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Isadora Duncan e la lezione greca

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 130-138)

Modernismo coreutico

IV.2 Isadora Duncan e la lezione greca

Il costume di scena fu al centro delle riflessioni anche di Isadora Duncan, pioniera della danza moderna e per un breve periodo allieva della Fuller, che ai primi del Novecento propose la sua personale rivoluzione coreutica, la quale prevedeva l’impiego di una tunica “alla greca”, che lasciasse il corpo libero di esprimersi in modo naturale, non più costretto dal busto del tutù: «sbarazzandosi del rigido corpetto e delle scarpine a punta, il corpo doveva ritrovare l’assoluta bellezza della nudità»410

. Quella del recupero di un abbigliamento all’antica era una tendenza che si andava diffondendo trasversalmente nella cultura occidentale dei primi anni del secolo. Ciò fu dovuto sia alla riforma dell’abbigliamento femminile in corso “per la salute della donna” – la Healthy and Artistic Dress Union di Londra si schierò a favore di un abito sul modello greco-antico411 – sia alla straordinaria scoperta di Schliemann, l’archeologo tedesco che negli anni settanta dell’Ottocento aveva scoperto i resti di Troia, Micene e Tirinto, riportando così quelle civiltà prepotentemente “alla ribalta”.

Nell’ambito della moda femminile fu Mariano Fortuny, artista catalano attivo a Venezia, a riscoprire il modello del chitone greco rivisitandolo in una moderna tunica, il “Delphos”, cui aggiunse la sciarpa “Cnossos” (1907), in omaggio alla riscoperta della civiltà minoica e agli scavi condotti a Creta dall’archeologo inglese Arthur Evans412. Anche Madeleine Vionnet, alla ricerca di un modello di abbigliamento per la donna moderna, si rivolse all’iconografia della Grecia antica, realizzando abiti innovativi dal gusto arcaico, basati sul concetto del drappeggio:

410 P. Veroli, Baccanti e dive dell’aria…, cit., p. 123. 411

E. Morini, Storia della Moda…, cit., p. 205.

129 Vionnet ricominciò da capo, tornando all’antico abito mediterraneo e lavorando con il tessuto senza tagliarlo secondo [le] forme del corpo, ma montandolo in maniera tale che potesse seguire autonomamente le fattezze corporee. Una delle sue prime realizzazioni in questa direzione fu un modello composto di quattro quadrati di tessuto utilizzati in diagonale e sospesi alle spalle con uno spigolo per ciascuno […]. Il risultato era una specie di chitone greco con una caduta del tutto nuova, che aderiva al corpo senza richiedere nemmeno la fitta plissettatura che Fortuny aveva brevettato pochi anni prima, ma lo faceva naturalmente per il semplice effetto dell’elasticità e del peso della stoffa usata in sbieco. Una cintura annodata in vita era il massimo intervento di costrizione413.

Probabilmente Madame Vionnet risentì sia della battaglia dell’unione britannica, che delle idee della Duncan414, la quale era solita presentarsi in scena «senza gioielli, senza busto, senza scarpette, le linee libere del corpo e la pelle nuda visibili sotto una semplice tunica alla greca, i movimenti senza alcun genere di virtuosismo, solo tesi all’eloquenza, sorgenti dalla vita invece che da una convenzione fissata, e proclamanti la pienezza della convinzione emotiva con un’elevazione di stile che trasformava la verità personale in una sorta di universalità eroica».415

In antitesi alla tradizione accademica che comprimeva il corpo delle ballerine in corsetti e scarpe da punta, la danzatrice promossa da Isadora rinnegava quella tecnica coreutica come innaturale e indossava morbidi pepli, danzando scalza, compiendo movimento semplici e quotidiani come passi, brevi corse e saltelli. Il testo La danza del

futuro, scritto intorno al 1902-1903 in occasione di una conferenza tenuta da Isadora al

Circolo della Stampa di Berlino nel 1903416, costituisce una sorta di manifesto di poetica, o meglio di coreutica, della danzatrice americana. Qui Isadora esalta i movimenti del corpo nudo come i soli veramente naturali, suggerendo in tal modo che la scelta del costume riformato alla maniera greca, più aderente al corpo senza costringerlo, fosse finalizzata ad avvicinare quanto più possibile quell’ideale di corporeità e di movimento. Al contrario, nel balletto classico il ricorso ad un abbigliamento scomodo e movimenti innaturali è responsabile della deformazione dello scheletro. Nel testo ella stigmatizza infatti la scuola del balletto accademico come foriera di un tipo di movimento sterile perché innaturale, in quanto studiato per contrastare la forza di gravità e contro la natura dell’individuo. La

