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La danza nuova di Loïe Fuller

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 118-130)

Modernismo coreutico

IV.1 La danza nuova di Loïe Fuller

Dall’altra parte dell’oceano c’era chi andava tracciando le linee di una coreutica del tutto nuova, scevra dal verbo della danza accademica, e che non solo necessitava di un costume ad hoc, ma di esso non poteva fare a meno: senza l’abito non c’era danza.

L’americana Loïe Fuller nel novembre del 1892 approdò al celebre music-hall parigino delle Folies-Bergère, con il suo spettacolo di Danza serpentina361. Si trattava di una sua personale rivisitazione della skirt dance, che aveva avuto modo di studiare nel periodo in cui aveva lavorato presso il Gaiety Theatre di Londra (1890). Il suo era uno spettacolo basato non tanto o non solo sul movimento corporeo, quanto su quello impresso alla seta impalpabile della quale era costituito il costume da lei stessa ideato. Metri e metri di stoffa leggerissima venivano fatti volteggiare creando figure fantasmagoriche (mediante l’utilizzo di bacchette cucite all’interno del costume, come un prolungamento delle braccia) e grazie al moto che scaturiva dalla torsione del busto che accompagnava i giri – su entrambi i piedi – della danzatrice. Sul panneggio del costume, utilizzato in guisa di uno

361 Cfr. Giovanni Lista, Loïe Fuller e il cinema, in «Cinegrafie», n° 19, Il comico e il sublime/The Comic and

the Sublime, Bologna, Le Mani-Cineteca di Bologna, giugno 2006, pp. 115-131. Cfr. anche Loïe Fuller, Una vita da danzatrice, Roma, Dino Audino Editore, 2013 (1ª ed.: Id., Fifteen Years of a Dancer’s Life, Boston,

117 schermo mobile, venivano quindi proiettate molteplici luci colorate, attraverso i complicati dispositivi illuminotecnici concepiti dalla Fuller. Questi si avvalevano della luce elettrica (le lampade ad arco erano già ampiamente diffuse negli anni ‘70 dell’Ottocento), che dovette abbagliare la Fuller anche all’Esposizione Universale di Chicago del 1893 (la World’s Columbian Exposition di Chicago),362

e dell’impiego di vetrini colorati.

La Serpentine Dance debuttò nel 1891 all’interno dello spettacolo Quack Musical

Doctor, per il quale la Fuller era stata scritturata per la tournée sulla costa orientale degli

Stati Uniti. Brevettata nello stesso 1892, la sua danza consisteva nella creazione di suggestive spirali ottenute girando su se stessa, attraverso la torsione del busto e il movimento delle braccia amplificato dal costume, costituito da metri e metri di sottilissima seta bianca che manovrava mediante l’ausilio di lunghe bacchette363

: «la danzatrice è al centro della scena, afferra a destra e a sinistra gli orli dell’abito, li solleva verso l’alto imitando una spirale e danzando verso il proscenio. Quando raggiunge la ribalta, riporta le braccia diritte e imprime alla stoffa un movimento rotondo che fa assumere al costume la forma di un grande fiore, i cui petali sono costituiti dall’abito in movimento»364. (Fig. 23)

Il costume, conditio sine qua non della danza, era stato ideato e brevettato (Parigi, 1893) dalla stessa Fuller e la gonna, vera protagonista della coreografia, constava di svariati coni di stoffa cuciti assieme, cui la danzatrice infondeva il movimento grazie a due bacchette di bambù ricurve, cucite all’interno della gonna stessa: «Imprimendo al corpo un movimento di bilanciamento o di rotazione, a seconda del carattere della danza che si deve eseguire, imprimendo alle braccia e alle bacchette di bambù […] movimenti ondulatori in sequenza attorno al corpo, la gonna forma curve graziose e variate che consentono, in combinazione con proiezioni bianche o colorate di lampade elettriche di ottenere bellissimi effetti scenici»365.

