Modernismo coreutico
IV.3. a Salomè, l’Oriente, la danza moderna
Il mito di Salomè ha origine nella narrazione biblica473. La fabula narra che fu una principessa giudaica (14ca. – 62/71 d.C.), figlia di Erodiade e di Erode Filippo e protagonista dell’episodio evangelico della morte di san Giovanni Battista.
468 Gaylyn Studlar, Out-Salomeing Salome, in Matthew Bernstein, Gaylan Studlar, a cura di, Visions of the
East: Orientalism in Film, New Brunswick (New Jersey, USA), Rutgers University Press, 1997, p. 106.
469 P. Veroli, Loïe Fuller, cit., pp. 200-201. 470
Gustave Moreau presentò al Salon del 1876 il dipinto Salomé dansant devant Hérode e l’acquarello
L’apparition, descritti con dovizia di particolari nel quinto capitolo del romanzo Controcorrente (À rebours)
di Joris Karl Huysmans (1884) .
471 Stéphane Mallarmé tra il 1864 e il 1867 compose un poema narrativo intitolato Hérodiade, dedicato alla
vicenda biblica di Salomè. Vd. anche infra, pp. 117-118.
472
Vd. supra, pp. 139 e sgg.
144
Nei Vangeli di Marco e Matteo, viene menzionata solo come “figlia di Erodiade”; mentre è lo storico Giuseppe Flavio (nel I secolo d.C.) a darle il nome di Salomè nelle
Antichità Giudaiche (XVIII, 136-137), in cui l’autore si dilunga nella presentazione della
vicenda storica della principessa, pur non accennando né alla danza né alla decapitazione. Del resto alla danza non alludono neanche i Vangeli. L’unico riferimento coreutico che possa in qualche modo ricollegarsi alla vicenda della figlia di Erodiade sarebbe allora quello narrato da vari autori latini (Cicerone, Livio, Seneca e Plutarco): la storia del governatore della Gallia Lucio Flaminino (o Flaminio) che, durante un sontuoso banchetto, fece decapitare un condannato che aveva insultato la sua cortigiana favorita in seguito alla danza oscena che che quest’ultima aveva ballato con il governatore stesso. La fanciulla aveva poi chiesto che la testa decollata le fosse portata sul tavolo del convito.
La storiografia della vicenda di Salomè (per la quale il riferimento più attendibile è quello all’opera di Giuseppe Flavio) parla della «figlia di Erodiade ed Erode Filippo (fratellastro di Erode Antipa), [che] fu fatta sposare con suo zio Filippo, e poi, rimasta presto vedova, si risposò con il re Aristobulo, divenendo regina della Bassa Armenia»474. Il mito composito racconta invece della relazione peccaminosa di Erodiade con il cognato Erode Antipa, tetrarca di Galilea e di come l’unione adulterina fosse stata apertamente condannata dal profeta Giovanni Battista. In seguito a tale condotta il re lo aveva fatto imprigionare e poi decapitare, per soddisfare il desiderio della giovane Salomè, in premio alla danza da lei offerta a Erode e i suoi convitati, durante un banchetto. I passi del Vangelo che riferiscono la vicenda, limitano la menzione della danza all’espressione «saltavit et placuit», ma dobbiamo paradossalmente ai Padri della Chiesa, San Giovanni Crisostomo e San Gerolamo,475 se il personaggio nel corso dei secoli è divenuto un paradigma artistico-letterario frequentatissimo. Essi infatti vollero farne lo stigma della lussuria fondendo in un unico personaggio madre e figlia e creando attraverso la figura di un’«adolescente isterica e ninfomane l’epitome della donna quale strumento del diavolo»,476 ma aggiunsero anche alla concisa narrazione evangelica la danza del ventre o danza dei veli e «i gesti eroticamente convulsi di una baccante in delirio»477. Poprio quella danza di seduzione ne avrebbe segnato la longeva fortuna artistica e letteraria. Durante il Medioevo ulteriori leggende si fusero col nucleo evangelico arricchendo il racconto di
474 Claudia Corti, La luna rossa e il sole nero. Mito e rito nella Salomè di Oscar Wilde, in Delia Gambelli,
Fausto Malcovati, a cura di, La scena ritrovata. Mitologie teatrali del Novecento, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 135-159.
