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c Morfologia del verbo

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 73-89)

All’inizio del 1858288, unitamente all’approvazione delle due nuove Deputazioni

quotidiane Casella e Fraticelli e Milanesi e Gotti289, vennero proposte dai Revisori ulteriori modifiche al metodo di compilazione del Vocabolario, riguardanti tre articoli in particolare: venne chiesto di abolire la denominazione generica di “caso” all’interno delle dichiarazioni e di sostituirla con quelle specifiche di “nominativo”, “genitivo”, “dativo”, ecc. in quanto se pur “non importava più una forma particolare ed estrinseca, rappresentava però sempre una specialità di uffizio”290; inoltre, si stabilì di abolire la marca “segnacaso” e di esplicitare,

all’occorrenza, la funzione della voce quale “segno del genitivo, del dativo, ecc.” o semplicemente di preposizione Di, A, Da291. Venne poi avanzata la proposta di indicare il participio passato ed il presente di ogni verbo all’inizio dell’articolo ad esso dedicato, e di registrare sotto questa stessa voce anche gli esempi legati a quei due modi verbali. I participi, qualora avessero assunto valore di aggettivo o di sostantivo, avrebbero dovuto essere registrati anche come lemma a parte. Questo suggerimento, come si può notare dalle dichiarazioni dei verbi nel Vocabolario, non fu preso in considerazione292. Infine, la terza modifica puntava ad una distinzione più precisa delle varie tipologie di verbi all’interno delle definizioni: venne proposto di riportare la dicitura di “neutro passivo” per quelli che lo erano veramente e di eliminare l’espressione, più approssimativa ed impropria, di “in forma di

288

Su gran parte delle riforme al metodo di stesura del primo volume della Quinta Crusca, si faccia riferimento al fascicolo di Carte dell’Accademico Brunone Bianchi (pezzo 591), conservate nell’Archivio della Crusca, ed in particolare il ms. di Norme discusse e stabilite per la Compilazione

del nostro Dizionario. Vicesegretariato Bianchi. 289

Cfr. Verbale dell’11 Gennaio 1858, Diari III, pp. 468- 476. Tali Deputazioni, come specificato nel Verbale di quell’Adunanza, furono invitate “ad occuparsi immediatamente della revisione dei Fascicoli stampati, a fine di di poter aver raccolto al più presto possibile tanto lavoro corretto e limato da metter fuori il primo volume del nostro Vocabolario”.

290 Diari III, pp. 476-483. 291

Le marche indicanti i casi derivanti dal latino non vennero più esplicitate di frequente come avvenne per la quarta edizione del Vocabolario della Crusca, ma riportate per lo più all’interno delle definizioni delle voci Di, A, Da per renderne chiaro il valore di preposizioni.

292 L’Accademia fu chiamata a rispondere sulla proposta del Bianchi nell’Adunanza del 30 Marzo

1858. I pareri su tale questione erano contrastanti: alcuni, infatti, ritenevano che il participio presente non andasse registrato in quanto spesso non veniva utilizzato per la sua funzione verbale. Venne dunque stabilito di riformulare la proposta in questo modo: Sarà registrato accanto ad ogni verbo il suo participio passato più comune; che potrà, se occorra, esser prodotto in esempi tra le altre forme di esso verbo si attive che passive, e ripetersi poi novamente a suo luogo in forma di semplice adiettivo nei suoi diversi significati, lasciato da parte il participio presente, come formazione di regola; che sarà solamente notato alla sua volta, ove se n’abbiano esempi, in cui apparisca o invece di sostantivo, o come adiettivo” (cfr. Verbale 30 Marzo 1858, Diari III, pp. 489-495).

neutro passivo” che identificava anche “i riflessi, i reciproci, e gli acquistativi”293. Per questi verbi che conservavano la forma attiva anche quando preceduti o seguiti dal pronome personale, infatti, non c’era bisogno di aggiungere paragrafi nella dichiarazione, se non quando l’unione a tali pronomi avrebbe realizzato “una proprietà d’uso, e una diversità di senso o di costrutto; come addiviene, per esempio, nel verbo adoprare, e in esaltare, vantare, ecc.”294: in questo caso, aggiunsero i Revisori, sarebbe stato più giusto segnarli come

