• Non ci sono risultati.

Autorità e diritti nel modello liberale del Rechtsstaat: l’idolatria della legge e la valorizzazione della c.d “costituzione dei poteri”

Si arriva, così, al modello liberale tedesco che probabilmente, più di tutti, ha influenzato i tentativi di riforma, in chiave costituzionale, nella Russia pre- sovietica.

Il pensiero giuridico-costituzionale dell’età liberale nasce da una serrata critica della rivoluzione e dei suoi effetti. Essa riflette il desiderio di chiudere l’era delle rivoluzioni e di aprire un’era di progresso graduale e di stabilità degli assetti politici ed istituzionali. Si arriva così all’elaborazione di uno statualismo che si esprime nell’espressione Rechtsstaat o “Stato di diritto”, formula che rivela il duplice impegno della difesa delle istituzioni politiche dalla società civile (‘Stato’), e della società dalle pretese dei poteri pubblici (‘di diritto’). Si intende, quindi, operare una duplice separazione Stato-società, proteggendo la società dalle invadenze arbitrarie del potere pubblico; e proteggendo anche le istituzioni dalle volontà particolari della società civile.

L’obiettivo primario della dottrina liberale è la stabilità delle istituzioni. Tale obiettivo non era stato raggiunto dall’esperienza rivoluzionaria francese soprattutto perché il principio della sovranità popolare e della democrazia diretta evocavano lo spettro di un potere costituente perennemente mobilitato che cambiava modificava continuamente l’assetto statale47. L’esperienza americana risultava egualmente inaccettabile perché frantumare la sfera politica al cospetto dei bisogni e interessi privati non poteva garantire la stabilità. Inoltre, era inaccettabile l’idea che il potere politico fungesse da strumento di garanzia in un rapporto (quasi-contrattualistico) di mutua assicurazione tra individui.

In epoca rivoluzionaria, il concetto di nazione era ancora intercambiabile con quello di popolo, riconducibile al soggetto del potere costituente. Adesso,

47 Ciò non significa che retroceda del tutto l’istanza partecipativa insita nelle libertà politiche positive. Le assemblee rappresentative, per quanto elette in modo censitario, sono destinate a acquistare spazio, anche se in modo contraddittorio e nel contesto di un rapporto di competizione-collaborazione con la monarchia. Certo è tuttavia che la società liberale europea non ricerca più nella dimensione costituente la propria identità di fondo. Alla società liberale è sufficiente sentirsi societas di individui che si evolve in modo tranquillo ed ordinato, nella più piena sicurezza dei possessi, nella attuazione di fini che ciascuno si è assegnato.

invece, la nazione indica la realtà e l’insieme delle istituzioni prodotte dalla storia. Così va scomparendo l’idea che la costituzione e le istituzioni politiche siano il frutto di una decisione politica costituente (caso francese) o contrattualisticamente determinata (caso americano). La storia non solo crea la nazione e le sue istituzioni, ma ne limita anche il margine di modificabilità. In questo, il liberalismo tedesco si avvicina alla tradizione britannica.

Per i liberali, la sovranità non si sostanzia nell’idea di potere costituente, bensì nella prerogativa delle istituzioni statali di agire indipendentemente da ogni influenza esterna o precostituita che pretenda di indirizzarle48. La rivoluzione francese aveva effettivamente tentato di proporre un criterio moderno di attribuzione della sovranità politica, ma era rimasta troppo legata al criterio antico della sovranità in senso soggettivo (prima del monarca, poi del popolo giacobinamente inteso come universalità dei cittadini).49 Ciò significa escludere che le istituzioni politiche fossero preda dalla volontà di qualsivoglia soggetto (monarca o popolo inteso come società dei cittadini politicamente attivi) che avrebbe, inevitabilmente, compromesso la sua natura sovrana. Lo Stato moderno è, quindi, l’unico titolare della sovranità politica e i suoi organi sono le istituzioni che ne rappresentano l’unità (ovvero, il monarca, l’esercito, la burocrazia).

La centralità dello Stato si esprime attraverso la codificazione civilistica che garantisce la tutela delle posizioni giuridiche soggettive fissate dalla legge. Il principio della certezza della legge (come incorporato nel codice) si impone, prima di tutto, nei confronti dei documenti simbolo dell’età delle rivoluzioni: le costituzioni e delle Dichiarazioni dei diritti. I liberali ritengono che tali carte costituzionali siano troppo dipendenti da scelte politiche mutevoli, mentre il fine ultimo dello Stato liberale è la sicurezza e la stabilità dello Stato sovrano. La costituzione in quest’ottica viene spinta indietro nel tempo come frutto specifico dell’epoca delle rivoluzioni, ormai da superare in funzione di nuove esigenze.

48 G. Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, Bari (2002).

49 La rivoluzione era riuscita ad affermare lo stato nei confronti di alcune pretese di dominio (del monarca e degli antichi poteri di stampo feudale e signorile), ma non tutte poiché ancora troppo debitrice nei confronti del criterio antico di attribuzione soggettiva della sovranità politica. Fallisce, quindi, nell’intento di respingere i tentativi di dominazione da parte di soggetti politici (il corpo costituente dei cittadini e le fazioni che in esso si agitano).

