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d.6 Particolarità della prassi lessicografica.

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 111-115)

Negli anni che precedettero la pubblicazione del primo volume della quinta impressione del Vocabolario i compilatori si dedicarono per la prima volta alla risoluzione di due problematiche che nelle precedenti edizioni erano state trascurate, ovvero l’organizzazione ed il ridimensionamento dei paragrafi nell’articolo dedicato alla particella A454 e del numero di nomi alterati accolti nel dizionario della Crusca.

Durante l’Adunanza del 14 Gennaio 1858455 il Vicesegretario Bianchi affermò di

aver notato due difetti nella dichiarazione della particella A: il primo riguardava un eccessivo “sminuzzamento, non sempre necessario né opportuno, che si era fatto nel distinguere le relazioni rappresentate da quella”456 voce, quando invece alcune definizioni, seppur indicanti

funzioni morfologiche differenti, avrebbero potuto essere incluse nello stesso paragrafo; il secondo era legato al fatto che di frequente fosse attribuito come proprio ed esclusivo della preposizione A un valore semantico “che l’esempio allegato dimostrava generale e comune e già bastantemente indicato nell’uso assegnato, sia di principio, siccome proprio alla detta particella”457. La registrazione dei significati del termine e delle relazioni che intercorrono

tra la preposizione e gli altri elementi della frase, dunque, avrebbe dovuto essere controllata e sarebbe stato necessario realizzare un’impostazione migliore per la trattazione di questa particella e di quelle detenenti le stesse funzioni logico-grammaticali: le dichiarazioni, anche in questi casi, avrebbero dovuto rispettare i criteri di chiarezza e brevità, avvertendo il lettore di particolari significazioni della particella solo quando essa fosse utilizzata in “modi di dire singolari, ellittici, e non abbastanza chiari per la sola generica definizione fatta di essa da principio nel tema”458. Il Bianchi, a conclusione del suo discorso, portò come

esempio della tendenza ad indicare nelle dichiarazioni funzioni che non è la specifica particella A ad assumere all’interno della frase presa in considerazione: nel quarto paragrafo dell’articolo provvisorio per tale voce, infatti, si affermava che “che A si trova[sse] talvolta

454 La questione non è nuova all’Accademia: già durante la pubblicazione dei fascicoli della quinta

edizione, poi cassata, del 1842, infatti, Fanfani solleva il problema della lunghezza dell’articolo sulla particella A e dei significati ad essa attribuiti: “trentasei colonnini per la sola A preposizione son davvero un po' troppi. E certe relazioni sono stiracchiate, certe non son altrove che nella mente de' compilatori, certe fors' anco del tutto scambiate”. Cfr. P. FANFANI, Osservazioni al Nuovo

Vocabolario della Crusca, Modena, presso Carlo Vincenzi tip. Librajo, 1849. 455 Diari III, pp. 471-76.

456 Diari III, pag. 472. 457 Ibid.

458

senza l’articolo, al quale [avrebbe dovuto] esser aggiunta”459. Questa definizione risulta però superflua in quanto l’utilizzo della preposizione articolata non solo è regolato da norme sintattiche generiche che possono essere applicate a tutti gli elementi di questo tipo (di, da, ecc.); ma anche perché l’articolo in alcune costruzioni quali andare a messa o sedersi a

tavola non poteva essere ammesso. Nell’Adunanza seguente460 i compilatori della prima Deputazione quotidiana, pur mostrandosi favorevoli alle modifiche proposte dal Bianchi per il primo articolo del Vocabolario, si dissero contrari a riportare i soli modi ellittici o le sole locuzioni singolari in cui fosse presente la particella A, poiché quest’ultima non avrebbe assunto significazioni specifiche solamente in questi casi, ma anche all’interno di costrutti regolari. Il Bianchi tornò perciò a ribadire che la registrazione, all’interno delle dichiarazioni, degli esempi di frasi ellittiche o dotate di altre particolarità avrebbe dovuto essere considerata come un semplice accorgimento per non cadere nel “vizio di dichiarare l’idem per idem frequentissimo sui paragrafi della presente Compilazione”461.