riflessivi295, quali sono. Inoltre, avrebbero dovuto essere segnalati con un’abbreviazione a parte i verbi reciproci, sottoclasse di quelli riflessivi. In questo modo, quindi, tutti i verbi nel Vocabolario sarebbero stati inclusi e registrati in sole quattro categorie generali: attivi, riflessivi (o reciproci), neutri e neutri passivi. L’Accademico Fraticelli si mostrò reticente a questo tipo di nomenclatura, e durante la seduta del 30 Marzo espose al Collegio le sue riflessioni a riguardo: iniziò la sua Lezione trattando della natura del verbo e delle differenze delle sue forme che intercorre tra il latino e gli idiomi da esso derivati. Affermò poi che “non avendo la nostra lingua verbi passivi, non potea più convenire né la denominazione di neutro, che valeva né attivo né passivo, né quella per conseguenza di neutro passivo”296; e dato che

l’Accademia aveva acconsentito a varare numerose riforme di carattere normativo per la compilazione del nuovo Vocabolario, sarebbe risultato più conveniente dismettere una nomenclatura data e “predicata assurda da tutti i filologi di questi ultimi tempi”297. Fraticelli proponeva dunque che si accogliesse la classificazione in verbi transitivi ed intransitivi, più immediata e più significativa della natura e dei costrutti verbali: tale distinzione non era innovativa, dato che si trovava già esposta dal Giambullari e persino da Prisciano298, ed era

anche la sola ad essere utilizzata dai grammatici e dai lessicografi dell’Ottocento. L’Accademico concluse il suo discorso sottolineando come la nomenclatura che aveva proposto fosse valida solo per i verbi semplici e non per quelli pronominali, sui quali si sarebbe espresso nella successiva Adunanza. Pronta fu la replica del Vicesegretario Bianchi,

293

Diari III, pp. 476-483.

294

Ivi.

295

Il valore riflessivo di questi verbi, tuttavia, non venne mai esplicitato mediante un’indicazione morfologica nel Vocabolario e venne mantenuta la forma di “neutr. pass.” o semplicemente “neutr.”

296

Diari III, pp. 489-495

297

Diari III, pp. 489-495.

298

Si consulti a riguardo il capitolo De la costruzzione de’ verbi in P. GIAMBULLARI, Fiorentino,

de la lingua che si parla e scrive in Firenze, Lorenzo Torrentino, Firenze, 1551, pp. 184-228 e si

faccia riferimento alla distinzione che Prisciano opera per i verba absoluta (o intransitivi) e transitiva (o transitivi) nel Liber XVIII delle Istitutiones Grammaticae. Nel manoscritto 93, contenente l’autografo di questa stessa Lezione del Fraticelli dal titolo Sul metodo da tenersi nella

classificazione dei verbi (cfr. Fascicolo Fascetta 355 Archivio della Crusca) l’Accademico si spinge

il quale intese come sensato il ragionamento del Fraticelli se applicato all’impostazione di un dizionario nuovo, ma non di quello della Crusca: l’Accademia, infatti, difficilmente avrebbe approvato la sostituzione della vecchia nomenclatura per un’altra, dato che il precedente di una modifica ai criteri di compilazione del Vocabolario avrebbe spinto le Deputazioni a proporne e ad avviarne di altre, stravolgendo così l’impianto lessicografico dell’opera. Il Bianchi stesso, nonostante nella precedente Adunanza avesse suggerito un piccolo mutamento nelle modalità di registrare i verbi riflessivi ed i reciproci, venne spinto a desistere su tale proposta, convinto che “certe tradizioni e particolarità dell’antico Vocabolario fosse bene rispettarle ogni volta che potessero stare”299. L’Accademico ribadì

poi la sua posizione sulla distinzione di verbi in attivi e neutri, che egli non riteneva tanto assurda come molti invece facevano: sottolineò come l’idea che l’italiano non avesse verbi passivi non fosse totalmente esatta poiché alcuni di essi indicano un’azione che si riceve o si patisce. Prendendo in considerazione il rapporto tra soggetto e verbo come fecero i compilatori delle precedenti edizioni del Vocabolario, inoltre, si sarebbe potuto osservare come molti verbi non indicassero “azione di sorta alcuna” e molti altri che, qualora lo facessero, “era questa di tal natura, che si svolgeva e capiva tutta nel subietto, incapace per conseguenza d’ogni movimento, sia per andare da esso subietto ad un obietto, sia per venir nel subito da causa fuori”300: per questo, gli antichi Accademici crearono una terza classe di verbi cosiddetti neutri, inadatti a trasmettere o a ricevere l’azione e i significati da essi veicolati. La denominazione “intransitivo”, dunque, non si addice perfettamente ad un verbo neutro, in quanto essa comporta un’azione non ricevuta, ma non totalmente assente. Il Bianchi prese dunque il via da questo caso specifico per ipotizzare, a conclusione del suo discorso, che la Crusca nei secoli avesse tentato di evitare di realizzare una classificazione dei verbi troppo specifica e che avesse invece deciso di “di attenersi a una nomenclatura più semplice e più generica che si potesse, contenta di farla servire alla diversità della forma estrinseca, dei costrutti e degli usi, scopo primario del Vocabolario, e abbandonando ai grammatici e ai filosofi le altre questioni”301. Nonostante il riguardo per gli antichi Accademici, il Bianchi si mostrò tuttavia in pieno accordo con il Fraticelli sulla questione della riforma della classificazione dei verbi, tanto che nell’Adunanza del 27 Aprile302 pur ribadendo il proprio giudizio favorevole a mantenere la tradizionale suddivisione dei verbi