Proprio gli strabilianti effetti creati per mezzo dell’abito, colpirono l’immaginazione dei simbolisti e di Mallarmé in particolare, che alla Fuller dedicò parole

362 P. Veroli, Loïe Fuller, cit., pp. 78-82.

363 Cfr. Loïe Fuller, Nuova combinazione di costume destinato specificamente alla danza teatrale, brevetto,

ora in P. Veroli, Loïe Fuller, cit, pp. 320-321. Cfr. anche G. Lista, Loïe Fuller danseuse de la Belle Époque, cit., pp. 62-64; 138-140.

364 Loïe Fuller, La Danza Serpentina, brevetto depositato nel 1892, cit. in P. Veroli, Loïe Fuller, cit., pp. 313-

314.

365 Fuller Marie Louise, Brevet d’invention n. 7107, Ministère du Commerce e[t] de l’Industrie,

République Française, 8 aprile 1893, Bureau pour la Propriété Industrielle, Paris, cit. in P. Veroli, Loïe

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di ammirazione nei suoi scritti Considérations sur l’art du ballet et la Loïe Fuller366 (1893) e Autre étude de danse. Les Fonds dans le ballet. D'après une indication récente (1897) – quest’ultimo una rielaborazione del primo – contribuendo così a edificarne il mito e farne la musa dei simbolisti:

or cette transition de sonorités aux tissus (y a-t-il, mieux, à une gaze ressemblant que la Musique!) est, uniquement, le sortilège qu'opère la Loïe Fuller, par instinct, avec l'exagération, les retraits, de jupe ou d'aile, instituant un lieu. L'enchanteresse fait l'ambiance, la tire de soi et l'y rentre, par un silence palpité de crêpes de Chine. Tout à l'heure va disparaître comme dans ce cas une imbécillité, la traditionnelle plantation de décors permanents ou stables en opposition avec la mobilité chorégraphique. Châssis opaques, carton cette intrusion, au rancart! voici rendue au Ballet l'atmosphère ou rien, visions sitôt éparses que sues, leur évocation limpide367.

La fantasmagoria di seta e bambù dell’abito fungeva da schermo mobile agli effetti luministici che la Fuller ancora una volta ideò in prima persona:

tende nere e pesanti di ciniglia pendono tutt’intorno al palco e un tappeto nero lucido è steso su tutto il pavimento tranne che su una lastra di vetro che è stata inserita in uno spazio di un metro e venti per un metro e venti circa, ritagliato al centro del palco. A tre metri dalla lastra, sotto il palco, sta Burt Fuller, a guardia delle sue due lampade. Quattro scalette di altezza diversa sono disposte a destra e a sinistra fra le quinte più vicine al pubblico, e su ciascuna sta un elettricista con il suo riflettore in mano. Davanti a ciascun riflettore c’è un tondo girevole di cartone da 30 a 40 centimetri di diametro, con un bordo di dischi di gelatina di diversi colori. Alcuni di questi dischi hanno un colore unico, altri presentano una combinazione di due, tre, quattro o più colori, e gli elettricisti li manovrano in modo rapido e coordinato. I due riflettori principali sotto il palco sono molto potenti e da soli producono più effetti di tutti i riflettori laterali messi insieme368.

366 Pubblicato con questo titolo sulle pagine del «National Observer» il 13 marzo 1893, poi sul primo numero

(giugno-agosto 1895) de «la Revue franco-américaine» con il titolo Étude de danse (cfr: Stéphane Mallarmé,

Oeuvres complètes, a cura di Henri Mondor, Georges Jean-Aubry, Paris, Gallimard, 1945, p. 1565). Per il

testo dell’articolo Considérations sur l’art du ballet et la Loïe Fuller, cfr. Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura di Bertrand Marchal, vol. II, Paris, Gallimard, 2003, pp. 312-314. Per le note sulle varianti del testo, cfr:

Ivi, p. 1631, dove si apprende che la prima parte di Autre étude de danse riprende, sensibilmente modificata,

l’articolo del «National Observer» del 13 maggio [sic] 1893, mentre la seconda parte, scritta espressamente per Divagations, è un omaggio all’articolo di Rodenbach sulla danza, pubblicato su «Le Figaro» del 5 maggio 1896. Per il testo di Autre étude de danse. Les Fonds dans le ballet. D'après une indication récente, cfr: Stéphane Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura di Henri Mondor, Georges Jean-Aubry, cit., pp. 307-309 e Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura di Bertrand Marchal, cit., pp. 174-176).