413 Ivi, p. 208. 414 Ivi, p. 206.

415 John Martin, Isadora Duncan: la danza, in E. Casini Ropa, Alle origini della danza moderna, cit., p. 148. 416 Poi ripubblicato nello stesso anno (1903) da Diederichs Verlag, il testo uscì per la prima volta negli Stati

Uniti nel 1909. Cfr. Isadora Duncan, L’Arte della Danza, a cura di Eleonora Barbara Nomellini e Patrizia Veroli, Palermo, L’Epos, 2007, p. 76.

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gestualità e i passi della danza libera da lei proposta dipenderanno invece dalla forma del corpo, per cui ciascun danzatore elaborerà il proprio movimento, diverso da quello di ogni altro. In questo contesto il riferimento alla pittura vascolare e dei bassorilievi della Grecia Antica è finalizzato alla ricerca del movimento primigenio, supposto naturale, in cui da ogni gesto scaturisca il successivo; un movimento che sia il risultato di un rapporto armonico tra corpo e anima417. Non pedissequa imitazione della danza antica, ma ispirazione a quel modello per trarne la lezione di armonia del movimento che sottintende.

Sebbene nel pensiero della Duncan scompaiano i tratti della dottrina delsartiana intrisi di religiosità, tuttavia ella ne conserva le tesi fondamentali, pur non dichiarandone esplicitamente una diretta derivazione. Come il musicista e teorico francese, anche Isadora crede fermamente che la dinamica debba essere sincera manifestazione dell’anima, pena la creazione di un movimento sterile o insignificante, quale si profila invece quello del balletto, esecrato dalla Duncan come da Delsarte. Il movimento “sincero” auspicato, sorge per entrambi dal plesso solare418.

Anche il cinema, attenta specola della contemporaneità, risente della fascinazione per la Grecia antica attraverso la danza. Si riscontrano cioè, nella produzione italiana del muto di cui qui ci occupiamo, casi in cui è quella suggestione iconografica a delinearsi attraverso la gestualità del modernismo coreutico principalmente riconducibile alla concezione di movimento applicata da Isadora Duncan, giunta a Roma nel 1912, quando si esibì al Teatro Costanzi in alcuni spettacoli che ottennero un grande successo, senza tuttavia dar adito ad una tournée. Vediamo dunque alcuni esempi significativi di questa casistica cinematografica italiana.

In Rapsodia satanica419 le occorrenze della danza sono tre. La prima si verifica nella sequenza dell’incontro tra la contessa Alba d’Oltrevita e i due fratelli Tristano e Sergio: nel parco in cui si conoscono, durante una sorta di festa della primavera, ragazze e ragazzi descrivono girotondi e girandole scorrazzando da una parte all’altra in modo estemporaneo. Alla fine della prima parte, durante il ricevimento nel corso del quale Sergio si toglie la vita, alcuni invitati ballano insieme ad Alba una danza in forma circolare, sostanzialmente un girotondo con semplici incroci dei piedi e un’inversione della direzione del giro. In questa sequenza Lyda Borelli appare vestita come una Salomè (Fig. 25), in una

417 Isadora Duncan, La danza del futuro, ora in. Id., L’Arte della Danza, cit., pp. 67-76. 418 E. Randi, Il magistero perduto di Delsarte…, cit., pp. 182-184.

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Rapsodia satanica, regia di Nino Oxilia (Cines, 1917). Lunghezza originale 905m. Lunghezza copia consultata (Cineteca italiana): 850 m (35 mm. nitrato).

131 toilette simile a quella con la quale era apparsa in Ma l’amor mio non muore! (1913), il film del suo trionfale esordio cinematografico, che segnò anche l’avvento del “diva film”. Entrambe le mise derivano a loro volta da quella da lei indossata in occasione dell’interpretazione teatrale di Salomè per la compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, con Ruggero Ruggeri primo attore che per lei allestì nel 1909 il dramma omonimo di Wilde (Salomé, 1893)420 (Fig. 26).