299 Diari III, pp. 489-495. 300 Diari III, pp. 489-495. 301 Ivi. 302 Diari III, pp. 502-505.

in attivi, neutri e neutri passivi, propose di includere nelle dichiarazioni anche una più specifica indicazione su quelli attivi distinguendoli in transitivi, intransitivi e riflessivi303. In seguito ad un acceso dibattito tra Accademici, l’Arciconsolo Bonaini sottolineò l’urgenza di risolvere al più presto tale questione per procedere in maniera spedita alla compilazione del Vocabolario: venne dunque posta ai voti la proposta di conservare l’antica nomenclatura dei verbi304 ed essa fu approvata dalla quasi totale maggioranza del Collegio.

Se l’anno precedente la Deputazione sugli autori da citarsi nel Vocabolario aveva illustrato il proprio metodo di lavoro, anche quella sugli spogli, nel mese di Luglio del 1858305, decise di esporre le modalità nelle quali esaminava ad una ad una le schede consegnate dagli Accademici: veniva innanzitutto presa in considerazione la definizione o dichiarazione del vocabolo, e se questa non fosse stata riconosciuta come esatta, la Deputazione avrebbe espresso le sue osservazioni e dubbi a riguardo direttamente sulla scheda corrispondente, rimettendone il giudizio ultimo ai compilatori. In secondo luogo, ci si assicurava che la voce in questione fosse dell’uso vivo o se dovesse essere registrata nel Glossario: anche in questo caso, veniva fornito semplicemente un parere sulla questione della collocazione del lemma, che però veniva rimessa ai deputati alla compilazione del Vocabolario. La Deputazione sugli spogli, supervisionata dal Tabarrini, risulta dai Verbali molto attiva nel 1858, ed a fine anno presentò all’Accademia un’importante osservazione riguardante non tanto il suo metodo di lavoro quanto quello dei compilatori: in molte delle dichiarazioni dei verbi di “natura latina”306 che si trovava ad esaminare, infatti, l’infinito da

cui derivava il tema verbale non faceva più parte della lingua dell’uso. Per questo motivo, la Deputazione domandò se si dovesse “improntare ad ogni modo nel Vocabolario

303

La Lezione del Bianchi è conservata nell’Archivio dell’Accademia della Crusca crf. MS.93 bis

Sulla nomenclatura dei Verbi, contenuta nel Fascicolo fascetta 355, Rapporti Commemorazioni ed Elogi 2. Si tratta di un intervento in risposta alla seconda parte del discorso sulla nomenclatura dei

verbi che il Fraticelli il 13 Aprile 1858: l’Accademico prese in esame la questione dei verbi pronominali, e affermò che “parte di essi, come i così detti procacciativi e reciproci, non escono dalla categoria dei transitivi, e quelli che la Crusca chiama neutri passivi, possono tutti comprendersi nella denominazione di riflessivi”.

304

Dato che molti Accademici avevano manifestato la volontà di preservare la triplice e più semplice suddivisione dei verbi adottata dalla vecchia Crusca, il Vicesegretario Bianchi formulò la proposta in questo modo: “Piace all’Accademia di ritenere l’antica distinzione dei verbi in attivo, neutro, e neutro passivo comprendendo nell’attivo tutti quei verbi che son capaci di complemento diretto, e che alcuni han chiamati e chiamano transitivi: nel neutro tutti quelli che o non importano propriamente azione, o se spiegano azione, questa si rimane immobile nel subietto agente; onde sono per alcuni chiamati intransitivi: nel neutro passivo tutti quelli che sono uniti ai pronomi personali mi, ti, si ecc. affissi o staccati, e che da altri si chiamano pronominali, da altri riflessivi?” cfr. Verbale del 27 Aprile 1858, Diari III, pp. 502-505.

305

Diari III, pp. 530-532.