367 Stéphane Mallarmé, Autre étude de danse. Les Fonds dans le ballet. D'après une indication récente

(1897), in:Stéphane Mallarmé, Oeuvres complètes, a cura di Henri Mondor, Georges Jean-Aubry, cit., pp. 308-309.

368

«Balde» di New York, 11 aprile 1896, cit. in Sally R. Sommer, Loie Fuller, la fata della luce, in Eugenia Casini Ropa, a cura di, Alle origini della danza moderna, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 244-245.

119 Autodidatta, la Fuller dovette subire l’influenza della scuola di Delsarte369

, il cui metodo per attori, cantanti e oratori (le lezioni si tennero a Parigi tra il 1840 e il 1870) avrebbe inaspettatamente offerto un solido supporto teorico alla rivoluzione della coreutica moderna. Il sistema di Delsarte, partendo dall’attenta osservazione dei comportamenti umani, elaborava una complicata struttura (il trimundio) basata sull’accordo di nona, per cui l’interiorità dell’uomo sarebbe composta di vita (sensazioni), spirito (le facoltà mentali) e anima (i sentimenti), quest’ultima al vertice della triade. Ad ogni elemento dell’uomo interiore corrisponde a sua volta un elemento corporeo: alla vita l’apparato vocale che emana la voce; all’anima l’apparato dinamico, responsabile del gesto, e allo spirito l’apparato boccale, dal quale scaturisce la parola. Ciascuno di questi apparati è a sua volta tripartito. All’uomo interiore corrisponde dunque l’uomo esteriore. Dalla complicata etica delsartiana deriva la ricerca della corrispondenza tra uomo esteriore ed interiore, tra gesto e psiche. Il corpo è dunque divisibile in tre sezioni: la testa (cui corrisponde lo spirito), il busto (che pertiene all’anima) e le membra (che corrispondono alla componente vitale). La geometria corporea di Delsarte, derivata dal modello platonico espresso nel Timeo, «trova impiego in campo gestuale, serve a costruire la partitura mimica dell’attore. Dopo aver proceduto all’esegesi testuale, questi deciderà, sulla base della geografia anatomica, in che modo attivare la complessa macchina corporea nei suoi diversi agenti, assegnando ad ognuno di essi un ritmo, una forma, una direzione nello spazio»370. Ne deriva la definizione dei parametri del gesto armonico: «una delle caratteristiche fondamentali del gesto ideale, per Delsarte manifestazione sincera di una dinamica interiore ricca e raffinata, è l’armonia [..] l’armonia del gesto implica che esso sia compiuto dalla molteplicità delle

parti da cui l’organismo è composto (testa, torso, membra)»371. Quest’idea di “corpo

totale”, inteso come struttura unitaria in cui ogni parte è inscindibile dalle altre, si definì già tra secondo Settecento e Ottocento, in conseguenza del recupero della concezione del corpo propria della grecità classica, ma è solo con Delsarte che trova applicazione nella danza.

Se ne deduce che «il danzatore “classico” risulterebbe un produttore di movimenti nello spazio del tutto privo di una vita interiore»372, poiché la tecnica del balletto si basa

369

Cfr. A. Pontremoli, Storia della danza…, cit., p. 155. Cfr. anche Laurent Guido, L’âge du R thme:

cinéma, musicalité et culture du corps dans les théories françaises des années 1910-1930, Lausanne, Payot,

2007.

370 Elena Randi, Il magistero perduto di Delsarte. Dalla Parigi romantica alla modern dance, Padova, Esedra

editrice, 1996, p. 168.

371

E. Randi, Il magistero perduto di Delsarte…, cit., pp. 172-173.

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sulla frammentazione anatomica, cioè sul movimento di ogni sezione del corpo indipendentemente dalle altre373. Probabilmente «constatando la corrispondenza tra gli indici gestuali di “freddezza” proposti da Delsarte e alcuni moduli della tecnica orchestica accademica, i protagonisti della modern dance [..] [vollero] ravvisare nel sistema delsartiano un’opposizione al balletto, da loro contestato»374

e sulla base di questo lo elessero a propria «guida ideale».

Il pensiero teorico del musicista francese si diffuse in America tramite il suo allievo Steele Mackaye, rientrato in patria dall’apprendistato francese nel 1870. Esso prometteva a chi lo avesse praticato agilità nei movimenti e armonia interiore, sfociando poi in forme di spettacolo quali la pantomima, la recitazione e lo statue-posing, riservate ai dilettanti.

Con Genevieve Stebbins, allieva di MacKaye e autrice di The Delsarte System of

Expression (1885), il delsartismo, ridotto a una sorta di blanda ginnastica, assurse a metodo

teorico-pratico di danza, che permetteva di «scrivere sul corpo […] un percorso emotivo».375 E come “ginnastica armonica” destinata alle giovani donne fu insegnato anche nei college, a partire dal 1890376. Paradossalmente il pensiero di Delsarte, il cui assunto fondamentale insiste sulla corrispondenza tra psiche e corpo, fu uno dei punti di partenza della corrente astratta della danza americana, tesa a «staccare il corpo dall’anima, a trasformarlo in luce e colore, a metterlo in sintonia, a con-fonderlo con lo spazio esterno anziché con quello interno»377 e che in Loïe Fuller ebbe l’innesco. Ciò avvenne in virtù della condivisa concezione di un “corpo totale” – in Delsarte finalizzato alla ricerca di un’interiorità altrettanto indivisa – cui doveva corrispondere un movimento parimenti unitario, il movimento “a successione” delsartiano378

. Secondo il «“grande ordine della successione” di Delsarte, […] il movimento comincia al centro del corpo e va all’esterno (“successione reale”) o comincia da un’estremità e va all’interno verso il centro (“successione rovesciata”). Questo costituisce il sistema più importante per l’espressione dell’emozione; la sua qualità è fluida, simile a un’onda»379

. Una successione per cui un

373

Ivi, p. 175.

374 Ivi, p. 177. 375 Ivi, p. 178.

376 A. Pontremoli, Storia della danza…, cit., p. 154. 377

E. Randi, Il magistero perduto di Delsarte…, cit., pp. 186.

378 Ivi, p. 181.

379 Vera Maletic, Rudolf Laban. Corpo spazio espressione, Paermo, L’Epos, 2011, p. 155 (1ª ed.: Body Space

Expression: The Development of Rudolf Laban’s Movement and Dance Concepts, Berlin-New York

Amsterdam, Mouton De Gruyter, 1987). Secondo l’autrice «la legge della “successione” di Laban sull’avvio e l’accompagnamento del movimento dal centro alla periferia del corpo può essere paragonata al “grande ordine della successione” di Delsarte», Ibidem.

121 gesto doveva fluire in quello seguente senza soluzione di continuità, proprio come le linee sinuose create dalla Fuller per la sua Serpentine dance.

Responsabile di un radicale rinnovamento della danza in un momento in cui questa languiva nel superato formalismo accademico, Loïe Fuller sullo scorcio dell’Ottocento creò uno spettacolo che sfuggiva alla definizione tradizionale di danza e anticipava le istanze delle avanguardie artistiche che di lì a poco si sarebbero affermate:

Loïe Fuller annonce également tout un courant d’expression des avant-gardes modernes, comme le futurisme italien, l’expressionnisme allemand, le synchronisme américain et le constructivisme russe, qui ont misé sur une estétique du cinétisme et de la lumière. Le tourbillonnement de ses voiles faisait vivre la forme dans l’éphémère d’une apparition-disparition qui, soumise au changement continu, se refusait à toute véritable fonction descriptive380.