La terza ed ultima danza è quella finale: l’abbandono all’amore di Alba prende la forma di una rarefatta danza dei veli421. Indossato un velo che si pone sul volto con fare rituale (la vediamo contemporaneamente in primo piano e in piano americano grazie a un sapiente gioco di specchi)422, Alba si produce in una sorta di passeggiata lenta e solenne attraverso il parco, ripresa in diversi tagli, dalla figura intera al primo piano, all’effetto primo piano423. Parlare di danza in questo caso potrebbe apparire una forzatura, ma a cifrare coreuticamente questa sequenza non è tanto ciò che vediamo sullo schermo, quanto piuttosto quello a cui rimanda: l’abito lungo di tessuto velato simile nella foggia a una “tunica alla greca”, il lungo velo con cui si cela il volto, la posa fuggevole nella quale si lascia cogliere per pochi istanti e che assurge a metonimia di tutta la danza, rinviano al modello della danza libera di Isadora Duncan (Fig. 27). Il ventre proteso in avanti, le braccia aperte e stese all’indietro come ali spiegate, il volto coperto dal velo a simulare la mancanza della testa, ricalcano le linee della Nike di Samotracia (II sec. a. C.), statua acefala oggi conservata al museo del Louvre di Parigi, topos della prima danza moderna e posizione ricorrente nelle danze di Isadora, a giudicare dalle numerose rappresentazioni pittoriche che la ritraggono proprio in questa posizione424.

Angela Dalle Vacche ha invece individuato nella coreutica di Loïe Fuller il modello sotteso alla “danza” di Lyda Borelli nel film: «Mindlessly seductive, the diva enjoys dancing as much as Salome does, without thinking about the effect of her actions. In the second half of the narrative, however, as soon as Borelli rebels against the devil’s influence, she embraces a completely new role model, the famous American dancer Loie Fuller»425. Ritengo tuttavia che in questo caso essendo la danza sostanzialmente riducibile

420 C. Jandelli, Le dive italiane del cinema muto, cit., pp. 97-98. 421

Ivi, p. 137.

422 È la sequenza introdotta dalla didascalia: «Si velò sacerdotessa dell’amore e della morte»

423 Effetto primo piano: «deriva da un attraversamento profilmico della profondità da parte di un soggetto che

si avvicina alla macchina da presa.», Cfr. Giulia Carluccio, Verso il primo piano. Attrazioni e racconto nel

cinema americano 1908-1909: il caso Griffith-Biograph, Bologna, Clueb, 1999, p. 63.

424

Patrizia Veroli, Una pioniera del modernismo, in Isadora Duncan, L’Arte della Danza,. cit., pp. 43,52.

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a una camminata durante la quale si individuano alcune “pose” statuarie, il principale riferimento sia piuttosto la gestualità tipica della Duncan; si noti inoltre che l’abito della Borelli somiglia molto a un lungo peplo, come la tunica “alla greca” con cui era solita danzare la Duncan.

In L’invidia426 sono contenute quattro scene di danza, la prima delle quali – interpretata da Francesca Bertini nella parte della ballerina Lelia di Santa Cruz – è intrisa del modernismo coreutico greco-connotato ascrivibile al pensiero della Duncan.

Nella prima scena di danza del film l’attrice indossa una lunga tunica “alla greca” con due profondi spacchi laterali decorati con il classico motivo “a meandro”. Lo stesso decoro sottolinea lo scollo a barca dell’abito smanicato con spalline sottili. Una cintura con alcuni pendagli le cinge la vita e ha un diadema in testa. Completa la tenuta una lunga stola ricamata che indossa sopra l’abito. Danza a piedi nudi. Spesso si sofferma in pose bidimensionali a imitazione dei bassorilievi greco-antichi427. Nella sequenza di cui questa scena fa parte, il conte di Monfiore (Livio Pavanelli) visita un teatro di Varietà di Parigi, dove assiste a un’esibizione di Lelia.

La scena di danza ha inizio al min. 02’:09’’ e si protrae fino al min. 04:14. Inq. 1, campo lungo: palcoscenico visto frontalmente, a sipario chiuso.

Inq. 2, piano americano: ingresso del palchetto. Entrano in campo da sinistra il conte e i suoi amici che si siedono all’interno del palchetto e si chiudono la porta alle spalle.

