Modernismo coreutico
IV.3. b Ruth St Denis: un orientalismo sui generis
Tra le pioniere della “danza nuova” di matrice Americana, Ruth St. Denis è quella che più direttamente si collega alla corrente orientalista d’inizio Novecento, nel segno della quale creò i suoi assoli più famosi. Formatasi autonomamente al delsartismo, Ruth trovava nell’Oriente fantasioso e indefinito ben identificato da Said la realizzazione di quel connubio tra danza e dimensione spirituale rinnegato dall’Occidente, il modello cui fare riferimento per la realizzazione dell’«utopia di una danza religiosa occidentale»536
che costituirà il leitmotiv di tutta la sua carriera artistica. Prima del contatto reale con l’Oriente, durante la tournée in Asia con la Denishawn537 iniziata nel 1925538, la sua conoscenza della danze orientali si basava infatti sulle informazioni lacunose e imprecise che le derivavano dalla letteratura e dalle arti figurative539. I suoi assoli riflettevano l’«immagine di danzatrice-sacerdotessa quietamente immersa nel compimento di esoteriche e complicate operazioni rituali»540, che aveva plasmato per se stessa. In questa prospettiva l’India prima e l’Egitto poi costituirono le due ambientazioni privilegiate delle sue danze.
Aveva mosso i primi passi da professionista sul palcoscenico del vaudeville nel 1894 a New York, quindi nel 1900 era entrata nella prestigiosa compagnia di David Belasco: un incontro che ne avrebbe segnato profondamente la concezione scenica, per l’attenzione ai dettagli della messa in scena e l’acquisizione di quelle qualità drammatiche che avrebbe poi inserito nelle sue danze. Sarebbe rimasta nella compagnia fino al 1905, quando in una profonda crisi, artistica e mistica insieme, tornò al vaudeville, dove realizzò un primo saggio della “danza sacra” che aveva in mente. Influenzata dalle idee progressiste della madre e dagli scritti di Mary Baker Eddy, fondatrice del movimento religioso Christian Science, per l’impianto cinetico di Radha si ispirò a Sada Yacco541
– per quel modo di danzare e recitare “evocativo” di un’atmosfera, fatto di gesti essenziali542
– e a Geneviève Stebbins per l’«estetica del gesto interiore» mutuata da Delsarte543
. La prima ufficiale di Radha si tenne il 22 marzo 1906 all’Hudson Theatre di New York, dove la
536
Vito Di Bernardi, Ruth St. Denis, Palermo, L’Epos, 2006, p. 32.
537 Vd. Infra, pp. 165-166.
538 V. Di Bernardi, Ruth St. Denis, cit., p. 32. 539 Ivi, p. 27.
540
Ivi, p. 62.
541 Ruth St. Denis aveva visto danzare Sada Yacco durante l’Esposizione Universale del 1900. In
quell’occasione Loïe Fuller aveva condiviso il proprio teatro all’interno della fiera con la compagnia giapponese della quale faceva parte anche Sada Yacco, che per l’occasione mise in scena un dramma intitolato The Geisha and the Samurai. Cfr. R. K. Garelick, Electric Salome…, cit., p. 81.
542
V. Di Bernardi, Ruth St. Denis, cit., pp. 60; 80.
165 coreografia fu il terzo momento di uno spettacolo che comprendeva anche due assoli rispettivamente intitolati Incense e The Cobras. Radha fu accolto come «un esempio americano di quella miscela di orientalismo ed erotismo che in Europa era stata inaugurata dalla rinascita ottocentesca del mito della danza di Salomè»544.
La stessa St. Denis realizzò una sua Salomè nel 1931, la cui progettazione iniziò però ben prima, nel 1907, durante la sua prima tournée europea, nel pieno della “salomania”: «in quegli anni il soggetto della “danza dei sette veli” era al massimo della sua popolarità […]. Basti pensare alla Salomè di Loie Fuller (1895 e 1907) o a quella di Maud Allan del 1906, oppure alle Salomè della Rubinstein e della Karsavina che di lì a poco sarebbero seguite»545. La versione del mito ideata da Ruth era un’opera allegorica, lontana dallo stereotipo della donna fatale e nella quale l’eroina biblica era vittima del proprio narcisismo. Ad ogni velo corrispondeva una diversa sfumatura psicologica, nel percorso di presa di coscienza di Salomè, che doveva eliminarli tutti perché la sua vera natura potesse esserle rivelata546.
