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d.4 Voci straniere e termini del lessico tecnico-scientifico.

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 101-104)

Primo importante elemento di novità all’interno della Prefazione del Vocabolario è la trattazione del tema della registrazione delle voci straniere e dei termini del lessico tecnico-scientifico all’interno della quinta impressione del dizionario: nelle precedenti edizioni, infatti, non soltanto si era evitato di riportare la maggior parte di questi vocaboli, ma anche di fare menzione della questione nel manifesto programmatico dell’opera lessicografica. Già nelle prime pagine della Prefazione si era fatto riferimento alla necessità di compiere un esame delle parole o delle locuzioni nelle quali si avvertisse un “accatto francese”422 e soprattutto di stabilire un insieme di regole per l’introduzione di tali forme

nella Quinta Crusca, dato che alcune di esse erano ormai entrate a fare parte nella lingua dell’uso.

Quanto ai prestiti linguistici indicanti idee e concetti totalmente estranei ed innovativi per l’idioma che li ricevesse, gli Accademici decisero di regolarsi “secondo le leggi comuni, e i precetti degli antichi maestri”423: in particolare, fecero riferimento ai vocaboli stranieri

che rappresentavano “un oggetto, una foggia, un ordine nuovo” rispetto a quelli già conosciuti e che quindi non avevano in italiano un corrispettivo e per questo vennero necessariamente accolti tuttavia subendo un adattamento morfologico e fonetico che li rendesse compatibili con le strutture della lingua nella quale erano stati ammessi. Così come i compilatori delle passate edizioni del Vocabolario riportarono, seppur in misura minore, alcuni di questi prestiti adattati nei loro repertori, anche i nuovi Accademici avrebbero dovuto registrarli nel loro dizionario, seguendo però due criteri di giudizio: “la popolarità del vocabolo forestiero, e la sua necessità, leggi supreme in tutte le lingue”424. Sottostando a tali condizioni nell’ammissione dei forestierismi, “le poche parole straniere mescolate dentro non corromperanno la lingua ma l’aumenteranno”425, risulteranno cioè un valore aggiunto.

Nel caso dei gallicismi puri, ovvero di quei prestiti linguistici integrali e considerati, per il loro essere nettamente differenti dai costrutti propriamente italiani “assolutamente impropj o scorretti, poiché offendono le ragioni, e viziano il genio della lingua”426, questi

422 Prefazione, pag. X. 423 Ivi. 424 Ibid. 425 ibid.

vennero rigettati dalla Crusca. L’esclusione dei francesismi dalla quinta edizione del Vocabolario, però, passò finalmente dall’essere un’operazione sistematica dal sapore purista ad una scelta ponderata; non una condanna a priori del forestierismo data dal pregiudizio degli Accademici sui termini stranieri ma piena rivendicazione di voci che ormai erano entrati a far parte del lessico comune, e che non erano più percepiti quali estranei dai parlanti: questo è forse uno dei più grandi elementi di novità all’interno della Quinta Crusca, insieme all’accoglimento di numerosi termini dei linguaggi settoriali delle scienze e delle arti.

Sulla questione dell’ingresso di nuove voci del lessico tecnico-scientifico nella Quinta Crusca è già stato dedicato un capitolo di questo volume427, ma in questo paragrafo

sarà presa in esame in particolar modo la prassi lessicografica dei compilatori nell’ambito della revisione delle dichiarazioni di tali vocaboli, così come verrà affrontata più in dettaglio il tema dei termini delle arti e dei mestieri.

Uno dei problemi più importanti da affrontare per gli Accademici che si occuparono della stesura dell’ultima impressione del Vocabolario fu quello delle definizioni, in particolare parole dei linguaggi settoriali: i compilatori delle precedenti edizioni, infatti, avevano spesso corredato questi lemmi con dichiarazioni scarne ed imprecise, fornendo spiegazioni scorrette o troppo generiche date le gravi carenze in materia di competenze sull’argomento affrontato. I nuovi cruscanti, invece, riconobbero l’importanza di determinare con esattezza il valore semantico di ogni vocabolo, in modo che “di ciascuno si senta la proprietà, né l’uno si confonda coll’altro, ma pur de’ più affini si scorgano le differenze”428: da ciò sarebbe dipeso il corretto insegnamento dell’italiano attraverso l’opera

del dizionario. Tuttavia, le definizioni fornite da un vocabolario dell’uso non avrebbero dovuto essere neanche troppo dettagliate e sfociare nel tecnicismo accademico: dichiarazioni di questo genere sarebbero dovute appartenere, secondo gli Accademici, ai soli “dizionarj speciali, sia di scienze filosofiche e naturali sia d’arti e mestieri”429; mentre in un repertorio

del linguaggio comune sarebbe stato opportuno definire un termine in modo che risultasse chiaramente netta la distinzione tra esso ed “un altro simile nella classe e nel genere” cosicché l’attenzione del lettore si sarebbe focalizzata immediatamente “sulla differenza sostanziale e specifica che ne costituisce la proprietà”430. Chiarezza, brevità, rispetto della gerarchia dei significati all’interno delle dichiarazioni erano elementi che avrebbero

