioni in senso economico- finanziario: non potrebbe trattarsi di un ulteriore eufemismo di copertura?

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destra con la sinistra esprime l'accettazione di chi, ormai annichilito, va a morire con i propri passi, uno dopo l'altro.

In questo scavo dentro il corpo della parola (Sonder, Aktion, links-rechts), in questa investigazione che va oltre il significato superficiale, Grossman interroga le possibilità del linguaggio nuovo, attraverso un bambino di nove anni. Di questo problema Momik – nella seconda parte del libro ormai cresciuto e chiamato con il suo vero nome, Shlomik – si farà carico direttamente, dato che è uno scrittore e vuole raccontare la storia di suo nonno di fronte a Rudolf Hoss221 al processo di Varsavia.222 Di fronte alle sue difficoltà nella scrittura, la sua amante, Ayalah, lo sprona duramente invitandolo sciogliere l'ansia che lo blocca, che non gli permette di elencare nel dettaglio le atrocità:

«Al diavolo la precisione [...]. Era un vecchio [il nonno Anshel] che raccontava una storia a un nazista. Lui è rimasto in vita. Il nazikaputt. Se ti ostini ad aver bisogno di fatti, eccoti i fatti che cerchi».223

Ma a questo punto, dalla bocca di Ayalah viene proferita una dichiarazione di poetica:

«Da qui in avanti devi cominciare a scrivere con spirito di sacrificio. Non con ragionevolezza».224

Shlomik le risponde, sofferente: «Su quello che è successo laggiù bisogna scrivere solo i nudi fatti e basta. Sennò - che diritto ho io di toccare quella ferita?».225 Il lettore ricorderà che i compagni di Semprún una volta liberati, avevano lo stesso proposito: