• Non ci sono risultati.

Feste, balli e ricevimenti La danza di società come “color locale”

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 79-93)

Emilio Ghione: l’ultimo tango, per l’ultimo apache

II.2 Feste, balli e ricevimenti La danza di società come “color locale”

Il tango e la sua variante del vals porteño rappresentano un caso particolarmente significativo, che spicca su una congerie di film in cui all’interno di feste da ballo, ricevimenti o altre occasioni consimili, la danza sociale, raramente protagonista, più spesso è responsabile della restituzione di un’atmosfera, di un contesto sociale o di un momento storico, del “color locale” in ultima analisi, inteso in un’accezione ampia dell’espressione.

Come nel caso del tango, è ancora la comica il banco di prova di questa cinematografia, dove la danza “fa da sfondo”: in Robinet ha un tic per il ballo247

, il protagonista il giorno del suo matrimonio si prepara nella propria stanza, quando sente il suono di una chitarra e non può trattenersi dal cominciare a ballare. Egli ha infatti un fastidioso tic che lo costringe a danzare ogni volta che sente una musica. Combina così

245 A. Moore, Il ballo da sala, cit., pp. 146-147. 246 M. Brunamonti, Il tango, musica e danza, cit., p. 59. 247

Robinet ha un tic per il ballo, Ambrosio, 1910. Titolo copia: Tweedle-dum dancing fits. Lunghezza originale: 126 m.

78

diversi guai: distrugge un negozio di fiori, va a sbattere addosso a un passante e rovina persino la propria cerimonia di nozze. Qui la danza è priva di un disegno coreografico, ridotta al saltellare indiavolato e irrefrenabile di Robinet, che si muove scomposto come in preda a delle convulsioni. Per esasperare l’effetto del dannoso tic del protagonista, nel parossistico ritmo della danza finale, le immagini scorrono a una velocità maggiore. Gli ultimi due quadri mostrano alcuni pentagrammi e delle note che si dispongono al di sopra di essi, fuoriuscendo da una tromba, finché non compare lo stesso Robinet in sovrimpressione che fa delle smorfie.

Ciò che conta in questo caso non è la coreutica in sé, che potrebbe essere una qualunque danza di società e che qui costituisce soltanto il referente cui alludono i movimenti convulsi di Marcel Fabre, quanto piuttosto il fatto che la danza sia la vera protagonista della comica, per mezzo di Robinet. Essa costituisce il motore dell’azione, la

conditio sine qua non dell’intero film, configurandosi pertanto come un elemento diegetico

imprescindibile. Eppure il ballo è, qui come non mai, in primo luogo un’attrazione: la sguaiata ed esagerata danza di Robinet, infatti, è puro spettacolo del movimento. A dimostrazione di questo si valuti il fatto che il curioso tic del nostro eroe innesca l’azione e dunque lo sviluppo della trama, senza che poi vi sia un vero e proprio sviluppo narrativo: la storia è la danza e vice versa; l’interesse della visione sta tutto lì.

Nei film in cui il ballo da sala costituisce un mero fondale sul quale si dispone la storia, spesso la danza è letteralmente relegata nello sfondo, fatta di minuscole figure che si muovono nella profondità di campo, distinguibili quel tanto che basta a tracciare i contorni dell’occasione mondana del caso, come per la festa in maschera appena visibile nella comica In assenza dei padroni248.

Altrove, pur non essendo il soggetto principe dell’inquadratura, la danza si trova suo malgrado a fare da protagonista. È questo il caso de Il bacillo della debolezza249, breve comica del 1912 targata Cines. Nel film uno scienziato, assistito da un suo discepolo estrae il “bacillo della debolezza” dall’orecchio di un asino, quindi ne elabora una portentosa pozione che testa dapprima sul suo assistente, poi su vari gruppi di persone, impegnate in diverse attività. Tra queste anche alcune coppie intente a ballare nel cortile di una locanda.

248 In assenza dei padroni (Cines, Italia, 1912). Copia consultata presso Eye Library (Amsterdam); lunghezza

originale 144 m; lunghezza copia: 140m; 35mm nitrate positive B/N; Desmet collection; Didascalie in olandese.

249 Il bacillo della debolezza (Cines, Italia, 1912). Copia film consultata presso Eye Library (Amsterdam).

Titolo copia: De microbe van de zwakte (didascalie in olandese); 35mm nitrate positive; B/N; lunghezza originale: 126 m; lunghezza copia: 115m; Desmet collection.

79 L’effetto riscontrato è sempre lo stesso: quello di un potente sedativo che costringe gli individui ad accasciarsi a terra dopo una sola spruzzata della prodigiosa pozione.

Infine il professore nebulizza la formula addosso a due delle guardie che vorrebbero arrestarlo, ma altri due gendarmi sono in arrivo: riescono ad acciuffarlo e a spruzzare la pozione addosso a lui, che quindi si affloscia su se stesso. La bizzarra formula ha finalmente trovato un’utile applicazione!

Soffermiamoci più approfonditamente sulla danza. La scena inizia all’incirca al min. 04’05’’. Totale, inquadratura fissa e frontale. Uomini e donne, raggruppati in coppie miste e non, ballano al centro di uno spiazzo. Probabilmente si tratta del cortile di una locanda, che vediamo sulla sinistra del quadro. Tavoli e avventori sono disposti sullo sfondo e a destra del quadro. La macchina da presa riprende la danza frontalmente. Lo scienziato spruzza la formula contenente il bacillo della debolezza sulle coppie intente a ballare, che immediatamente rallentano la danza, fino a cadere a terra (la scena termina al min. 04:55 ca.).

Le coppie che ballano si muovono in senso antiorario e al contempo girano su se stesse. Stabilire con certezza di che tipo di ballo si tratti è impresa ardua: esse si muovono in modo piuttosto disordinato e il frammento di film “ballato” è davvero minimo, per di più dissimulato dal finale della danza che rallenta bruscamente in corrispondenza dello spruzzo del fatidico bacillo. Il ballo da sala più simile a quanto vediamo sullo schermo ritengo sia una polka250 (ballo a tempo binario in 2/4), della quale sono riconoscibili il moto duplice (della coppia su se stessa e lungo il perimetro dell’area) e i passi piccoli e “saltellati”.

Come una sorella251 contiene due scene di danza tra loro molto diverse: è nella seconda che ci imbattiamo in un “ballo da sala”252. La scena in questione fa parte di una sequenza dedicata all’occasione mondana nel corso della quale l’aviatore ohn Kasalewsky (interpretato da Giovanni Casaleggio), uno dei protagonisti del film, conosce Kate Wilson (interpretata da Berta Nelson), della quale s’innamora. Si tratta di una festa che ha luogo in un’abitazione alto-borghese.

Qui la danza è introdotta al min. 12’41’’ ca. dalla didascalia: «Miss Wilkinson is dadelyk smoorlyk verliefd geworden op den beroemden aviateur. Op een bal ter eere van

250 Polka o polca: «danza popolare boema in voga nel XIX secolo come danza di società», cfr: A. Pontremoli,

Storia della danza…, cit., Firenze, Le Lettere, 2011, p. 248.

251 Come una sorella (Vincenzo Dénizot, Itala Film, 1912). Copia consultata presso Eye Library

(Amsterdam). Titolo copia: Noodlottige Luchtvaart (Aviazione fatale); 35mm nitrate print; lunghezza originale: 773/825 m; lunghezza copia: 590m; colore; Desmet collection.

80

hem gegeven, biedt zy hem kaar hand aan» (Miss Wilkinson presto si innamora disperatamente del famoso aviatore. Ad un ballo dato in suo onore, lei gli offre la sua mano). Uomini e donne in abiti eleganti tengono in mano delle specie di piccoli stendardi, oppure lunghi bastoncini con dei fiori posti sull’estremità.

Inizialmente li vediamo ballare a coppie miste su un ritmo di valzer; poi formano una sorta di trenino, che scorre davanti alla macchina da presa formando una serpentina, che esce a destra del quadro per poi rientrare da un arco posto sullo sfondo, nella stessa inquadratura. Quindi, mentre Kate e ohn si posizionano ai lati dell’arco, le altre coppie vengono verso la macchina da presa e si dispongono progressivamente in due file incolonnate di fronte all’obiettivo e tra loro simmetriche. I due schieramenti (le donne a sinistra, gli uomini a destra del quadro) si scambiano di posizione per due volte quindi, ponendosi frontalmente l’uno rispetto all’altro e sollevando gli stendardi, compongono una sorta di tunnel sotto al quale passa la coppia composta da John e Kate che era rimasta sullo sfondo e viene ora verso la macchina da presa: a questo punto le coppie si ricompongono e ricominciano a ballare a tempo di valzer253, finché non interviene il padrone di casa ad interrompere le danze. La scena – interamente colorata in giallo – termina al minuto 14’14’’.

La cifra coreutica che la contraddistingue sembrerebbe essere il valzer, stavolta inteso nell’accezione più comune del termine, cioè di valzer viennese. Esso venne introdotto tra le danze di società già a partire dal XVIII secolo, ma è nel corso dell’Ottocento, sulle note delle celebri composizioni di ohann Strauss padre e del figlio (Johann), che si diffonde in Europa e trova spesso applicazione anche a teatro254. Nella

253

Mentre le altre coppie iniziano a ballare il valzer, quella composta da John e Kate si dilunga in una sorta di promenade girando sul posto; quindi i due si fermano per eseguire una specie di inchino reciproco a favore della macchina da presa; infine prendono a ballare il valzer come le altre coppie.

254 Valzer: «Danza con giri in 3/4 o 3/8 veloci, probabilmente derivante dal Ländler, […] per secoli […]

danzato in Austria e Baviera, e chiamata la Deutsche da Mozart, Beethoven e Schubert. Il nome è apparso verso la fine del XVIII sec. ma la danza ha conquistato una vasta popolarità nelle sale da ballo viennesi grazie ai valzer di Lanner e degli Strauss. Sul palcoscenico è apparsa la prima volta nell’opera La cosa rara di Martin y Soler (Vienna 1786) mentre come coreografia di un balletto in La Dansomanie di Gardel (Parigi 1800).», H. Koegler, Dizionario Gremese della Danza e del Balletto, cit., p. 524; Cfr. anche A. Pontremoli,

Storia della danza…, cit., p. 248. Il valzer in Europa rimane in auge lungo tutto l’Ottocento, suscitando

dapprima scandalo per la maggiore vicinanza tra i due danzatori della coppia, ma divenendo ben presto un

must soprattutto per l’alta società, per la quale rappresentò una sorta di sigillo di appartenenza. Fu in

particolare a Vienna che all’inizio dell’Ottocento – sogno gli anni del Congresso della Restaurazione – esso assunse grande rilevanza, in concomitanza con l’ascesa della borghesia in Europa: esso era per la classe di nuova attestazione ciò che il minuetto era stato per la nobiltà delle corti d’antico regime. Nella capitale austriaca la fortuna del valzer si lega alla fama di Johann Strauss, che insieme al figlio (Johann) compose la colonna sonora della borghesia europea fino al primo conflitto mondiale, che ne segnò la fine, Cfr. Rémi Hess, Il valzer. Rivoluzione della coppia in Europa, trad. it., Torino, Einaudi, 1993 e A. Pontremoli, Storia

81 scena in questione se ne riconoscono a tratti alcuni caratteri salienti: il tempo tipico in 3/8 di cui il primo battito accentato; la postura di dama e cavaliere leggermente staccati l’uno dall’altra; la base costituita da «una serie di giri naturali [cioè a destra], seguiti da un’hesitation [peso trattenuto su un piede per più di un tempo] in avanti sul piede destro, da una serie di giri rovesci [cioè a sinistra] e da un’hesitation in avanti sul piede sinistro»255.

Tra una tranche di valzer e l’altra spicca un inserto di danza dal gusto retró, nella quale si possono forse ravvisare i sintomi dell’antica country dance inglese (diffusasi a partire dalla metà del XVI sec. ca.) ed in particolare di quel sottogenere detto longways for

as many as will, che presentava la disposizione a doppia fila con i cavalieri disposti da un

lato e le dame dall’altra, di fronte a questi256

.

Si è detto che spesso la danza di società nel cinema muto italiano ha la funzione di contribuire alla definizione dell’atmosfera in cui si vuole calare il film. Rientra in questo tipo di impiego della danza anche Histoire d’un Pierrot257, film tratto dalla pantomima omonima (1893) di Fernand Beissier, nel quale Francesca Bertini recita en travesti nel ruolo del protagonista. Nel film la pantomima gioca un ruolo fondamentale non solo al livello della trama, ma anche per il modello di recitazione che implica, qui ampiamente riproposto.

Il dibattito sul rapporto tra cinema e pantomima risale alla nascita stessa del cinema, quando in molti individuarono nel primo una sorta di derivato della seconda, riconoscendo nella filiazione del cinema da quest’ultima ora un attestato di valore artistico, ora un difetto, essendo la pantomima caratterizzata da un modello di recitazione “sovraccarico” ed esagerato, avvertito come inadeguato al nuovo mezzo (il cinematografo)258.