Inq. 3: un’iride si apre svelando in campo medio una porzione del palcoscenico visto frontalmente. Lelia entra in campo/scena da destra. Mantenendo una posa bidimensionale – le spalle al pubblico, il braccio sinistro poggiato sul fianco, il destro steso indietro – esegue una camminata lenta e solenne a passi cadenzati, ciascuno dei quali è compiuto poggiando a terra prima la mezza punta, poi il tallone. Delinea una traiettoria semicircolare a partire dal lato destro del quadro. A un tratto esce dal quadro a sinistra, quindi rientra in campo dallo stesso lato ma quando riappare ha cambiato posa: di spalle rispetto al pubblico, ora è il braccio destro che poggia sul fianco e “guida” la marcia, mentre il sinistro è steso

426 L’invidia, regia di Eduardo Bencivenga (1919). Sulla copia del film consultata è indicata come casa di

produzione la Società Anonima Leoni Films, mentre nel volume Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano -

I film del dopoguerra. 1919, cit., p. 137, è indicatata come casa di produzione la «Bertini per la Caesar-film».

Lunghezza originale 1936m. Copia consultata: NFA - Národní Filmový Archiv (Praga). Titolo copia: Závist.

Tanečnice Lelia (Invidia. La ballerina Lelia). Film ricostruito a partire da due copie nitrato colorate,

rispettivamente della lunghezza di 1478m e 1555m. Lunghezza copia (B/N): 1473,7m. Il metraggio più corto della nuova copia è dovuto al fatto che uno dei materiali di partenza contiene lunghe didascalie in tedesco. Copia con didascalie in ceco.

133 indietro. Terminato il semicerchio si volge vero il pubblico, cui poi volta nuovamente le spalle girando verso il lato sinistro del quadro per eseguire una breve corsa diretta al fondo del palcoscenico, mentre tiene tutte e due le braccia in posizione di “arabesca a braccia in opposizione”. Così facendo “disegna” al suolo un percorso immaginario a forma di “S” e, con le braccia in arabesca come detto, dispiega la lunga stola ricamata che indossa sopra l’abito.

Inq. 4, campo medio: il palchetto dove si trova il conte di Monfiore con i suoi amici, visto frontalmente.

Inq. 5, figura intera: Lelia si è tolta la stola, che ora giace ai suoi piedi. Scorgiamo però un secondo velo che indossa drappeggiato sopra l’abito (è agganciato alla spallina sinistra e al lato destro della cintura). Si dispone in una posa bidimensionale: porta le mani sulla testa mantenendo i gomiti bene allargati, il volto di profilo leggermente all’insù. Cammina quindi verso la sinistra del quadro a passi solenni e ritmati come prima. Poi indietreggia velocemente in diagonale verso il fondo della scena, con le braccia in posizione di “arabesca a braccia in opposizione”. Quando ha già percorso quasi tutta la longitudine del palcoscenico si gira verso il fondo, riporta le mani alla testa come sopra e descrive un piccolo cerchio a terra spostando il peso ora su di un piede, ora sull’altro.

Intertitolo: «Sotva ji Spatřil, vznítilo se jeho srdce požárem» (appena la vide, il suo cuore si incendiò).

Inq. 6, mezzo primo piano: il conte incorniciato da un mascherino rotondo.

Inq. 7, figura intera: Lelia danza ora in una nuova posa ieratica. Dispone le braccia alla sua sinistra: il sinistro steso, il destro che lo “insegue” similmente a quanto accade nella posizione di “arabesca con entrambe le braccia in avanti”, secondo la definizione del metodo Cecchetti. Il volto è di profilo, orientato anch’esso verso la sua sinistra. Mantenendo questa posizione si sposta verso la sinistra del quadro incrociando i piedi con i medesimi passi cadenzati. Quindi fa scivolare il braccio destro sul sinistro, mentre quest’ultimo gira il palmo della mano alternativamente verso l’alto e verso il basso e il viso si volge a sinistra del quadro per poi tornare verso destra. Poi riporta le mani alla testa; dando le spalle al pubblico compie un giro su entrambi i piedi, quindi si rivolge nuovamente verso il pubblico e la mdp. Indietreggia a piccoli passi (in una sorta di pas de

bourrée couru eseguito con i piedi paralleli), mentre rivolge le braccia al cielo con i gomiti

piegati verso il basso, in atteggiamento di preghiera come il volto. A un tratto si ferma sul fondo della scena, porta entrambe le braccia verso il suo lato sinistro. A questo punto – lo

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deduciamo dall’inquadratura di Lelia a seguire – sfila il velo chiaro che indossava, drappeggiato sull’abito, fin dall’inizio della danza.

