Nel 1869 venne pubblicato sulla Nuova Antologia quello che a buon titolo può essere considerato il testamento del Capponi linguista e lessicografo, il saggio intitolato Fatti
relativi alla storia della nostra lingua in cui il marchese fiorentino con la consueta attitudine
storiografica agli studi filologici ribadisce alcuni capisaldi del suo impianto teorico, ma allo stesso tempo sembra essere consapevole degli stravolgimenti che il dibattito relativo alla questione della lingua nella seconda metà dell’Ottocento aveva subito a causa della presenza di una figura di rilievo come quella del Manzoni — e non è un caso che tale scritto critico sia stato pubblicato un anno dopo la più celebre relazione al ministro Broglio Dell’unità
della lingua e dei mezzi di diffonderla, ponendosi di fatto come discretissima risposta
personale del Capponi190 al trattato dell’amico — fino a dimostrarsi incline a una seppur
modesta apertura alle tesi manzoniane. Modesta in quanto per Capponi l’astrattezza del “fare consistere nell’uso ogni cosa”191 è sempre controbilanciata dall’idea di lingua intesa come
linguaggio, qualcosa “fuori d’una semplice nomenclatura”, in quanto “gli usi di questa sono diversi quanto diverse le relazioni a cui deve servire e in ciascuna […] varia è anche la scelta delle parole”192: tale decisione insieme alle modalità, particolari per ogni idioma, di
costruzione del periodo e della struttura del discorso, costituisce la lingua di una nazione. L’esperienza cinquantennale maturata presso l’Accademia della Crusca si mostra chiaramente nel suo ultimo saggio, e il colorito nazionale delle idee193 in ambito linguistico del Capponi è ribadito mantenendo inalterata la portata critica delle proprie teorie: riallacciandosi a tematiche trattate quarant’anni prima in due194 delle sue celebri lezioni
pronunciate in Crusca, egli affronta la questione della lingua alla luce di una ormai matura e sofferta esperienza politica e di una meditazione storica195 approfondita riguardo la mancata innalzamento al rango di idioma nazionale della moderna favella196 — così come la intendeva Dante — fiorentina. Mantenendo ancora una volta saldamente le distanze dall’ideale puristico primo ottocentesco, Capponi si rammarica del “tristo privilegio” tutto
190
G. NENCIONI, Di scritto e parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, pag.121.
191
G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della nostra lingua, in Nuova Antologia, Vol. XI, 1869, pag.668.
192
Ivi, pag. 669.
193 G. NENCIONI, Di scritto e parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, pag. 114.
194 Si fa qui riferimento alla prima e alla terza lezione, in Scritti editi e inediti di Gino Capponi, per
cura di M. TABARRINI, Firenze, Barbera, 1877, pag. 234-243 e pp. 259-271.
195
G. NENCIONI, Di scritto e parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, pag.121.
196
italiano “che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal Trecento, quasichè in essa il corso del tempo facesse il vuoto o altro non avesse fatto che guastarla”197 e, attraverso
un bel richiamo al Foscolo, espone la secolare questione della divergenza nell’uso tra scritto e parlato del nostro idioma: nello specifico, utilizzando le parole del poeta di Zante, Capponi ricorda che “la lingua nostra non era stata mai parlata”198 e che persino gli autori del buon
secolo “sentiano mancare all’efficacia della lingua l’arte del dire”199. Tale problematica, a
cui fu individuata parziale soluzione nell’accoglimento, all’interno della quinta impressione del Vocabolario della Crusca, di termini e locuzioni del “linguaggio familiare (allora) corrente in Toscana”200 — seppur mantenendo una preferenza per i vocaboli fiorentini — in
modo da registrare elementi dell’uso nel parlato, “fonte di lingua vivo, perenne”201, restò
tuttavia una costante nella trattazione scientifica del Capponi: quest’ultimo ne individua le cause nella prolungata preminenza del latino sul volgare202, nella mancanza di opere in prosa che potessero essere considerate valide a livello linguistico durante il Trecento (indirizzando in questo senso una aspra critica al Boccaccio, che “avendo trovato la lingua già bene adulta ma inesperta, la fece andare per mala via”203) e nella quasi totale assenza di esperienza diretta — e quindi non sotto forma di comunicazione scritta, ma verbale — della lingua da parte degli autori antichi e moderni204.