L’Accademico aggiunse poi che la preposizione A ha quale suo primitivo valore semantico quello dell’espressione della tendenza ad un termine di due o più elementi della frase che collega tra loro: per quanto questi ultimi possano variare, “l’ufficio definito dell’A, rimane in ogni caso sempre il medesimo, […] e non può aver perfetto sinonimo in altra preposizione”462. Per queste ragioni il Bianchi riaffermò la sua idea di procedere a dichiarare

con chiarezza ad inizio articolo l’uso principale che nell’italiano si fa della preposizione, corredandola di numerosi e chiari esempi; ma anche di riportare per l’accezione più generica del termine “quelle forme e modi di dire, nei quali non è tanto visibile la dipendenza dal tema generale”463, o causa di un’ ellissi, o perché avesse assunto una funzione sintattica

diversa da quella ordinaria464. Nell’Adunanza del 9 Febbraio 1858465 l’Accademia concordò all’unanimità che il sistema delle relazioni era quello più valido per la compilazione della

459

Diari III, pp. 473. 460

Diari III, pp. 476-483. 461

Diari III, pag. 477. 462

Ivi, pag. 479.

463

Ibid.

464

Il Bianchi, a conclusione del suo discorso, avvertì gli Accademici di aver dedotto le idee che aveva appena esposto “dalla pratica del Forcellini, che sotto l’Ad e le altre preposizioni non registra che i valori diversi in qualche modo dal primo enunziato, o i loro allontanamenti; e dal Boiste, autore d’un lodassimo Lessico francese, e quel che era più notevole, dall’antica Crusca, che dichiarò l’A col sistema delle sostituzioni, e forme equipollenti, che non può occorrere generalmente che per le locuzioni elittiche, o dove ella assume un carattere che non par più quello che si porge negli esempi del tema. Il qual metodo, sebbene non era ne ordinatamente, ne’ ragionatamente svolto, non dimeno rivelava in quei Compilatori un concetto giustissimo della cosa e dell’ufficio del Vocabolario”.

particella A, e già alla fine di quello stesso anno venne realizzata una prova a stampa dell’articolo riformato seguendo il nuovo metodo di stesura delle dichiarazioni e delle esemplificazioni. Nei Diari si ha testimonianza dell’avanzamento dei lavori su questo lemma fino al 1860, quando venne avviata la stampa delle prime pagine del Vocabolario.

Per quanto riguarda la questione dei nomi alterati, invece, non si hanno attestazioni dirette di discussioni sul tema in Accademia, ma possiamo intendere da un Verbale della fine del 1856466 che si fosse stabilito di non eccedere nella registrazione di diminutivi, accrescitivi, peggiorativi e vezzeggiativi poiché queste forme avrebbero potuto essere ricavate partendo da qualsiasi aggettivo o sostantivo esistente, e per questo la loro inclusione nel Vocabolario in articoli dedicati sarebbe risultata inutile. Nella Prefazione al dizionario i compilatori, pur ribadendo la volontà di ridurre rispetto alle precedenti edizioni il numero delle alterazioni riportate nel repertorio lessicografico, specificarono anche come non tutti i nomi e gli aggettivi ammettessero “tutte queste varietà di terminazione, ma quale prende[sse] più volentieri l’una, quale l’altra, allo stesso fine di diminuire o d’accrescere”467. Tuttavia,

gli Accademici scelsero di registrare soltanto quegli alterati dei quali potessero fornire esempi di autori citati, non omettendo di dichiarare comunque “il valore proprio e distintivo di quella data forma nel caso particolare”468 preso in esame. Lo stesso trattamento sarebbe

stato riservato ai verbi che fossero in grado di adottare i suffissi acchiare, ucchiare ed

icchiare. Questa linea d’azione fu giustificata da due importanti motivazioni: la prima era

legata al fatto che non fosse di competenza di un vocabolario dell’uso rappresentare ogni singola modificazione ordinaria delle parole, in quanto il lettore per fruirne al meglio dovrebbe già essere a conoscenza delle norme grammaticali alla base dell’italiano; la seconda riguardava l’impossibilità, da parte dei compilatori, di registrare in un dizionario lo stato lessicale di una lingua nella sua interezza.

466

Diari III, pag. 405-10. 467

Prefazione, pag. XVII. 468

Nel documento La Quinta Crusca (pagine 111-115)