Tra gli intellettuali che intervennero in proposito, Ricciotto Canudo, nel saggio del 1908 Trionfo del cinematografo, parlava del cinema come di «una nuova Pantomima, una

255

A. Moore, Il ballo da sala, cit., p. 252; cfr. anche Ivi, p. 28.

256 A. Pontrempoli, Storia della danza…, cit., p. 100. Cfr. anche Flavia Pappacena, La danza classica. Le

origini, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 40-42.

257 Histoire d’un Pierrot (Italica Ars/Celio Film, 1914). Tratto dall’omonima pantomima di Fernand Beissier.

Lunghezza originale: 1200 m. Lunghezza copia non reperita: copia video Goffredo Lombardo e RTSI (Radiotelevisione della Svizzera Italiana).

82

nuova danza di espressione»259, mentre qualche anno più tardi avrebbe chiarito di considerare la pantomima, così come altri tipi di mimodramma, uno degli elementi che nutrirono il cinema alle sue origini260. Sebastiano Arturo Luciani, nel suo testo

L’Antiteatro, individuava invece i principali motivi di ritardo nello sviluppo della

cinematografia proprio nel fatto di essere da molti considerata alla stregua della pantomima: «il pregiudizio più dannoso è tuttavia quello di chi si ostina a considerare il cinema come un teatro muto o come una pantomima riprodotta cinematograficamente. L’assenza della parola costituisce invece una delle caratteristiche essenziali del cinema. […] l’assenza della parola fa convergere l’attenzione dello spettatore tutta su gli elementi visivi»261.

Ancora Lucio D’Ambra, alla vigilia della prima del film al Teatro Argentina di Roma (11 febbraio 1914) dichiarava:

la rappresentazione di domani dell’Histoire d’un Pierrot crea un genere, apre al cinematografo un orizzonte nuovo, accenna forse ad una nuova forma di espressione per il teatro dell’avvenire.

Questa volta veramente il cinematografo non diminuisce la realtà, non sfigura l’opera d’arte. E questo perché nel caso del Pierrot l’opera d’arte rispondeva perfettamente alle esigenze, alle leggi, ai confini della cinematografia. In questa riduzione l’opera lirica perde la voce, il dramma la parola, il ballo il colore. La cinematografia invece lascia quale essa è una pantomima tra persone della stessa famiglia. Il cinematografo non può dimenticare di esser nato dalla pantomima, non può dimenticare che la pantomima costituisce oggi ancora la sua prima ragion d’essere, la sua stessa essenza262.

Per un paradosso linguistico-semantico, proprio quella danza che ha “perso colore” sullo schermo d’argento del cinema, si fa veicolo del “color locale”, più in generale dell’atmosfera popolaresca del film. La scena di danza interviene circa a metà dello svolgimento, durante la sequenza della festa popolare che segna l’incontro tra Pierrot e l’avvenente Fifine. Qui le inquadrature del cortile/piazzetta in cui si svolgono le danze, si alternano agli interni della casa di Pierrot, nella quale egli si dichiara alla nuova conquista, per poi unirsi alle danze. Dunque il ballo si svolge in due inquadrature fisse e frontali

259 Ricciotto Canudo, Il Trionfo del Cinematografo, in «Giornale Nuovo», 25 November 1908, ora in

Giovanna Grignaffini, Sapere e teorie del cinema. Il periodo del muto, Bologna, Clueb, 1989, p. 109, cit. in Elena Mosconi, The Art of “Spea ing Silentl ”, in «Cinema & Cie», n. 2, spring 2003, p. 40.

260 Ricciotto Canudo, “Le Septième art et son esthétique”, in L’amour de l’art (1922), ora tradotto in italiano

in Riccardo Redi, L’officina delle immagini, Roma, Bianco e Nero, 1966, p. 85.

261 Sebastiano Arturo Luciani, L’Antiteatro. Il cinematografo come arte, Roma, La Voce edittrice, 1928), pp.

9, 17-18.

262

Lucio d’Ambra, “L’histoire d’un pierrot” cinematografata, in «La Tribuna», Roma, XXXII, 11 febbraio 1914, p. 3.