Le cause del fallimento del volgare in quanto lingua nazionale, però, sono pur sempre da rintracciarsi nel quadro storico delle vicende politiche della Firenze tra Trecento e Cinquecento: Capponi ha sempre presente come gli anni dopo il 1250 fossero per la città toscana quelli nei quali “divenuta possente ad un tratto, si rivendicava in libertà, fondava una repubblica popolare, pigliava in Italia l'egemonia delle città guelfe, diveniva maestra
197 G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della nostra lingua, in Nuova Antologia, Vol. XI, 1869,
pag.668. 198 Ibid. 199 Ivi, pag.665. 200
Prefazione in Crusca V, pag. VI. 201
Ibid.
202 Cfr. G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della nostra lingua, in Nuova Antologia, Vol. XI,
1869, pag.666: ““Avvenne per questa mala sorte che la lingua innanzi di farsi e di tenersi donna e madonna come si conveniva a tali uomini ed a tale popolo, non bene osasse distaccarsi dal latino che stava siccome suo legittimo signore, talchè all'italiano si diede per grazia l'umile titolo di volgare”.
203
Ibid.
204 “A chi scrive manca una scuola molto essenziale quando egli non abbia la mente già instrutta di
quelle forme per cui si esprimono parando le cose che egli vuole scrivere. La quale mancanza che fu in Italia dai tempi antichi e si protrasse poi nei moderni, ha dato spesso ai nostri libri certa aridità solenne la quale ebbe nome di stile accademico” cfr. in G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della
delle Arti e produceva il libro di Dante”205 ed “ebbe ad un tratto scrittori in buon numero, e
si cominciò a tradurre in lingua volgare gli autori latini; tanta fiducia ebbe acquistata allora il pensiero in quella sua nuova e giovane forma”206
.
Se nel XV secolo si assiste adun’esponenziale crescita dell’interesse da parte dell’élite di intellettuali italiana verso il fiorentino, e alla fine di tale secolo “l'idea nazionale che allora spuntava cominciò a farsi strada nella lingua”207, i primi trent’anni del Cinquecento con i suoi conflitti e l’inizio del
predominio straniero della Penisola segnarono un punto di non ritorno nella produzione letteraria italiana, che divenne sterile ed alienata nei confronti degli interessi del lettore. La lingua divenne meno parlata e più scritta, la parola perse quel valore universale che assume in quanto mezzo di comunicazione della collettività: “vennero fuori i letterati, sparve il cittadino”208. Nel momento in cui venne a morire la speranza nel popolo italiano di vivere in un’Italia unita, la lingua perse il suo centro comune nel fiorentino: “se (come fu detto) lo stile è l'uomo, la lingua può dirsi che sia la nazione: quindi all'esservi una lingua bisognava ci fosse una Italia, nè altrimenti poteva cessare l'eterna lagnanza che il linguaggio scritto si allontanasse troppo dai modi che si adoprano favellando”209.
L’approfondita analisi storiografica delle vicende che accompagnarono lo sviluppo dell’italiano in quanto lingua nazionale nel Capponi non risulta mai fine a sé stessa: il marchese fiorentino fa della storia del fiorentino quella di un popolo, della sua identità politica e culturale, senza mai nascondere però l’interesse linguistico e, nelle lezioni tenute in Accademia, lessicografico. Commistione d’intenti, questa, palese anche nella Prefazione all’edizione del 1863 del Vocabolario della Crusca — stesa da Brunone Bianchi ma ritoccata anche dal Capponi — nella quale pur ribadendo l’importanza delle autorità del Trecento
toscano, si afferma il proposito “di fare un Vocabolario principalmente dell’uso presente, […] che riuscisse chiaro ad ogni persona”210; ed in cui viene presentato un elemento di novità
come il Glossario delle voci antiche e in disuso, strumento che in tale contesto si rende
205
G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della nostra lingua, in Nuova Antologia, Vol. XI, 1869, pag. 671.
206 Ibid. 207
G. CAPPONI, Fatti relativi alla Storia della nostra lingua, in Nuova Antologia, Vol. XI, 1869, pag.678
208
Ivi, pag. 679.
209 Ivi, pag.680. 210
simbolo della dualità tra l’attenzione al passato e la tendenza al progresso caratteristiche della trattazione scientifica del Capponi.