475 Giovanna Silvani, Il cerchio di Narciso, Napoli, Liguori, 1998, p. 85. 476
C. Corti, La luna rossa e il sole nero…, cit., p. 138
145 particolari spuri ed il tema giudaico-cristiano nel tempo si è ibridato anche con un sostrato religioso di origine celtica: il poema germanico Reinardus Vulpes, del XII secolo, in cui la fanciulla protagonista viene infine uccisa dalla tempesta scatenata dall’ultimo respiro del martire. La tradizione del mito ha conosciuto poi una battuta d’arresto durante il Rinascimento e ancora nel Seicento e nel Settecento, fino alla pubblicazione del testo drammatico Johannes der Vorlaufer, del teologo svizzero Leonard Meister (1793) in cui è Erodiade che tenta di sedurre Giovanni, mentre Salomè chiede la testa mozza del profeta per giocarci478.
Intorno alla metà dell’Ottocento il mito della danzatrice maledetta conobbe una rinnovata fortuna: il poeta romantico Heinrich Heine trasse ispirazione dalla vicenda biblica per il canto XIX del poema narrativo Atta Troll (1841): qui, come in molte altre versioni letterarie del mito, le figure di Erodiade e Salomè si sovrappongono. Alla versione di Heine s’ispirò lo stesso Mallarmé per il poema Hérodiade479
e questa variante ibrida del personaggio torna anche nella già citata novella di Gustave Flaubert (Hérodias, 1877)480.
Hérodiade (prima rappresentazione Bruxelles, Théâtre de la Monnaie, 19 dicembre 1881)
è anche il titolo dell’opera musicata da ules Massenet, il cui libretto Paul Milliet e Henri Grémont (Georges Hartmann), trassero dalla novella di Flaubert.481
Joris Karl Huysmans, nel suo romanzo À rebours (Controcorrente, 1884),fornisce una minuziosa descrizione dei due dipinti di Gustave Moreau esposti al Salon del 1876:
Salomé dansant devant Hérode482 e l’acquerello dal titolo L’apparizione483. L’autore definisce la Salomè di Moreau «la deità simbolica dell’indistruttibile Lussuria, la dea dell’immortale Isteria, la Bellezza maledetta, scelta fra tutte per la Catalessi che le irrigidisce le carni e le inturgidisce i muscoli»484.
Nel 1886 Jules Laforgue pubblicò sulla rivista La Vogue la sua opera ironica
Moralité légendaire, in cui delineava una sorta di parodia del testo di Flaubert e di quello
di Mallarmé: «Laforgue rielabora il mito in chiave satirica, definendo la sua eroina con i
478 Ivi, p. 140.
479 Cfr. Stéphane Mallarmé, Hérodiade (1864 - 1867), ora in [Stéphane] Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura
di Bertrand Marchal, cit., pp. 17-22; 85-89. Anche in Stéphane Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura di Henri Mondor, Georges Jean-Aubry, cit., pp. 41-49.
480 Vd. supra, pp. 139-141.
481 Cfr. Piero Gelli, a cura di, Dizionario dell’Opera 008, edizione aggiornata da Filippo Poletti, Milano,
Baldini Castoldi Dalai editore, 2007 (1ª ed.: 2005), pp. 620-622.
482 Gustave Moreau, Salomé dansant devant Hérode (o Salomé; 1874-76), Olio su tela, 144 x 103,5 cm, The
Armand Hammer Collection; UCLA at the Armand Hammer Museum of Art and Cultural Center, Los Angeles, CA, AH.90.48, [Cat. 63].
483 Gustave Moreau, L’apparizione (1876), Acquerello, 106 x 72,2 cm, Parigi, museo del Louvre,
dipartimento delle Arti grafiche, fondo del museo d’Orsay, RF 2130, Recto.