Già nel 1914 aveva messo a punto un nuovo assolo, The Legend of the Peacock, ispirato a una novella orientale che narrava di una giovane danzatrice, avvelenata e poi rinata sotto forma di pavone. Dalle foto che la ritraggono con indosso il costume indossato per quella danza (Fig. 30), è possibile dedurre una singolare somiglianza con The Peacock
Skirt (Fig. 31), una delle celebri illustrazioni di Aubrey Beardsley poste a corredo
dell’edizione britannica del dramma di Wilde (Salomè, 1894)547
.
Nel 1909 traendo ispirazione dall’allestimento di uno spettacolo su Salomè di Gertrude Hoffman, la quale a sua volta si era ispirata al suo Radha, Ruth “rinnovò” il costume scenico del suo assolo sostituendo la gonna e il corpetto utilizzati sin dal 1906 con una sorta di imbracatura di gioielli, cosicché la stampa ebbe a scrivere che «out-Saloméing all the Salomés, Miss St. Denis burst upon dazzled audiences…»548
, sottolineando così il legame sotterraneo con l’icona femminile orientalista per eccellenza.
Pochi anni dopo (1915-1926) con il marito Ted Shawn avrebbe dato vita a una compagnia – la Denishawn – e una scuola – la Denishawn School – che avrebbero intessuto stretti rapporti con il cinema. Nel 1916 infatti la Denishawn fu ingaggiata da D. W. Griffith per il grandioso affresco coreografico dell’episodio babilonese di Intolerance,
544 Ivi, p. 67. 545 Ivi, pp. 71-72. 546 Ivi, pp. 72-73. 547
Ivi, pp. 136-137 e le illustrazioni n° 8 e n° 9, alle pp. VII-VIII fuori testo.
166
durante il quale si svolge la danza sacra in memoria della resurrezione di Tammuz549: fu solo l’inizio di una prolifica collaborazione con il cinema, per cui non solo la Denishawn intervenne in seguito in numerosi altri film (come Male and Female, 1919 e Adam’s Rib, 1920, entrambi di Cecil B. DeMille), ma numerose attrici hollywoodiane, come Lillian e Dorothy Gish e Blanche Sweet, per citare alcune delle più famose, studiarono danza presso l’eclettica Denishawn School550
. Forse anche attraverso l’eco di questa stretta collaborazione cinematografica oltreoceano, la coreutica della St. Denis filtrò nella produzione cinematografica italiana coeva.
Ne troviamo un esempio piuttosto esplicito nel già menzionato Il fiore del deserto. Oltre alla già citata scena coreutica di matrice fulleriana più direttamente ascrivibile al tema della danza dei veli551, nel film si trova infatti una seconda scena di danza, che si svolge nel palazzo dell’emiro, dove la bella Lahmè, colta dalla disperazione, si abbandona a una “danza di morte”.
Lakmé o Lahmè era anche il nome della protagonista dell’opera musicata da Léo Delibes (Lakmé, 1883), la cui partitura la stessa St. Denis aveva recuperato per The
Cobras, una delle due danze poste a prologo di Radha, nel 1906552.
Gianna Terribili-Gonzales nella parte di Lahmè per la “danza della morte” indossa un reggiseno riccamente decorato e una gonna a doppio strato decorata da un’applicazione- fermaglio laterale sul fianco sinistro e composta da un pareo e una gonna con uno spacco sul lato destro, al di sotto di esso. Reggiseno e gonna sono collegati da sottili catenelle e quest’ultima presenta delle decorazioni sull’orlo e lungo i bordi del “pareo”. La danzatrice è scalza e in testa ha un diadema. È il primo costume che vediamo in una danza orientalista in cui tra la parte superiore e quella inferiore dell’abito si intravede la pelle nuda. Lahmè balla scalza. All’inizio della danza ha un flauto agganciato al fermaglio della gonna. Si tratta di un oggetto di scena poi utilizzato per la danza: fingerà di suonarlo (mimando soltanto il movimento, accostando lo strumento al volto).
La danza è introdotta al min. 05’47’’ dalla didascalia «Aber am Ende gibt sie sich lieber den Tod, als dass sie im Harem bleiben wuerde» (Ma alla fine si dà la morte, piuttosto che rimanere nell’harem).