La Fuller con la Serpentine Dance incarnava la vita culturale di fine secolo, nelle sue varie accezioni, dall’Art Nouveau, al decadentismo, le scienze occulte, il simbolismo, ecc381. È in questa proteiforme temperie culturale che si situa anche lo studio condotto da Warburg (1893) sulla rappresentazione femminile nella pittura della fine del Qurattrocento. Egli enuclea due principali paradigmi visivi: quello della donna vestita di ingombranti broccati e quello della donna drappeggiata di veli leggeri e fluttuanti mossi dal vento. Questa seconda tipologia, presente in molti dipinti di Botticelli e incisioni a questi coeve, assume un valore ideologico, facendosi segno della libertà femminile382. Riassunta dallo storico dell’arte tedesco mediante l’archetipo della Ninfa, essa incarna la Pathosformel danzante che dalle Menadi antiche alle Grazie botticelliane fino alle volute disegnate nell’aria da Loïe Fuller, dà forma al paradosso che sta tra l’etereo librarsi dei veli e la massa corporea seminascosta dal tessuto, tra l’aria e la carne: «Ninfa, con i suoi capelli e i suoi drappeggi in movimento, appare così come un punto d’incontro, sempre mobile, tra il fuori e il dentro, tra la legge atmosferica del vento e la legge viscerale del desiderio»383.

Loïe Fuller giunse in tourneé in Italia nel 1902, toccando Roma, Firenze, Genova, Torino e Milano, dove mise in scena la sua Serpentina. In quanto abile impresaria di se stessa ed interessandosi dell’illuminotecnica oltre che della coreografia dei suoi spettacoli,

380 G. Lista, Loïe Fuller danseuse de la Belle Époque, cit., p. 22. 381 Ivi, pp. 24-25.

382 Ivi, p. 26.

383 Georges Didi-Huberman, L’immagine insepolta. Ab Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia

dell’arte, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 238-240 (1ª ed.: L’Image survivante. Histoire de l’art et temps des fantômes selon Aby Warburg, Parigi, Éditions de Minuit, 2002).

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la danzatrice americana «trasgrediva i ruoli di genere»384. Ella inoltre anche fuori scena non indossava il corsetto; eppure ricevette una buona accoglienza in Italia, nonostante la profonda innovazione che le sue danze rappresentavano a confronto con la paludata tradizione ballettistica scaligera. Probabilmente l’accettazione della danza fulleriana in Italia passò attraverso la “desessualizzazione” della sua coreutica, che aveva luogo attraverso l’occultamento del corpo danzante nella stoffa del costume; in tal modo la

Serpentina, nelle sue diverse varianti, diveniva espressione “spirituale”, che si prestava

pertanto a una lettura cattolica: «in un paese conservatore come l’Italia, la negazione della sessualità operata dalla Fuller ben presto si prestò, del resto, a una ammirazione duratura»385.

La Serpentina nel cinema muto trovò due diverse modalità di realizzazione filmica: come “dal vero” in quanto mera esecuzione di teatro filmato su di uno spoglio palcoscenico, o come danza diegetizzata, inserita all’interno di un film di finzione. Se nel primo caso è facile attribuirgli la funzione di “attrazione”, fenomeno tipico del cinema delle origini, nel secondo assume invece una funzione più ambigua, tesa tra la giustificazione narrativa e una forte componente attrazionale.