306

quest’Infinito cogli esempi delle voci che si hanno di esso verbo, come fece la vecchia Crusca” oppure se fosse più conveniente “registrare solamente la voce, o voci esistenti in ordine grammaticale aggiungendo Dal tema inusitato ecc. e seguitando colle autorità confermanti le voci esposte”307. In una seconda Adunanza308, inoltre, si aggiunse la

questione della registrazione di quei “verbi usitati, la cui coniugazione si compone visibilmente (come avveniva anche presso i Greci e i Latini) di membra difformi generate da infiniti di foggia od ortografia diversa”309 solo all’infinito oppure anche nell’altra forma

con cui si realizza parte della coniugazione. Prese dunque parola il Capponi e, riscuotendo il favore dell’intero Collegio, propose per quanto riguardava il primo quesito di conservare l’impostazione apportata dalla vecchia Crusca alle dichiarazioni, riportando “l’infinito qual ch’egli stasi (solo aggiungendo l’avvertenza d’esser tema inusitato) e seguitando al solito con gli esempi delle voci di esso verbo usabili”310 ma applicando l’ordine inverso per quelle forme da includere nel Glossario, nel quale un lemma antiquato e “non imitabile” si sarebbe dovuto registrare così come l’autore lo utilizzò nella sua opera, e si sarebbe dovuto indicare solo in seguito l’infinito da cui derivava311. Quanto poi alla seconda questione, si stabilì di porre a capo della dichiarazione l’infinito comune e successivamente l’altra sua forma, purché essa avesse degli esempi tratti da autori citati e potesse ancora essere adoperata nell’idioma moderno; ma che non si dovessero mai riportare “maniere d’infiniti forse non mai state in uso, e solo supposte in forza dell’analogia (argomento non sempre sicuro nelle lingue) e se esistite certamente affatto dismesse, per la sola ragione di servire all’istoria della coniugazione irregolare del verbo”312, dato che ragionamenti ed indagini di natura filologica

sulle voci non rientravano nei propositi dell’Accademia per la compilazione del suo Vocabolario.

Altro argomento spinoso per gli Accademici, per il quale vennero riprese le discussioni proprio alla fine del 1858, fu quello delle etimologie e delle modalità con cui registrarle all’interno delle singole voci: nell’Ottocento, infatti, il crescente interesse per gli

307 Diari III, pp. 546-47. 308 Diari III, pp. 551-553. 309 Diari III, pp. 551-553. 310 Ivi. 311

Anche nel caso delle forme verbali riportate nel Glossario, tuttavia, gli Accademici finirono per registrare la quasi totalità delle dichiarazioni a partire dall’infinito da cui esse derivavano.

312

studi storici spinse la Crusca, soprattutto nella figura del Sarchiani, a compiere nuovi spogli di testi di Citati e a redigere schede di studi etimologici sui vocaboli estratti da essi313. Il 14 Dicembre314 il Vicesegretario Bianchi invitò quindi i Colleghi a riflettere su tale questione, e suggerì di eliminare la traduzione latina o greca dei lemmi all’interno delle dichiarazioni dato che tali informazioni non avevano motivo di essere registrate in un dizionario dell’uso (diversamente da quanto avveniva per le precedenti edizioni del Vocabolario); proponendo invece di indicare “la vera origine della parola (quel che i Latini dicevano, veriverbium) ogni volta che fosse conosciuta con certezza, e nulla dicendone dove fosse troppo incerta o confusa”315. Il Bianchi concluse il suo discorso affermando come tale operazione sarebbe

stata portata a termine senza grandi difficoltà dagli Accademici vista la grande quantità di materiali prodotti sulle etimologie dalla Crusca e come tale innovazione avrebbe contribuito a un notabile miglioramento dell’opera del Vocabolario ed al decoro dell’Accademia stessa. Non furono tuttavia prese risoluzioni definitive su tale proposta fino all’anno successivo. Il 28 Marzo 1859 il Vicesegretario richiamò dunque i suoi Colleghi a raggiungere una risoluzione riguardo la proposta di porre nella dichiarazione accanto alla voce in italiano la sua diretta derivazione etimologica, “smettendo quella traduzione metodica dell’idea in greco e in latino, difficile a farsi bene, sempre necessariamente incompleta, superflua oggi, essendoci Dizionarj speciali” ma soprattutto erudizione fine a se stessa “quando non ha una cognizione e relazione storica col vocabolo che si dichiara”316. Nell’Adunanza del 4