549 La didascalia originale del film, che introduce la sequenza cui si fa riferimento, recita: «In the Temple of
Love. The sacred dance in memory of the resurrection of Tammuz».
550 E. Kendall, Where she danced, cit., pp. 142-145. 551
Vd. supra, pp. 154 e sgg.
167 Inq. 1, figura intera, col. rosso chiaro: Gianna Terribili-Gonzales/Lahmè tira fuori un lungo serpente da un baule istoriato, posto a terra. Si mette in posa di tre quarti a favore della mdp. Usa il serpente analogamente al velo della prima scena: lo sorregge con le braccia passandoselo dietro le spalle come una stola. Piega il busto, contemporaneamente in
cambré, sul fianco destro, di modo che il braccio sinistro, steso, viene a trovarsi in alto, di
fronte al volto, mentre il destro verso il basso, con il gomito piegato. La gamba sinistra è più avanti rispetto alla destra.
Inq. 2 campo medio, totale della stanza, col. rosso chiaro: un tappeto rettangolare disposto in diagonale funge da pedana per la danza. La danzatrice viene avanti in diagonale verso l’avampiano, a passi ampi e cadenzati, incrociando una gamba sull’altra. Poi compie un giro su se stessa verso la sua destra en de hors facendo perno sul piede sinistro, mentre col piede destro si dà la spinta per girare a piccoli colpi sul pavimento. Lo sguardo è rivolto verso l’alto, dove tiene la testa del serpente mantenendo la posizione inclinata del busto come nella posa iniziale. Compiuto un giro così, si stringe il serpente intorno al collo come una sciarpa. Poi riallarga le braccia e fa un passo avanti verso la destra del quadro. Si ferma, quindi affonda il cambré per avvicinare il muso del serpente al proprio volto. Bacia il serpente, poi lo riallontana e torna in posizione eretta, per poi riavvolgersi il rettile ancora una volta intorno al collo come sopra. Quindi compie alcuni passi indietro sempre col serpente avvolto intorno al collo. Poi esegue alcuni passi in diagonale verso il fondo del quadro incrociando i piedi uno sull’altro. Si ferma e ripropone la posa iniziale con il busto inclinato e in cambré, il serpente sorretto dalle braccia allargate. Quindi si volta en face e viene verso la mdp a passi cadenzati piegando di volta in volta il ginocchio della gamba d’appoggio e portando leggermente in avanti il busto, atteggiato, verso la gamba stesa per compiere il passo: esegue così quattro passi, poi un nuovo giro su se stessa usando la gamba sinistra come perno e dando piccoli colpi con la destra per girare en dehors. Cammina verso la sinistra dell’inquadratura compiendo tre passi cadenzati, piegando il ginocchio della gamba d’appoggio come sopra.
Taglio di montaggio (con vistoso “salto” nella pellicola), Inq. 3, figura intera (la mdp si trova nella stessa posizione iniziale, è l’interprete che si è spostata determinando così il montaggio interno al quadro); col. rosso chiaro: port de bras piegando il busto verso la gamba sinistra, che è in tendu; quindi risolleva il busto, cambré guardando il serpente, ripete il port de bras a destra. Si rialza, guarda il serpente, mentre il piede destro è in tendu lateralmente, en dedans. Compie tre giri su se stessa su entrambi i piedi, par terre. Si
168
accascia sul ginocchio sinistro e frattanto si avvolge il serpente intorno al collo. Lo ridistende lentamente allargando le braccia, poi lo posa a terra.
Inq. 4, piano ravvicinato, col. rosso chiaro: Lahmè, sempre con il ginocchio sinistro a terra, descrive degli arabeschi con le braccia. È un’inquadratura frontale; il serpente è a terra davanti a lei. Per due volte allarga leggermente le braccia, quindi le porta allo sterno; altre due volte ripete il movimento portando le braccia alla testa.