146
toni della caricatura e attribuendole le caratteristiche di un’intellettuale nevrotica, appassionata di astronomia e costantemente in preda allo spleen»485.
Alla figura di Salomè dedicarono inoltre dei componimenti poetici, esponenti del decadentismo come Albert Samain (1893) e Theodor Wratislav (1894); mentre lo scrittore Marcel Schwob in Il libro di Monella (1894) racconta di una Morgana alla ricerca del proprio Graal, che si trasforma in una maliarda assassina dopo aver trovato nel palazzo di Salomè il piatto di rame che contenne la testa del Battista486. Arriviamo così a Salomè di Oscar Wilde, la celebre versione teatrale in un atto che l’autore scrisse per il Théâtre d’art di Paul Fort e destinata all’interpretazione - mai avvenuta - di Sarah Bernhardt. Il dramma fu dapprima pubblicato in Francia nel 1893, mentre l’anno seguente uscì nella versione inglese (il testo fu tradotto da Lord Douglas) corredata delle celebri illustrazioni di Aubrey Beardsley. La prima rappresentazione avvenne il 12 febbraio del 1896 al teatro dell’Oeuvre di Parigi, con l’interpretazione di Aurélien-Marie Lugné-Poë (Erode) e Lina Munte (Salomè), mentre l’autore si trovava in prigione. A partire da quel momento andò crescendo il successo di quel testo e della versione del mito che veicolava. In Inghilterra per la pubblica rappresentazione dell’opera si dovrà invece attendere il 1931487, quando finalmente si sarà esaurita l’eco dello scandalo suscitato dal processo per sodomia cui fu sottoposto Wilde proprio negli anni in cui l’opera veniva pubblicata488. Al dirompente testo wildiano sarebbe poi succeduta la trasposizione operistica di Richard Strauss (Dresda, 1905).
In questa temperie di fine Ottocento s’inserisce anche il lavoro di Loïe Fuller, che all’eroina maledetta intitolò due diversi spettacoli. Nel 1892, quando giunse a Parigi per danzare la sua Serpentina esordendo sul palco delle Folies-Bergère, la capitale francese era nel pieno della “salomania”, alimentata dall’espansione imperialista di fine Ottocento e dalla concomitante fascinazione per tutto ciò che riguardava l’Oriente, dal giapponesismo dilagante al Medioriente “promosso” dai Ballets Russes e dalla moda femminile. Per Loïe dovette pertanto avvenire naturalmente il passaggio dalla sua peculiare danza dei veli allo
485 G. Silvani, Il cerchio di Narciso, cit., p. 89.
486 Eva Di Stefano, Klimt: Le donne, allegato a «Art e Dossier», n° 161, Firenze-Milano, Giunti, 2000, p. 15. 487 Il dramma era infatti dapprima stato censurato a Londra, in base a una vecchia legge che vietava di
mettere in scena personaggi biblici.
488
Oscar Wilde, Salomè, a cura di Alberto Arbasino, Milano, BUR, 2006, [1ª ed.: Salomé: drame en un acte, Paris, Librairie de l'art indépendant, 1893], p. 17.
147 spettacolo di Salomè: «Salome was the feminine creature that seemed to Fuller the emblem of her destiny as a veil dancer»489.