Inq. 8, mezzo primo piano: il conte incorniciato da un mascherino rotondo.

Inq. 9, campo medio: Lelia sostiene ora il velo alla sua destra con entrambe le braccia, quindi se lo porta dietro la schiena e con uno scatto repentino corre verso il proscenio a piccoli passi con i piedi paralleli. Circa a metà del palcoscenico rallenta e solleva prima il ginocchio destro, poi il sinistro. Quindi riporta il velo davanti a sé e strattonandolo rapidamente per due volte indietreggia velocemente verso il fondo. Poi esegue un balancé laterale a sinistra volgendo le spalle al pubblico; si gira di nuovo a favore della macchina da presa ed esegue un balancé laterale a destra e uno a sinistra.

Inq. 10, piano americano: il conte e i suoi amici nel palchetto.

Inq. 11, figura intera: Lelia assume una posa bidimensionale. Il busto frontale, il volto e le gambe di profilo rivolti verso la sua destra. Il braccio sinistro è all’altezza del viso, verso la sua sinistra, con il gomito piegato verso il basso di profilo, similmente alle raffigurazioni dell’antico Egitto, mentre il braccio destro è steso in basso alla sua destra. Sostiene il velo con entrambe le braccia. Il peso poggia sulla gamba destra, mentre la sinistra è in croisé

devant a sinistra, rivolta en dedans, con il ginocchio leggermente flesso e il collo del piede

steso. Da questa posizione arretra lateralmente verso la destra del quadro. Quindi avanza di nuovo verso sinistra e ripropone la medesima posa laterale. Fa un passo indietro verso la destra del quadro, poi ne fa un secondo incrociando il piede destro sul sinistro.

Inq. 12, piano americano: il conte e i suoi amici nel palchetto.

Inq. 13, campo medio: il busto proteso in avanti, il volto velato, il braccio sinistro piegato a sorreggere il velo davanti al volto, mentre il destro è steso indietro, corre verso il proscenio. Solleva il ginocchio destro. Torna indietro correndo verso il fondo della scena. Manipolando il velo, inizia una traiettoria circolare correndo verso la sinistra del quadro, che prosegue nell’inquadratura successiva. Per muovere il velo piega alternativamente le braccia, che lo sostengono, alla sua sinistra e alla sua destra (tre volte: sx-dx-sx), assecondando così l’inclinazione del busto. Questo movimento ricorda sensibilmente quel «[bouger] les mains de droite à gauche», con cui la Fuller creava la spirale della

Serpentina428.

Inq. 14, figura intera: conclude il cerchio verso la destra del quadro muovendo le braccia come sopra (due volte: dx-sx), quindi compie due giri su se stessa verso la sua sinistra su

135 entrambi i piedi, finché cade a terra come una menade. Durante i giri il velo, che sostiene con le braccia al di sopra della testa, le si avvolge intorno al corpo. (fine della danza vera e propria al min. 03’:42’’).

Inq. 15, mezzo primo piano: il conte applaude, incorniciato da un mascherino rotondo. Inq. 16, campo lungo: il sipario è già chiuso sul palcoscenico.

Inq. 17, figura intera: Lelia sul palcoscenico con in mano un mazzo di fiori inclina il capo in segno di gratitudine per l’apprezzamento del pubblico (fuori campo) che le getta dei fiori. Mentre arretra per lasciare il palco un’iride chiude l’inquadratura.

Inq. 18, campo lungo: il sipario si chiude sul palcoscenico

Inq. 19, figura intera: il conte e i suoi amici gettano dei fiori dal palchetto.

Inq. 20, figura intera: due valletti aprono lateralmente il sipario per fare spazio a Lelia che si avvicina al proscenio per i saluti al pubblico. Ha di nuovo indosso l’ampia stola ricamata che aveva all’inizio e reclina la testa verso il pubblico (fuori campo) che le getta dei fiori, quindi indietreggia nuovamente.

Inq. 21, mezzo primo piano: il conte applaude, incorniciato da un mascherino rotondo. Inq. 22, figura intera: il conte e i suoi amici gettano dei fiori dal palchetto, quindi si alzano dalle loro poltrone.

Inq. 23, piano americano: ingresso del palchetto che il conte e i suoi amici abbandonano

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 130-138)