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ESPRESSIONI DELLA VERGOGNA

1.1 La vergogna morale

La vergogna morale, come afferma Battacchi, è una «esperienza emotiva in cui si fondono vergogna e senso di colpa».317 La sua sanzione non sarebbe il dileggio, il quale non ha nulla a che vedere con la sfera della morale, ma il disprezzo e l’indignazione.

Battacchi si preoccupa di sottolineare il fatto che la fusione non corrisponde alla compresenza, perché è possibile in certi casi provare vergogna e senso di colpa distintamente, ma non vergogna morale. Perché la fusione abbia luogo, è necessario che l’azione scatenante la vergogna morale sia eseguita intenzionalmente per un proprio tornaconto: il traditore è l’esempio perfetto, ma potremmo aggiungere le figure del vigliacco, dello spergiuro, del bugiardo, ovvero tutti quei soggetti che agiscono con doppiezza. Quest'ultima nasce dallo scarto tra pretesa e realtà fattuale: da una dinamica coincidente, quindi, a quella che muove la vergogna.

Perché vi sia vergogna morale occorre però che il tradimento venga smascherato, che il soggetto venga messo di fronte a un’accusa pubblica: se così non fosse, il soggetto proverebbe un semplice senso di colpa. Da un’analisi contrastiva tra vergogna e senso di colpa infatti, Battacchi arriva alla conclusione che nella prima l’azione cardine è il mostrarsi, nell’altro il fare.318 Esistono quindi azioni per le quali si possono provare sia vergogna morale che senso di colpa, tutto sta nelle priorità del soggetto, ovvero se all’atto dello smascheramento preferisce concentrarsi sulla propria azione – per esempio “ho rubato” – o se si vuole soffermare sulla propria identità – “sono un ladro”: nel primo caso proverà senso di colpa, nel secondo vergogna morale.

Un esempio letterario perfetto di vergogna morale si ritrova tra le pagine di I

sommersi e i salvati, nel capitolo intitolato Vergogna: Primo trova casualmente un tubo

di gomma pieno d’acqua e si interroga se berla tutta immediatamente, se lasciarne un po’ per l’indomani, oppure dividerla con Alberto, o con tutti i suoi compagni.319 Levi sceglie la terza soluzione, ed ecco cosa accade:

317 Ivi, p. 69. 318 Ivi, p. 77. 319

Anche Antelme parla della possibilità di non condividere con i compagni in termini negativi: «Ci si può incontrare e riconoscere frugando come cani in mezzo ai rifiuti. Il ricordo del momento in cui non si è diviso col compagno quello che si doveva dividere ci farà dubitare, invece, anche del primo gesto». R. Antelme, La specie umana, cit., p. 114.

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«Bevemmo tutta quell’acqua, a piccoli sorsi avari, alternandoci sotto il rubinetto, noi due soli. Di nascosto; ma nella marcia di ritorno al campo mi trovai accanto a Daniele, tutto grigio di polvere di cemento, che aveva le labbra spaccate e gli occhi lucidi, e mi sentii colpevole. Scambiai un’occhiata con Alberto, ci comprendemmo a volo, e sperammo che nessuno ci avesse visti. Ma Daniele ci aveva intravisti in quella strana posizione, supini accanto al muro in mezzo ai calcinacci, ed aveva sospettato qualcosa, e poi aveva indovinato. Me lo disse con durezza, molti mesi dopo, in Russia Bianca, a liberazione avvenuta: perché voi due sì e io no?».320

Giorgio Agamben parla di questo episodio come di «un esame di coscienza così puerile da lasciare il lettore a disagio» e sostiene che «le colpe che ne emergono [...] sono, naturalmente, veniali».321 Io non ritengo che Levi si sia fatto un esame di coscienza banale, tanto da provocare nel lettore un disagio che, in ultima analisi, verrebbe legittimato come un vertiginoso atto di empatia nei confronti del disagio dello stesso autore, incapace di rendere bene l'idea della sua vergogna.322 Il motivo per cui Agamben rileva una banalità del passo è il suo rifiuto di concepire la vergogna come uno stato psicologico, ma di pensarlo più come sentimento ontologico.323

Qui Levi prova invece a rappresentare, in termini certo più letterari che scientifici, un'emozione complessa, alla quale solo adesso riusciamo a dare un nome e una definizione. La vergogna morale è qui l’unico modo per comprendere cosa esattamente accade nella psicologia dei personaggi. Non appena Primo e Alberto finiscono di bere, sanno di aver commesso una scorrettezza, ma nessuno li ha ancora visti e si sentono semplicemente colpevoli. Si concentrano quindi esclusivamente sulla loro azione e non sulla loro identità di ladri, perché non sono stati ancora sottoposti a uno sguardo giudicante. Lo smacheramento avviene però quando Daniele racconta di averli intravisti: Levi inizia a provare non più un semplice senso di colpa, ma la sua fusione con la vergogna, che dà appunto vita all’emozione complessa che Battacchi ha definito

vergogna morale.