83 divise da un’inquadratura in interno: si tratta di due scorci del cortile in campo medio, in cui alcune coppie danzano seguendo una traiettoria grossomodo circolare. Nel primo quadro Pierrot e Fifine si incontrano ma non danzano, mentre nel secondo si uniscono al ballo formando essi stessi una coppia, quindi, protagonisti dell’inquadratura, ballano un valzer chiaramente distinguibile. Al contrario, gli altri personaggi si muovono in modo più disordinato. Nella prima come nella seconda inquadratura di danza infatti le coppie, sia miste che non, ballano in modo più disordinato e spesso ad un ritmo più scandito e a un tempo più veloce. Solo alcune delle coppie sembrano ballare un valzer, difatti anche la presa è per lo più diversa da quella richiesta per questo ballo: le braccia sono spesso in posizione frontale per entrambi i ballerini della coppia, con un braccio sull’altro sia a destra che a sinistra. Mentre Pierrot e Fifine danzano il ballo romantico per eccellenza, le coppie sullo sfondo sono funzionali alla resa del “color locale” e pertanto non ha importanza che ballino allo stesso ritmo, tantomeno la stessa danza, seguendo un costume frequente nell’approccio del cinema muto italiano alla danza di società. (Fig. 19).

Se la danza delle coppie sullo sfondo disegna il contesto da quartiere popolare in cui si vuole ambientata la storia, quella di Fifine e Pierrot acquista un valore diverso: ogni valutazione su Histoire d’un Pierrot non può prescindere dal portato pantomimico sotteso al film: «besides the white pantomime, which culminates with the notorious Histoire d’un

Pierrot, besides the acting of comedians trained in the pantomime and another number of

influences […] the Italian tradition of pantomime expresses itself also with the pantomimic dance, following the example of Manzotti’s great choreographies, very poular at the turn of the century»263. È quanto accade anche nel film con la Bertini en travesti: qui infatti il valzer è ballo da sala e danza pantomimica al tempo stesso poiché, al pari dei balletti settecenteschi di Gaspero Angiolini, il film prevede l’alternanza di momenti pantomimici e di espressione coreutica, seppure in differenti proporzioni; inoltre, al pari dei ballet-

pantomime del maestro fiorentino, l’interpretazione e la danza di Histoire d’un Pierrot

affondano le proprie radici nella scuola mimica italiana. La recitazione del film fa ricorso in modo evidente a una serie di movimenti convenzionali (le mani giunte sul cuore a significare l’innamoramento; la mano che simula la penna che scivola sulla carta per lo “scrivere”; il gesto di battere ripetutamente il dito indice delle mani l’uno contro l’altro a suggerire una liaison amorosa; ecc.) e gli interpreti non muovono le labbra come per simulare un dialogo comunque non udibile (cosa che avverrà soprattutto nel tardo cinema

84

muto e già si riscontra nel cinema internazionale a questa altezza cronologica): sono queste le specifiche della pantomima, che ne marcano la differenza rispetto ad ogni altra forma spettacolare e che ritroviamo anche in questo film. La danza è dunque in certo senso “per osmosi” che acquisisce una connotazione pantomimica, a contatto col contesto filmico- interpretativo in cui è inserita.

La scuola pantomimica a quest’altezza cronologica trova i sui principali riferimenti nei testi di di Charles Aubert (L’Art mimique, suivi d’un traité de la pantomime, 1901); Antonio Morrocchesi (Lezioni di declamazione e d’arte teatrale, 1832); Johannes Jehegerhuis (Theoretische Lessen over de Gesticulatie en Mimiek, 1827); Gustave Garcia (The Actor’s Art: A Practical Treatise on Stage Declamation, Public Spea ing and

Deportment, for the use of Artists, Students and Amateurs, 1882) e non ultimo uno dei

primi manuali di recitazione cinematografica: Le Geste et l’attitude, di Eugène Kress, il cui sottotitolo – L’Art mimique au cinématographe – ne rivela la matrice pantomimica. Tuttavia la maschera comica e lunare di Pierrot trova un forte referente nel lavoro di Gaspard Deburau al Théâtre des Funambules di Parigi, alla fine degli anni Venti dell’Ottocento. Alla morte di Deburau la pantomima persistette in Francia nel teatro di varietà, mentre il cosiddetto Cercle des Funambules (Parigi, 1888) si preoccupava di rinnovare la tecnica pantomimica cercando di depurarla proprio da quei gesti convenzionali che in Historie d’un Pierrot trovano ancora largo spazio264.

La danza veicola una specifica atmosfera anche nel film Assunta Spina265, ma in

questo caso - a dispetto di ogni aspettativa (sarebbe gioco facile fare ricorso alla proverbiale specificità mimica napoletana) – il contesto filmico in cui s’inserisce la danza rinuncia non solo a una recitazione pantomimica, ma anche a qualsivoglia luogo comune interpretativo basato su detta caratterizzazione etnica caricaturale della mimica:

the repertory of gestures deployed by the actors – Francesca Bertini as Assunta,

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 79-93)