Viene, quindi, meno il primato della costituzione che, secondo i liberali, esprime essenzialmente il primato della politica ed è fonte di instabilità ed insicurezza sia per gli individui che per i poteri pubblici. Si riorganizza, così, il sistema delle fonti di diritto, ponendo la legge dello Stato al centro ed al vertice del sistema delle fonti e, proporzionalmente, riducendo lo spazio della costituzione che ora diviene soprattutto strumento di organizzazione della forma di governo, piuttosto che atto autentico di fondazione e tutela dei diritti e delle libertà. Non a caso, le carte costituzionali in vigore in questo periodo sono quasi interamente dedicate alla disciplina delle forme di governo e sono flessibili, ovvero modificabili per via ordinaria.

Anche i diritti in epoca liberale sono custoditi e garantiti dalla legge e derivano da un atto di autolimitazione dello Stato50. Non si ritiene, infatti, necessario formulare un catalogo di libertà fondamentali perché non può esistere un contenuto necessario delle libertà fondato sui principi che precedono (e limitano) lo Stato. Si esaurisce, così, la vicenda storica del giusnaturalismo moderno. Non è, infatti, più concepibile fondare i diritti e le libertà sullo stato di natura. Adesso è concepibile un solo ed unico diritto, quello positivo dello Stato. In esso - e solo in esso - i diritti e le libertà trovano fondamento ed opportune tutele. L’unico diritto fondamentale è quello di essere trattati conformemente alla legge. La tutela delle libertà si riduce, quindi, ai rimedi giurisdizionali invocabili nel caso venga leso un diritto fondato sulla legge.

Tuttavia, in ottica di garanzia dei diritti, la dottrina liberale individua un correttivo all’onnipotenza dello Stato facendo ricorso alla storia e alla tradizione in senso oggettivo. È, infatti, proprio la realtà storico-naturale dello Stato a limitarne l’onnipotenza legislativa. Il legislatore infatti, per quanto sovrano, terrà sempre conto della natura oggettiva dello Stato - ovvero il livello di maturità civile, politica ed economica - e non limiterà, quindi, gli spazi di autonomia e libertà oltre il limite imposto dallo sviluppo storico. Lo Stato di diritto, quindi,

50 Tale inclinazione in senso statualistico non vale solo sul versante dei limiti da porre allo stato in funzione di garanzia delle libertà negative, ma anche sul terreno delle libertà politiche, partendo proprio dal diritto di voto. Il diritto di voto, infatti, assume adesso irrimediabilmente il significato di esercizio di funzioni pubbliche e per questo è facilmente compatibile con la permanenza, nel corso dell’800, di sistemi elettorali di tipo censitario.

non ridurrà l’ampiezza delle libertà negative che gli individui, nel tempo, hanno acquisito come proprie e non negherà il godimento delle libertà positive a chi abbia maturato la necessaria consapevolezza per esercitarle. Di conseguenza, anche se la sovranità dello Stato in materia di diritti non è (e non può essere) limitata da un da un complesso di principi fissato in una dichiarazione o una costituzione, essa è, di fatto, limitata dalla storia. E se la società si sviluppa nel senso della progressiva affermazione ed estensione delle libertà - come comunemente si credeva in quei tempi animati da una filosofia ottimistica della storia e del progresso - lo Stato non può che seguire tale tendenza, riflettendola puntualmente nella sua legislazione.

La centralità dello Stato trova riscontro anche nella nascita del diritto

amministrativo. Nonostante quest’ultimo non sarà codificato come il diritto civile, esso assumerà sempre più il carattere di un sistema conchiuso ed autosufficiente, dotato di propri specifici istituti e principi generali elaborati dalla scienza giuridica. Questo processo culminerà in un diritto specifico e in una giurisdizione diversa dalla quella ordinaria, circostanze che vanno interpretate con una forte impronta statualistica. Il diritto amministrativo, infatti, non nasce tanto per sottoporre a limiti giuridici certi l’operato della pubblica amministrazione, quanto perché la pubblica amministrazione, rappresentando lo Stato, non può tollerare di essere sottoposto all’ordinario regime giuridico civilistico, o di essere chiamato in giudizio come un qualsiasi privato. Le norme che regolano l’operato della pubblica amministrazione si collocano, quindi, al di là della costituzione e slittano anch’esse a favore della norma statale. Il limite agli eventuali arbitrii comunque esiste e risiede – anch’esso - nella legge che, attraverso la certezza del diritto, garantisce la certezza delle posizioni giuridiche51.

51 Questo slittamento a favore della supremazia della legge diventerà definitivo soprattutto nell’ultimo quarto del secolo e inizio del nuovo, con il grande sviluppo della scienza europea del diritto pubblico che codificherà la dottrina statualistica liberale dei diritti e delle libertà, segnando il superamento della proclamazione rivoluzionaria delle libertà, a favore della tutela dei diritti a opera del diritto positivo statale (R. Carrè de Malberg, G. Jellinek, V.E. Orlando).

Outline

Documenti correlati