Inq. 5, figura intera: Lahmè a sinistra del quadro ha in mano un flauto. Esegue quindi un
passé-développé in avanti con la gamba destra en dedans. Posa il piede destro a terra, il
sinistro lo raggiunge dietro. Quindi fa un temps levé col sinistro in passé en dedans sul polpaccio destro, come si evince dalla piega dell’abito. Posa il piede sinistro a terra, quindi sorpassa il serpente facendo un passo saltato col sinistro e portando contemporaneamente il piede destro indietro, en dedans, piegando la gamba all’altezza del ginocchio. Posa il piede destro a terra il sinistro lo segue poco dietro, di nuovo temps levé col sinistro in una specie di passé en dedans (in realtà la gamba è piegata all’altezza del ginocchio e il piede è spinto indietro, oltre il ginocchio destro); piede sinistro a terra, il destro lo raggiunge poco dietro, di nuovo temps levé, ma stavolta sulla gamba sinistra, con la destra piegata in un anomalo
passé come sopra. Taglio di montaggio (con vistoso “salto” nella pellicola); la nuova
inquadratura è formalmente identica alla precedente;
Inq. 6, figura intera, col. rosso chiaro: Lahmè si trova a sinistra del quadro, di profilo rispetto alla mdp. Esegue un cambré volgendo il profilo sinistro alla mdp, i piedi paralleli. Ha il flauto in mano e lo sguardo rivolto verso il serpente ai suoi piedi, alla sua sinistra. Torna indietro in senso orario saltellando mentre finge di suonare il flauto. I saltelli sono accompagnati da una leggera inclinazione del buto alternativamente a destra e a sinistra. La posizione delle spalle è contratta verso il collo, in contrasto con l’estetica della danza classica. Si ferma all’improvviso per guardare il serpente, quindi va verso quello stesso, compiendo due passi. Esegue una sorta di port de bras piegando il busto in avanti verso la gamba destra, che è in tendu avanti con il ginocchio lievemente flesso e il piede in mezza punta. Prende il serpente, lo rilascia, ricomincia a saltellare intorno al serpente fingendo di suonare il flauto come prima, ma in senso antiorario. Si ferma nell’angolo sinistro del quadro con la gamba destra in tendu laterale, getta via il flauto e viene verso l’obiettivo in diagonale, lo sguardo sempre fisso al serpente. Ora si ferma accanto al serpente, al centro dell’inquadratura e gira su se stessa en dehors usando il piede sinistro come perno, mentre col destro dà piccoli colpi sul pavimento per darsi la spinta. Le braccia frattanto sono in basso, allargate in allongé. Il busto flesso in un leggero cambré. Quindi si ferma, piegando
169 il ginocchio sinistro, mentre stende la gamba destra in tendu davanti a sé, vicino al serpente, con il busto lievemente piegato in avanti. Compie una sorta di port de bras: piegando il busto in avanti verso la gamba destra riprende il serpente e se lo fa scorrere lungo il busto fino a portarlo di fronte al proprio volto. La gamba destra è ancora in tendu davanti, ed esegue un leggero cambré, mentre si pone en face.
Didascalia «Zu spaet!» (Troppo tardi)
Inq. 7 col. blu, piano americano: Sidi e i suoi compari sotto le mura del palazzo dell’emiro, cercano il modo di entrare per liberare Lahmé. Sidi inizia ad arrampicarsi sulle mura. Inq. 8, figura intera, col. rosso chiaro: la danza vera e propria è già terminata; la donna ha il serpente intorno al collo come una sciarpa e se lo toglie di dosso in preda a convulsi movimenti. Lo butta a terra, quindi indietreggia inorridita e continua a contorcersi a scatti, piegando il busto in avanti e indietro. Poi si accascia sul ginocchio sinistro e si piega in
cambré. Si sdraia, si contorce come in preda alle convulsioni e rotola a terra verso la mdp.;
si rialza, mima con le braccia il morso del serpente e ricade indietro a terra, inerte, con le gambe incrociate una sull’altra e le braccia stese al suolo al di sopra della testa, anziché lungo il corpo. Nel frattempo Sidi è entrato dalla finestra sullo sfondo. (Figg. 32.a.-b.)