Il primo spettacolo intitolato alla figura della danzatrice biblica andò in scena al teatro parigino de La Comédie Parisienne il 4 marzo 1895. Loïe commissionò il libretto ad Armand Silvestre e C.H. Meltzer, la musica a Gabriel Pierné e le scene al pittore orientalista Georges-Antoine Rochegrosse. Realizzò una «“pantomimica lirica” in un atto e cinque quadri»490, che alternava alle sequenze mimiche cinque danze, delle quali soltanto la Danse du soleil (poi Danse du feu) e la Danse du lys491 sarebbero sopravvissute come cellule autonome in spettacoli successivi. Si trattava di due nuove varianti della Serpentina, che Loïe avrebbe riproposto anche in occasione dell’Esposizione Universale parigina del 1900, insieme ad altre coreografie. La Danse du lys era il primo assolo dello spettacolo, che avrebbe presto riproposto come Le Lys du Nil, ampliando ulteriormente il costume e caricando il titolo di una connotazione orientaleggiante:
ce n'est pas que Loïe Füller emprunte incontinent les dehors de la plante; en premier lieu, dans sa blancheur immaculée, sur le piédestal qui la hausse et démesurément l'agrandit, elle semble plutôt quelque archange lorsqu'un lent geste d'essor disjoint et éploie la voilure de ses larges ailes; mais, dès que l'élan plus rapide vrille et ourle la gaze soulevée, l'aspect se mue et l'arabesque des lignes imite, parmi l'évasement d'une corolle, un lis gigantesque; autour du pistil que figure le corps même de la danseuse, les pétales gravitent, s érigent et composent un mouvant calice […].492
Una variante della Serpentina dunque, al servizio del mito simbolista della donna- fiore, altra ossessione degli artisti fin-de-siècle. La Danse du feu, ennesima variazione sul tema, costituì il climax di quel primo allestimento. Per essa la Fuller aveva appositamente ideato e brevettato (1893) un nuovo apparato scenografico, costituito da una piattaforma di cristallo con dei fori attraverso i quali dovevano filtrare fasci di luce colorata per illuminarla dal basso493.
489
G. Lista, Loïe Fuller danseuse de la Belle Époque, cit. in Rhonda K. Garelick, Electric Salome. Loie
Fuller’s Performance of Modernism, Princeton (New Jersey, USA) Princeton University Press, 2007, pp. 90-
92.
490 Cfr. Richard N. Current, Marcia Ewing Current, Loie Fuller. Goddess of Light, Boston, Northeastern
University Press, 1997, cit. in P. Veroli, Loïe Fuller, cit., p. 193.
491 Le altre erano la Danse noire, la Danse blanche e la Danse de la rose. Cfr. P. Veroli, Loïe Fuller, cit., p.
189.
492 Roger Marx, Une rénovatrice de la danse, in Id., L’Art social, Bibliothèque Charpentier, Paris, 1913, p.
230.
493
Cfr. Loïe Fuller, Nuovo genere di messinscena con illusioni ottiche, specificamente destinate alla danza
148
Dapprima si vedeva sorgere dalle ombre un pallido fantasma che si agitava nei riflessi bluastri e freddi dell’alba. Poi apparivano i raggi rosati del sole […]. I movimenti della danzatrice si accelerarono, un fuoco distante sembrò avvicinarsi: eccolo concentrarsi su di lei. Poi la visione fiammeggiante sembrò accendersi all’interno. Diventò un oggetto luminoso e mentre il teatro attorno a lei si riempiva di tenebre, lei eretta ardeva dalla testa ai piedi come una torcia. Ognuno dei suoi movimenti era uno scoppio di fiamme e i veli emettevano scintille […] mai fiamme più splendenti illumineranno il trionfo di un’artista e quando, nella sua fornace, la danzatrice crollò sotto i suoi veli, per un’ultima raffinatezza sulle stoffe che ancora le palpitavano sopra si coglieva la scintilla dell’ultimo focolaio di un raggio purpureo che risplendette ancora per un istante prima che la notte circondasse lo spettacolo che da lei era emerso.494
Lo spettacolo si rivelò un completo fallimento: in uno spazio ristretto, in cui la distanza tra performer e spettatori era ridotta ai minimi termini, e indossando un abito aderente, la “fata della luce” si rivelava in tutta la sua deludente realtà. Ma ciò che decretò il completo fallimento della rappresentazione, al di là dell’aspetto prettamente visivo, si trovava a monte dell’allestimento, nell’adattamento del mito da parte della Fuller. Bypassando completamente l’aura maledetta che circondava il personaggio biblico e che individuava nella sensualità e nella lussuria latente il suo fascino misterioso, Loïe volle farne un’adolescente casta e pietosa, privando così il mito e la sua protagonista di tutto ciò che ne aveva fatto la fortuna attraverso i secoli. In tutte le versioni precedenti, la costante che nonostante le variazioni non era mai venuta a mancare, era infatti l’associazione tra desiderio e danza e il fatto che quest’ultima conduceva alla morte del Battista. Nell’adattamento della Fuller del 1895, invece, Salomè danza per commuovere Erode alla salvezza di Giovanni Battista anziché alla sua condanna, ma Erode irremovibile ordina comunque l’esecuzione e Salomè, insofferente alla morte di Giovanni, muore per amore come la più svenevole delle eroine romantiche. «In Fuller’s hands, Salome, that classic tale of dance, desire, and death, became a morality tale, and one of the most famous Oriental
femme fatales in history a would-be Christian martyr»495.
