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c Tango e danza apache nel cinema muto: la via italiana

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 61-71)

Tango e Furlana

II.1. c Tango e danza apache nel cinema muto: la via italiana

L’Italia dà il suo prezioso contributo alla diffusione del tango anche attraverso la produzione cinematografica, suscitando le già citate preoccupazioni della stampa cattolica. È la comica – prima di altri generi cinematografici – a dare il polso dell’avvento del tango sul suolo italiano.

Kri Kri e il tango204, breve comica del 1913 targata Cines, costituisce la prima

occorrenza del tango che ho riscontrato nella cinematografia italiana ad oggi censita. In questo caso si rende necessario condurre l’analisi filmica sull’intera pellicola, in quanto la danza gioca un ruolo decisivo all’interno di ogni inquadratura.

- Didascalia 1 (titolo del film): «Bloemer leert de tango» (Bloemer impara il tango) - Didascalia 2: «Bloemer, die op een bal uitgenoodigd is, wil de Tango leeren.»

(Bloemer, che è stato invitato a un ballo, vuole imparare il Tango)

- Quadro 1, figura intera, mdp fissa, colore rosso chiaro: totale, Kri Kri è al telefono. Poi riaggancia e prova alcuni passi di tango nel suo studio; esce dal quadro per andare a prendere un grammofono; rientra con lo strumento; esce di nuovo per poi rientrare con un manichino. Balla con il manichino facendone la sua partner di danza.

- Didascalia 3: «De oefening duurde twee uur.» (L'esercizio è durato due ore)

- Quadro 2, figura intera, mdp fissa, col. rosso chiaro: come il quadro 1, nello studio di Kri Kri. Il novello tanguero provando e riprovando la danza con il manichino, cade a terra stremato. Si rialza, si asciuga il sudore: è pronto per il ballo, dove farà sfoggio delle sue nuove abilità. Kri Kri esce a sinistra del quadro.

- Didascalia 4: «Het bal» (Il ballo)

- Quadro 3, piano americano, col. giallo: panoramica della cinepresa, da sinistra verso destra, che segue gli invitati mentre entrano nella sala da ballo, finché non incontra una coppia intenta a ballare il tango. Altre coppie sullo sfondo osservano incuriosite il nuovo ballo.

- Quadro 4, figura intera, col. giallo: è l’arrivo di Kri Kri, che dal fondo entra in scena aprendo una tenda, come fosse un sipario. Kri Kri si fa coraggio e invita una ragazza a ballare. La macchina da presa riprende il movimento di panoramica in senso contrario,

204 Kri Kri e il tango (Cines, 1913). Lunghezza originale: 108m. Lunghezza copia (nitrato, 35mm): 97,3m.

Copia del Nederlands Film Museum (oggi Eye), con didascalie olandesi. Titolo copia: Bloemer leert de tango (traduzione dall'olandese: Bloemer impara il tango).

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da destra verso sinistra (la coppia balla dunque in senso antiorario). Il cavaliere della ragazza, ingelositosi, li segue e fa inciampare Kri Kri: la coppia cade. Il cavaliere fa di nuovo inciampare Kri Kri che, rialzatosi, è tuttavia ancora instabile: finisce addosso al palco dell’orchestra, che fa crollare. Da questo momento la coppia riprende a ballare in direzione opposta, dunque se vogliamo in senso orario (in realtà la traiettoria è talmente scomposta che è impossibile definirla in senso stretto).

- Quadro 5, figura intera, col giallo: la cinepresa riprende una breve panoramica verso destra, finché, Kri Kri e la sua dama escono di scena da una tenda sullo sfondo, la stessa dalla quale era entrato Kri Kri. Quest’ultimo, come posseduto dal tango, conduce la ballerina e la cinepresa attraverso le stanze, senza interrompere la danza.

- Quadro 6, figura intera, mdp fissa, col rosso chiaro: lo ritroviamo in corridoio. Qui, ballando con la sua dama, fa inciampare un cameriere, che rovescia il vassoio.

- Quadro 7, figura intera, mdp fissa, col rosso chiaro: Kri Kri e la sua dama si trovano ora in un salottino, dove cadono inciampando su una chaise longue. Poi si rialzano e si dirigono verso il fondo del quadro, dove si scorge una terrazza.