427 Si fa riferimento al cap. III.a di questo volume. 428

Prefazione, pag. XII. 429

Ivi.

contraddistinto le voci dell’uso così come i termini del lessico tecnico-scientifico a partire dalla Quinta Crusca: seguendo questi parametri universali i compilatori avrebbero realizzato le definizioni di animali, piante, strumenti ed oggetti di arti e mestieri comuni. L’Accademia avvertì il lettore nella Prefazione di un’altra importante norma che garantisse l’uniformità degli articoli appartenenti a linguaggi settoriali all’intero repertorio lessicografico: non sarebbero state adoperate nelle definizioni di vocaboli di scienze naturali o metafisiche “certe parole che gli autori di sistemi hanno quasi per convenzione introdotte, facendone il linguaggio loro particolare”431, ma sarebbe stata prodotta una descrizione di questi lemmi in termini più semplici ed usitati, rispettando in questo modo la volontà degli Accademici di “voler servire all’uso comune” fornendo attraverso il loro Vocabolario una “rappresentazione della lingua del popolo”432. Inoltre, nelle dichiarazioni non sarebbero state

riportate dettagli tecnici che solo gli specialisti di una determinato settore scientifico avrebbero potuto comprendere, e nel caso in cui si fossero dovuti registrare dei vocaboli che esprimevano concetti astratti molto complessi, per i quali sarebbe stato necessario stendere una definizione troppo lunga o di difficile comprensione per il fruitore medio del Vocabolario, i compilatori sarebbero ricorsi invece ad un’altra di più immediato intendimento “per via de’ cosiddetti sinonimi”, in modo da avvicinarsi per quanto possibile “al valore speciale delle parole, e allegando esempj che lo faccian sentire anche meglio della stessa formula dichiarativa”433. Infine, la Crusca si impegnò a non ripetere l’errore compiuto più volte in passato dai compilatori delle precedenti edizioni di lasciare che “un termine definitore ricevesse a sua volta per definizione il suo definito”434: gli Accademici, apportata

la spiegazione al vocabolo principale di una famiglia lessicale, non l’avrebbero ripetuta anche per i suoi derivati — tranne nei casi in cui alcuni suffissi435 avessero aggiunto a questi

ultimi particolari sfumature di significato.

L’intendimento primario del lavoro di compilazione del Vocabolario, ovvero quello di raccogliere più voci possibili “della lingua comune d’Italia”, sarebbe stato rispettato dagli Accademici nella prassi lessicografica anche rispetto ai termini dei lessici settoriali in quanto essi non avrebbero registrato vocaboli “cogniti solo ai cultori della scienza”, ma soltanto

431

Prefazione, pag. XIII. 432 Ivi. 433 Ibid. 434 Ibid. 435

Cfr. Prefazione, pag. XIII: “[…] Tranne il caso di dover notare le significazioni speciali di

potenza, di capacità, di disposizione, di atto o d’effetto che si aggiungono all’idea fondamentale

per mezzo di certe terminazioni assai comuni in ivo, ibile, in evole, ecc. per gli adiettivi; in ento, in

quelli di cui si servirono gli autori Citati dalla stessa Crusca o che erano entrati a far parte del linguaggio del popolo, “dove di ogni scienza più sublime penetra sempre o per un modo o per un altro qualche leggiera notizia”436 e che per questo risultavano comprensibili a

chiunque avesse ricevuto un’educazione di base. Per i termini d’arti e mestieri, invece, i compilatori furono meno severi nella selezione dei lemmi da accogliere nel dizionario, in quanto la maggior parte di essi era entrata ampiamente a far parte dell’uso familiare toscano. Tuttavia, anche in questa occasione, gli Accademici mostrarono una predilezione per i vocaboli “principali e più cogniti”, soprattutto in materia di tecnicismi delle arti più umili, “preferendo sempre anche in questi nelle diversità tra luogo e luogo i fiorentini”437. E

affinché le parole dei linguaggi settoriali ammesse nel Vocabolario non restassero sprovviste di esemplificazione, la Crusca accolse nella sua Tavola dei Citati nuove opere di autori rinomati (per lo più toscani) che scrissero di scienza e tecnica al solo scopo di trarre dai loro testi esempi per tali voci, non curandosi dei difetti di stile che composizioni di questo genere erano solite presentare.

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 101-104)