320

P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 62.

321

G. Agamben, Quel che resta di Auschwitz, cit., pp. 81-82.

322

«Il disagio del lettore non può che riflettere qui l'imbarazzo del superstite, la sua impossibilità di venire a capo della vergogna». Ivi, p. 82.

323

Agamben cita un passo del Parmenide di Heidegger, in cui il filosofo tedesco si discosta completamente dalla concezione della vergogna in termini psicologici. Probabilmente a ragione, poiché nel Parmenide esso fa riferimento, più che alla vergogna, all'αἰδώς. Primo Levi, tuttavia, parla della vergogna modernamente intesa. G. Agamben, Quel che resta di Auschwitz, cit., pp.98-99. Cfr. anche Ruth Leys, From guilt to shame. Auschwitz and after, Princeton University Press, Princeton-Oxford, 2007, p. 170.

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Sembra legittimo fare riferimento alla vergogna morale per questo passo, inoltre, perché è lo stesso Levi a confermare una certa confusione emozionale tra le pagine dello stesso capitolo. Afferma infatti che:

«molti (ed io stesso) abbiano provato "vergogna", e cioè senso di colpa, durante la prigionia e dopo, è un fatto accertato e confermato da numerose testimonianze. [...] il disagio indefinito che accompagnava la liberazione forse non era propriamente vergogna, ma come tale veniva percepito».324

L'emozione confusa di cui parla Levi è, mi sembra, vergogna morale, anche perché si manifesta in una dinamica tutta interna all'io, com'è più tipico del meccanismo del senso di colpa. Levi fa una diretta equiparazione tra le due emozioni, «"vergogna", e cioè senso di colpa», virgolettando addirittura il nome dell'emozione che viene qui analizzata.

Se Levi avesse avuto a disposizione il vocabolario di Battacchi e dei suoi colleghi, avrebbe adottato la dicitura "vergogna morale"? Probabilmente sì, dato che abbiamo un'ulteriore conferma al fatto che Levi stia rappresentando per filo e per segno le dinamiche emozionali che ho fin qui delineato. Dopo aver scoperto che alcuni prigionieri politici avevano il potere di mandare alla camera a gas i prigionieri nemici manomettendo in segreto le liste delle selezioni, il nostro autore dice che «chi aveva il modo e la volontà di agire così [...] era al riparo dalla "vergogna": o almeno da quella di cui sto parlando, poiché forse ne proverà un'altra».325 Questi prigionieri sono al riparo dalla vergogna perché le loro azioni sono rimaste anonime, nessuno li ha visti mentre commettevano le azioni incriminabili. Mentre si supponeva, universalmente, che il sopravvissuto avesse rubato, avesse complottato contro i suoi compagni, per resistere senza morire a un ambiente così ostile.326

Vergogna e senso di colpa sono due fenomeni piuttosto strutturati, non unitari, e spesso per definire l’uno si fa rifermeno all’altra. Infatti sono emozioni legate a una autoattribuzione di responsabilità dell’azione, ma in due sensi diversi: nell’una corrisponde all’impotenza di far valere una pretesa, nell’altro alla trasgressione di una legge. E ancora: se la vergogna viene dall’enunciazione di una pretesa, il senso di colpa si origina dall’assunzione di un obbligo; se nell’una l’io è passivo e l’altro è in uno stato

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P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 55.

325

Ivi, p. 56.

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di superiorità, nel secondo l’io è attivo e l’altro è ridotto a uno stato di inferiorità; se nella vergogna l’altro-io (il soggetto giudicante) è virtualmente esterno, il senso di colpa ha un altro-io totalmente interno,327 come ho già detto per definire la particolare emozione provata da Levi.

Dato che la vergogna può scatenare una reazione aggressiva che conduce al senso di colpa, e che viceversa quest’ultimo può inibire l’aggressività e lo spirito competitivo, generando vergogna, è facile comprendere perché molti soggetti non sappiano capire esattamente cosa provano, e che la congiunzione tra le due emozioni abbia portato a cercarne un fondamento comune. In senso fenomenologico, la vergogna e il senso di colpa sono accomunate dalla doppiezza, dallo scarto tra la pretesa e la realtà. Il vergognoso non riesce ad apparire come vorrebbe, il colpevole non riesce a fare quel che dovrebbe fare. Nel caso di Primo e Alberto le due cose si fondono, perché dopo l’infrazione della regola avviene lo smascheramento, e la pretesa di essere onesti viene meno.

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