- Quadro 8, campo medio, inq. fissa: esterno notte (col. blu). È la terrazza inquadrata dall’esterno dell’edificio in campo medio. Kri Kri e compagna cadono dal balcone nell’acqua.

- Quadro 9, campo medio, inq. fissa: esterno notte (col. blu). Raccordo sull’asse: la stessa terrazza, inq. più ravvicinata. Kri Kri e la compagna di ballo riemergono dall’acqua e risalgono fino alla terrazza (effetto ottenuto facendo scorrere la pellicola all’indietro).

- Quadro 10, piano americano, col. giallo: di nuovo nella sala da ballo. I due ballerini, esausti, siedono su di una panca. Arriva il cavaliere geloso col quale la ragazza era arrivata alla festa, che si riprende la sua dama per una nuova danza, la macchina da presa riprende quindi la panoramica verso destra. La coppia balla dunque in senso orario (contrariamente a come si fa nel tango) su quello che sembrerebbe un ritmo binario, con molti volteggi, le braccia (destro per la dama, sinistro per l’uomo) stese a lato, ma senza cortes y quebradas. Dunque probabilmente stavolta non si tratterebbe di un tango. Kri Kri si vendica dei dispetti dell’uomo legando la coppia con una fune. - Quadro 11, figura intera, col. giallo: la macchina da presa continua la panoramica verso

sinistra. Kri Kri srotola la fune velocemente per imprimere un movimento vorticoso alla coppia che, fuori controllo, riprende a girare verso destra.

61 - Quadro 12, figura intera, col. giallo: inquadratura praticamente fissa della coppia che

inizia a girare vorticosamente verso destra.

- Quadro 13, campo medio, col. giallo: lunga panoramica a schiaffo dello sfondo – la sala da ballo e gli invitati – che scorre dietro la coppia in primo piano, la quale ondeggia come se fosse essa stessa a ruotare fuori controllo (in realtà i due protagonisti della scena sono immobili, mentre a muoversi è solo lo sfondo).

Tralasciando la scena delle “prove”, in puro stile slapstick e che a nulla vale per l’identificazione della danza (manca per altro nei pochi passi distinguibili la dinamica punta-tacco caratteristica del tango), nella scena ambientata nella sala da ballo è possibile decodificare la tipologia di ballo.

È la presa – nonostante il confusionario sviluppo della danza di Kri Kri nella sala da ballo – a chiarire che di tango si tratta, pur con evidenti intenzioni parodistiche: la dama spostata sul lato destro del cavaliere, petto contro petto, per lasciare le gambe libere di muoversi; i volti pericolosamente vicini e le braccia rigide distese a lato, secondo lo stile europeo205. In realtà a partire dal primo sgambetto che riceve Kri Kri dal cavaliere geloso, la coreutica del novello ballerino si scompone trasformandosi piuttosto in un saltellante spostamento lineare, ora verso sinistra, ora verso destra.

La vera epifania del tango in questo film si dà però nella danza di quella prima coppia che, entrando nella sala da ballo, rivela il tango allo sguardo incuriosito delle coppie circostanti: qui lo stupore per la novità introduce il tango con le braccia rigide e tese di lato all’europea, ora nella direzione della marcia, ora in direzione ad essa opposta, con le teste di profilo. Confermano l’ipotesi le pause, il ritmo binario, i cambi di fronte e direzione. La coppia va da sinistra verso destra, e viceversa, più volte di fronte all’obiettivo della macchina da presa e quello scorrere in orizzontale anziché in senso antiorario, come nelle

milongas argentine, è sintomo qui non tanto dell’adattamento del ballo allo stile europeo,

quanto dell’intervenire di una cifra mostrativa che fa della danza un’attrazione, sotto il duplice sguardo del pubblico della sala – da ballo e cinematografica – tutti parimenti attoniti in quel 1913, di fronte alla novità. In questo senso è la comica il primo genere cinematografico a testare le prime reazioni del pubblico italiano di fronte al vento nuovo che spira d’oltreoceano. Pertanto Kri Kri e il tango è particolarmente importante per una ricostruzione della storia della ricezione del tango in Italia e della danza nel cinema muto.