Sia nella rappresentazione del 1895 che nella successiva ripresa delle coreografie “del fuoco” e “del giglio” all’Esposizione Universale del 1900, la Salomè virginale e disincarnata, refrattaria alla violenza, messa in scena dalla Fuller, altro non era che un compromesso tra la bellezza eterea ed evanescente della Serpentina e la femminilità seducente, misteriosa e volitiva rappresentata dal personaggio biblico. In altre parole
494 Pierre Roche, Une artiste décorateur. La Loïe Fuller, in «L’Art Décoratif», X, 1907, p. 167, cit. in P.
Veroli, Loïe Fuller, cit., p. 209.
149 nell’allestimento del 1895 Loïe “porta” Salomè alla Fuller, anziché il contrario. Adatta il personaggio all’interprete, o meglio all’immagine di sé promossa da giornalisti come Roger-Marx che ne avevano fatto una figura mistica, magnificandone l’immagine idealizzata di una danzatrice casta ed eterea496. «The result was a modernist spectacle that ostensibly refused the power of narrative, Orientalism, and sexuality, while being, at the same time, deeply informed by all three»497.
Ciò si pone in netta contrapposizione con il successivo allestimento della pièce. Il 9 novembre 1907 Loïe mise in scena al Théâtre des Arts La tragédie de Salomé, con il libretto di Robert d’Humières e la partitura di Florent Schmitt. La rappresentazione si componeva di due atti e sette quadri e comprendeva sei danze:
la Danse des perles, eseguita all’interno di un duetto con Erodiade, in cui le venivano drappeggiate attorno al corpo reti di perle, la Danse du paon, interpretata davanti a Erode e alla Regina con addosso un lungo costume intessuto di quattromila e cinquecento piume di pavone, e la Danse des
serpents, in cui, ricoperta di scaglie verdi, giocava con lunghi serpenti di
cartapesta che strisciavano sulla scena «scuotendo orribilmente la testa», mentre lei saltellava con gran vivacità attorno a loro. Nella Danse de l’acier che seguiva, era illuminata da raggi di luce fredda mentre si muoveva nella penombra. Nella lasciva Danse de l’argent Loie, vestita di teli d’argento e d’oro decorati di pietre scintillanti, seduceva Erode che le strappava i veli denudandola. Giovanni accorreva a coprirla, veniva catturato e ucciso. Infine la
Danse de la peur. […] «un boia di pelle nera appare con la testa di Giovanni su
un piatto. Salomè la prende, danza e poi, improvvisamente colta dall’orrore, getta la testa nel mare, che risplende di un colore rosso sangue. Salomè cade a terra svenuta. Si alza una tempesta e in una saetta la testa di Giovanni appare a Salomè. Questa, la Danza della paura, è stata la più straordinaria […] Ovunque lei andasse, la testa del profeta era davanti a lei»498.