Come “teatro filmato” essa ricorre in almeno due titoli di produzione estera, ma ambientazione italiana: Danse serpentine386 – protagonista Leopoldo Fregoli en travesti, impegnato in una parodia della rinomata skirt dance, a riprova della dilagante moda cui Loïe Fuller aveva dato adito – e un film del 1899 che reca lo stesso titolo387, ma nel quale protagonista è una danzatrice in piena regola. Sappiamo così con certezza che la novità coreica proveniente dall’America era nota anche in Italia fin dal 1897388

, sia pure tramite la cinematografia francese. La Serpentina, o una delle sue varianti, oltre ad essere stata uno spettacolo teatrale a lungo oggetto di innumerevoli imitazioni389, sullo scorcio dell’Ottocento fu spesso soggetto di riprese cinematografiche soprattutto ad opera di Thomas A. Edison390.

384 P. Veroli, Baccanti e dive dell’aria…, cit., p. 101. 385 Ivi, p. 109.

386 Danse serpentine, Frères Lumière, 1897. Cfr. A. Bernardini, Cinema delle origini in Italia, i film “dal

vero” di produzione estera 1895-1907, cit., pp. 40-41.

387 Danse serpentine, Frères Lumière 1899, cfr. Ivi, p. 88.

388 La prima esibizione della Fuller in Italia risale al 1902. Cfr. P. Veroli, Baccanti e dive dell’aria…, cit., p.

103.

389 G. Lista, Loïe Fuller danseuse de la Belle Époque, cit., pp. 26-31. 390

Es.: Annabelle Serpentine Dance (Thomas A. Edison, 1894); Annabelle Butterfly Dance (Thomas A. Edison, 1894); Danse serpentine n. 765 (Louis Lumière, 1896).

123 I film costituiti da numeri (“attrazioni”) di varietà «condividono con la logica del “dal vero” il carattere prevalentemente riproduttivo delle immagini filmiche, trattandosi di una serie che riprende scene di una pantomima recitata sul palcoscenico di un teatro»391. Le modalità di ripresa, sia per i “dal vero” che per i film di fiction contenenti una danza

Serpentina sono generalmente le stesse: mediante un’unica inquadratura fissa (in campo

medio o in figura intera), l’operatore di turno riprende frontalemente il danzatore/la danzatrice mentre balla su di un palcoscenico spoglio, davanti a un fondale nero. La messinscena si profila pertanto come uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti, allestito ad

hoc per la macchina da presa. Evidentemente qui ancor più che nel caso delle riprese di

danze folcloriche – per le quali vi era forse anche un interesse puramente etnografico – è lo spettacolo del movimento in sé a costituire motivo d’interesse, magari esaltato da strabilianti effetti coloristici, come suggerito dal titolo italiano del film (Danza serpentina

a colori). Lo stesso tipo di danza evanescente doveva proporre pochi anni dopo la Cines

nel film Le Farfalle392 (1908), in cui la Serpentina appare diegetizzata in una féerie. Dovremo attendere il 1914 perché la produzione italiana affronti in proprio la regia della danza evanescente venuta d’oltreoceano incastonandola in una cornice narrativa più matura, all’interno della quale essa apparirà diegetizzata, eppure sfuggente al racconto.

In L’amazzone mascherata393 troviamo infatti un breve saggio di danza Serpentina contenuto in una sequenza nella quale si svolge un ricevimento. Il film è uno spy-movie

ante litteram all’interno del quale la danza non ha reale giustificazione, benché pienamente

integrata nella narrazione. Se è vero infatti che la scena del ricevimento fa parte del

391

A. Bernardini, Cinema delle origini in Italia, i film “dal vero” di produzione estera 1895-1907, cit., pp. 10-12.

392 «La ripresa dal vivo di un balletto basato sull'iterazione della "danza serpentina", viene usato come finale

per una favola amorosa d'ambientazione cinese. I primi due quadri, con la cattura della ballerina-farfalla e la violenta punizione del pretendente-calabrone, rispettano una sorta di idea coreografica complessiva. Ma, nell'ultimo, la realtà documentale si trasfigura, e quell'insieme di tuniche bianche agitate con perizia sulle quali le colorazioni manuali vanno a depositarsi (forse?) casualmente in un incessante, complesso e

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