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Tuttavia non mancano, anche nella produzione italiana del periodo, incursioni nel genere

apache, con conseguente immancabile presenza della danza ad esso correlata.

Emblematico della “danza apache” nel cinema di produzione italiana è il caso di

Sangue bleu206, il film di Nino Oxilia, protagonista una già affermata Francesca Bertini che di lì a poco avrebbe lasciato la Celio Film per la Cines.

In Sangue bleu la danza ha luogo a pochi minuti dalla fine del film, come “scena nella scena”, all’interno dello spettacolo di café-chantant al quale Wilson costringe Elena a partecipare.

L’abbigliamento è ciò che ci permette di riconoscere i protagonisti della “scena nella scena” rispettivamente come un apache e una gigolette: la Bertini ha i lunghi capelli sciolti – un particolare che le conferisce una sensualità “zingaresca” – e indossa una camicia chiara, con un foulard appoggiato sulle spalle a mo’ di scialle e annodato sul petto, una lunga e ampia gonna a pieghe fermata da una fusciacca legata in vita, scarpe con tacco e stringhe intrecciate intorno alla caviglia “alla schiava”, il tutto di colore scuro. Il suo partner di ballo indossa invece un foulard legato al collo; un cappello a tesa larga che potremmo definire “da cowboy”; una camicia e larghi pantaloni chiari fermati in vita da una cintura scura. Qui è il foulard, ora citazione gitana ora simbolo del far west d’oltreoceano, a costituire la metonimia dell’apache e della gigolette, forse ispirandosi ai costumi visti solo qualche anno prima in Afgrunden, indosso ad Asta Nielsen e Poul Reumert.

Dopo una lunga sequenza in montaggio alternato che mostra la Bertini alias Mira, principessa di Monte Cabello207 in camerino mentre si veste per andare in scena, l’intertitolo «La danza della morte» (in originale «De doodendans»), annuncia la sequenza di tango a seguire. Sulla sinistra del quadro due musicisti suonano la chitarra, mentre accanto ad essi, sullo sfondo e sulla destra, sono pigramente disposti altri avventori della locanda che costituisce la scenografia teatrale. La danza si svolge dunque in inquadratura fissa, un totale del palcoscenico teatrale visto frontalmente208.

206 Sangue bleu, regia di Nino Oxilia (Celio Film, 1914). Copia consultata: Een kopie van het Nederlands

Film Museum. Titolo della copia: De Vorstin van Monte Cabello. Dramatische Levensschets in Vier Deeten. Lunghezza originale 1308 m, 5 atti, Durata: 70', Lunghezza originale: 1308 m; lunghezza copia (nitrato, 35mm): 1300 m, Desmet Collection. Didascalie in olandese.

207 Questo il nome del personaggio riscontrato nei titoli della copia olandese, mentre nella versione italiana la

Bertini è Elena, principessa di Montvallon.

208 L’inquadratura in totale del palcoscenico con cui è ripresa la danza, è inframezzata da due inquadrature in

totale del palchetto dal quale il principe di Monte Bello e la sua nuova compagna assistono allo spettacolo, nonché da un’inquadratura in totale della platea, col pubblico seduto in sala.

63 Al totale della platea a teatro segue infatti quello del palcoscenico: Francesca Bertini fuma, pigramente sdraiata su di una panca sul fondo (del quadro e del palcoscenico teatrale insieme). Si alza e con la sigaretta in bocca dà inizio alla coreografia. Il primo movimento è una sorta di tendu del suo piede sinistro, tenuto en dedans, seguito da un

tendu del piede destro en dedans. La sequenza di passi si ripete altre due volte, quindi –

dopo un ultimo tendu a sinistra – l’attrice siede sulle ginocchia dell’apache in avampiano e getta la sigaretta a terra209. Questi siede a un tavolo, quasi in proscenio, fin dall’inizio della sequenza. Quindi i due si alzano. La donna fa due passi indietro e il cavaliere abbraccia la sua dama: è l’inizio della danza di coppia.