Osservando attentamente la danza eseguita da Gianna Terribili-Gonzales nei panni di Lahmè, non possono sfuggire alcuni evidenti punti di contatto con la concezione coreutica di Ruth st. Denis, in particolare prendendo in considerazione quella prima triade di assoli che presentò durante la matinée del 1906 all’Hudson Theatre. Ciò non soltanto in virtù dell’omonimia dei personaggi principali di una delle coreografie e del film, ma piuttosto per la qualità del movimento proposto. In The Cobras, assolo venato d’ironia, troviamo il movimento ondulatorio delle braccia a restituire quello di due serpenti immaginari. Questo gesto era un esempio del “movimento successivo” di Delsarte:
successioni sono definiti tutti i movimenti che passano attraverso il corpo
intero, attraverso ogni parte del corpo, coinvolgendo ogni muscolo, ogni osso, ogni articolazione. Sono i movimenti fluidi, simili all’onda. Costituiscono l’ordine di movimento principale per esprimere l’emozione. L’immissione di questa scoperta di Delsarte nella danza fu una delle spinte più forti verso il formarsi della danza definita American Modern (e German Modern). Le successioni sono di due tipi principali: successioni vere, che incominciano dal centro e si diffondono verso l’esterno, e successioni opposte, che iniziano da un’estremità e si diffondono in dentro, verso il centro. Il Bene, il Vero, il Bello
170
e tutte le espressioni emotive normali usano le successioni; il male, la falsità, l’insincerità, ecc., impiegano le successioni opposte553
.
Stando all’esaustiva definizione delsartiana fornita da Shawn, quei ripetuti movimenti delle braccia che dapprima si allargano per poi portare le mani allo sterno o alla testa disegnando delle volute aeree, sono assimilabili al movimento ondulatorio di The
Cobras e secondo la complicata teoria delsartiana, trattandosi di un movimento che si
dipana dall’esterno verso l’interno, interpretano un fattore di negatività, la morte imminente in questo caso. L’assolo era una sorta di “scherzo teatrale” che descriveva con pochi tratti – la confusione del mercato, l’incantatore di serpenti – un’India stereotipata e fantasiosa.
La presenza del serpente, in The Cobras solo evocata, si fa concreta in Il fiore del
deserto e, come al termine della coreografia di Ruth St. Denis i cobra sferravano un attacco
virtuale verso il pubblico, così nel film la danza si conclude con il morso mortifero del serpente a Lahmè, che non vediamo direttamente ma solo dopo, mimato dalla vittima. Secondo un’analoga logica imitativa il flauto, presente nella musica di Delibes che accompagnava The Cobras, diviene presenza fisica e ideale musica in campo nel film Cines, cosicché è lecito chiedersi se non fosse proprio quella stessa partitura ad essere utilizzata per l’accompagnamento in sala del film o addirittura sul set, durante le riprese della sequenza della “danza di morte”.
In Radha, danza dei cinque sensi, Ruth, con una certa superficialità nei confronti della veridicità storica e dottrinale, aveva fatto dell’omonima protagonista una divinità, che aveva posto all’interno di un tempio jainista, laddove secondo la tradizione indiana sarebbe invece stata una gopi (pastorella), oggetto dell’amore di Krishn, divinità indù. La trama, in circa sedici minuti di danza, narrava del percorso di conoscenza compiuto dalla dea attraverso la catarsi della danza dei cinque sensi. Le cinque danze dei sensi rispecchiavano la contaminazione di generi di cui la danza indiana creata da St. Denis si componeva: «elementi di skirt dance e un’infarinatura di balletto sentimentale – piroette sulla punta dei piedi e passi di valzer, semplici attitudes e tendu – abbellito dalle estrosità acrobatiche di una schiena e due braccia flessuose. [St. Denis] combinò questi passi in frasi di movimento
553
Ted Shawn, Every Little Movement. A Book about François Delsarte, New York, Dance Horizons, 1974, pp. 34-35, cit. in E. Randi, Il magistero perduto di Delsarte…, p. 182.
171 brevi, punteggiate da pose. Le stesse pose tradivano la loro provenienza eclettica, sia dalle icone orientali che dalle immagini popolari dell’epoca tardovittoriana»554
.
Similmente, una fantasiosa commistione di passi di danza accademica (port de
bras, tendu, passé-développé, ecc.) e supposti movimenti di danza orientale intrisi di
delsartismo (le volute disegnate dalle braccia, il passo saltellante, il giro facendo perno su di un piede e spingendosi con l’altro, ecc.), si ravvisa anche nella coreografia ballata da Gianna Terribili-Gonzales, che – come Ruth St. Denis in Radha – danza a piedi nudi. Caratterizzava la danza di Radha il fluire ininterrotto di pose o atteggiamenti, tra le quali si distinguevano alcune di maggiore durata, a chiusura di certe sezioni della coreografia. Alcune di queste pose erano citazioni tratte dall’iconografia classica dei templi del Sud