Lo spettacolo prevedeva l’uso di un apparato scenotecnico grandioso, comprensivo di 650 lampade e 15 proiettori499. Parte di una messinscena parossistica erano anche le mise della protagonista: qui Loïe metteva in scena una femminilità eccessiva, “da drag queen” come ha audacemente sostenuto Ann Cooper Albright. A differenza della casta Salomè protagonista dell’allestimento del 1895, quella del 1907 – pur non essendo neanche in questo caso il mandante dell’esecuzione di Giovanni – recupera lo stereotipo orientalista
496
Cfr. Ivi, p. 101.
497 Cfr. Ivi, p. 103.
498 P. Veroli, Loïe Fuller, cit., p. 219. Le due citazioni interne sono tratte da R.N. Current, M. Ewing Current,
Loie Fuller. Goddess of Light, cit., p. 180, cit. in P. Veroli, ibidem.
499 Margareth Haile Harris, Loïe Fuller: Magician of Light, Richmond, Virginia Museum Exhibition
Catalogue, 1979, p. 22, cit. in Ann Cooper Albright, Traces of Light. Absence and Presence in the Work of
150
carico di mistero e desiderio. Come se ciò avesse consentito a Loïe di (s)velare la propria omosessualità offrendole l’opportunità di impersonare «a powerfully sexual character»500. In questo senso i costumi e il trucco esagerati sono il segno di una femminilità esibita e posticcia, “da drag queen” giustappunto:
what Fuller shared with her audiences in her 1907 performances of Salomé was a passionate vision of an (older) woman enthusiastically acting out – making a spectacle of herself – by performing dances of lust and loss in the middle of a (spot)light of her own invention. These acts of passion served to disrupt Fuller’s “chaste” image, showing the world that she could, indeed, play her femininity with a vengeance501.
Come già le innumerevoli versioni della Serpentina eseguite dalle più o meno capaci imitatrici della Fuller, anche la danza di Salomè, carica del portato orientalista di cui si faceva epitome, trasfuse le proprie sinuose movenze nel cinema coevo. Secondo Gaylyn Studlar la trasposizione dell’icona biblica nel cinema comportò una reinterpretazione della stessa come “vamp orientalizzata”, figura femminile dominante, alter ego della New Woman emergente. In altre parole le istanze della donna contemporanea volte al raggiungimento di una maggiore indipendenza fisica e sessuale trovarono spazio d’espressione nella topografia di un Oriente spesso in gran parte inventato502
, incarnate dall’archetipo femminile della vamp – la donna-vampiro, femme fatale distruttrice – emerso nel cinema dei primi anni Dieci.
Nella produzione italiana è Ugo Falena a recuperare per primo, chissà quanto consapevolmente, la lezione fulleriana, affidando il ruolo della “vamp orientalizzata” Salomè a Vittorina Lepanto, la cui corporatura robusta non a caso non appare così distante da quella della danzatrice americana. Il suo film Salomè503 contiene infatti la fatidica sequenza della “danza dei sette veli”, che Wilde stesso lasciava alla fantasia del metteur en
scène, riconoscendone la natura intrinsecamente visiva504.
500
Ann Cooper Albright, Traces of Light, cit., p. 141.
501 Ivi, p. 143.
502 G. Studlar, Out-Salomeing Salome, cit., pp. 115-125. Cfr. anche Anna Lisa Balboni, La donna fatale nel
cinema muto italiano e nella cultura tra l’Ottocento e il Novecento, Vespignani Editore, Castrocaro Terme
2006, pp. 82-88.
503 Titolo copia: Salomè, lunghezza originale: 285m, lunghezza copia (nitrato, 35 mm) Cineteca del Friuli
(Gemona): 225m. Durata della versione digitalizzata ricavata da tale copia: 07’ 56’’. Da un confronto fra tale copia e il testo dell’omonimo dramma teatrale di Oscar Wilde (1893), cui il film si attiene fedelmente, si deduce la mancanza dell’ultimo quadro.
504
Il testo di O. Wilde non descrive la danza di Salomè; l’unico riferimento è: «Salomé dances the dance of the seven veils», Cfr. Oscar Wilde, Salomè, cit., p. 134.
151 Nel film di Ugo Falena, la scena di danza dura complessivamente circa un