Maggio317 i compilatori si espressero sul metodo che avrebbero seguito per sostituire le etimologie alla vecchia traduzione latina e greca, confermando le intenzioni già espresse nelle precedenti riunioni accademiche di procedere alla stesura di paragrafi semplici e brevi, “attenendosi alle origini certe, dovunque elle s’abbiano, o nelle lingue antiche o nelle moderne, comprovate non tanto dalla somiglianza degli elementi vocali quanto dalle ragioni storiche della nazione”318 e limitandosi ad esporre l’etimologia del lemma principale o, salvo

poche eccezioni, alle sue forme derivate più vicine a livello tematico. La proposta fu approvata dall’Accademia, ma il 31 Maggio319 il Bianchi ritornò sulla questione osservando

come l’innovazione di porre l’etimologia accanto alla voce a cui essa si riferiva avrebbe

313 Sulla questione delle etimologie si faccia riferimento al paragrafo IV.d.3 di questo capitolo. 314 Diari III, pp. 547-550. 315 Diari III, pp. 547-550. 316 Diari III, pp. 569-572. 317 Diari III, pp. 572-576. 318

Diari III, pag. 576.

319

potuto “mal accordarsi coll’altra pratica di metter sempre per prima l’accezione dell’uso odierno ancorché traslata piuttostochè la significazione primitiva ed istorica della parola”320:

venne dunque ribadito dall’intero Collegio come l’esposizione della genesi di alcuni vocaboli doveva essere considerata “non più che un’erudita curiosità”321 e non finire per

alterare il proposito originario della Crusca, ovvero la compilazione di un Vocabolario che fotografasse la lingua dell’uso vivo in Italia, e non di “un Dizionario che presentasse fin dall’origine le vicende e le gradazioni, delle parole italiane”322.

Nel corso del 1859, insieme all’approvazione delle modifiche alle Costituzioni Accademiche presentate già nel 1857323 ed alle norme sulla stesura delle etimologie, i cruscanti si pronunciarono anche su due questioni minori, sempre legate alle metodologie di compilazione del Vocabolario: la Deputazione sugli spogli chiese se si dovessero ammettere gli aggettivi derivati da nomi propri di persona storicamente celebri, “sia che significhino appartenenza, sia imitazione”324, come Dantesco, Francescano, Domenicano, ecc.; e l’Accademia rispose che qualora tali voci avessero esempi tratti da opere di autori citati, o fossero d’uso comune, avrebbero dovuto essere registrate “perché simili termini si possono oramai considerare come altrettanti qualificativi di professione o di stile introdotti ad accrescere assai felicemente il patrimonio della lingua”325. Infine, fu richiesto dal Fraticelli che venisse notata agli Atti la norma convenuta fra le Deputazioni quotidiane e quella di Ultima Revisione di non registrare separatamente nel Vocabolario, come fu fatto nelle precedenti edizioni, le preposizioni articolate e quelle semplici da cui derivano salvo motivate eccezioni.

All’inizio del 1860326 la Deputazione per la Tavola dei Citati fu chiamata

dall’Accademia a presentare ai compilatori il suo lavoro, che poteva dirsi completato: in questo modo, i Deputati quotidiani avrebbero potuto giudicare se le opere scelte per l’esemplificazione delle dichiarazioni del Vocabolario sarebbero risultate bastevoli o se fosse stato necessario spogliarne altre. Inoltre, vista la lentezza con cui si stava lavorando sulla stesura della definizione della particella A327, venne deciso di formare una Deputazione

320

Diari III, pp. 582-584.

321 Ivi. 322 Ivi. 323

Si veda questo paragrafo e nota n°47.

324

Diari III, pp. 587-589.

325 Ivi. 326

Diari III, pp. 609-611.

327 Di questo particolare lemma, la cui compilazione fu motivo di discussione tra Accademici a partire

di tre Revisori perché facesse alcune correzioni a tale voce e ne portasse a termine la compilazione. Si tornò inoltre a parlare del Glossario, per il quale già nel ’58 gli Accademici ricevettero aspre critiche che si trovarono a controbattere pubblicamente durante l’Adunanza del 5 Settembre di quello stesso anno328: il Bianchi espresse un dubbio riguardo alla

denominazione di Glossario quale termine non appropriato a esprimere il concetto di separazione tra le voci della lingua dell’uso e quelle forme o locuzioni inusitate, rozze o incerte che si incontravano nei testi degli autori classici. Ciò per il fatto che, sebbene

Glossario significasse “illustrazione di parole oscure, peregrine, e disusate”, tuttavia nel

senso comune della parola sembrava richiamare “l’idea di un tempo di decadenza o di barbarie d’una lingua”329 mentre, nel caso dei termini contenuti nel Glossario, essi avevano

la loro origine negli “aurei tempi” dell’idioma, e le loro dichiarazioni non risultavano

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 73-89)