Si potrebbe obiettare a questo punto, all’identificazione di questa danza come tango, che l’andamento della stessa varia, anziché essere sempre in senso antiorario: i due ballerini percorrono la superficie del palcoscenico anche in orizzontale e in verticale, dal fondo verso l’avampiano e viceversa, disegnando uno schema “a croce”; oppure si muovono in diagonale e si verificano due cambi di presa (nel primo il cavaliere prende di spalle il braccio sinistro della dama con la mano sinistra; nel secondo i due danzatori ballano di nuovo frontalmente ma con entrambe le braccia stese lateralmente), ma qui non siamo in una milonga, con le coppie disposte in cerchio, e la conformazione rettangolare dello spazio, oltreché la collocazione stessa su di un palcoscenico, giustificano ampiamente variazioni sul tema, peraltro visibili tutt’oggi nel tango da esibizione su palcoscenico o nel tango fantasia, più libero di sperimentare210.

La “danza della morte” termina con una posa di entrambi i ballerini che si inginocchiano211 su di una gamba (la destra per l’uomo, la sinistra per la donna) mantenendo la presa delle braccia. Quindi l’esibizione coreutica viene interrotta dall’omicidio dell’apache in scena (parte della metanarrazione), seguito dal tentato suicidio – metateatrale e cinematografico insieme – della protagonista, la gigolette/principessa di Monte Cabello, che si svolge a entrambi i livelli della finzione drammatica. Il pubblico corre preoccupato verso il palcoscenico, si chiude il sipario e la

209 Si noti l’affinità con la “gauchodansen” di L’abisso (Urban Gad, 1910), in cui Asta Nielsen entrava in

scena con una sigaretta in bocca, che gettava poi via nel corso della danza.

210 R. Farris Thompson, Tango. Storia dell’amore per un ballo, cit., pp. 366-368. Cfr. Lidia Ferrari, Elogio

alla milonga, in E. Muraca, Il tango…, cit., pp. 83-88.

211 La coppia si era già fermata una prima volta in una posa molto simile poco prima, di fronte al pubblico

(poggiandosi rispettivamente sulla gamba destra la donna, sulla sinistra l’uomo), mantenendo la presa delle braccia. Poi, dopo un’ultima serie di passi in diagonale, dall’angolo sinistro in avampiano a quello destro sul fondo del palcoscenico, la medesima posa si verifica una seconda volta, con variazione minima.

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sequenza termina in camerino, con i teatranti che cercano di soccorrere la collega morente e il titolo «De Vorst» («I sostenitori»). (Figg. 14. a.-b.)

Ancora una volta è la presa (braccio destro della Bertini, sinistro dell’apache tesi di lato, all’altezza del volto, mentre il braccio sinistro della dama è sulla scapola destra del partner) il primo elemento identificativo della danza. I volti di profilo; le braccia tese all’europea; petto contro petto per lasciare più spazio alle gambe; poi lo spostamento della dama più decisamente a destra del ballerino, dopo un cambio di presa; la camminata basica; i passi in senso laterale oltreché frontale; il tempo binario; la base ritmica a tratti riconoscibile lento, lento, veloce, veloce, lento; le pause (cortes); le torsioni (quebradas); le ginocchia lievemente flesse (eredità del canyengue) e la dinamica punta-tacco, sono tutti elementi che stabiliscono inequivocabilmente che di “tango apache” si tratta212

.

Interessante è il fatto che il duplice livello narrativo (la scena teatrale nella scena cinematografica) si moltiplica ulteriormente nella misura in cui il “tango apache” costituisce uno spettacolo per gli avventori della locanda che vediamo rappresentata sul palcoscenico, con evidente effetto di mise en abîme su tre livelli di racconto. Ciò sottolinea il valore di attrazione della danza, nonostante sia pienamente giustificata a livello drammaturgico.

Altro caso significativo di danza apache, nello stesso 1914, si riscontra ne Il

supplizio dei leoni213. Qui la scena di danza si svolge all’incirca a metà film (min. 33’58’’),

aprendo il terzo atto. La danza ha luogo all’interno di una locanda, nella quale ames Park si è recato per cercare dei complici che lo aiutino a incastrare l’onesto Fergusson, reporter del giornale «La Verità».

La sequenza inizia con la didascalia esplicativa (33’58’’) «Gij moet mij helpen Fergusson gevangen te nemen. Hij is een spion» (Devi aiutarmi a prendere Fergusson. Lui è una spia), seguita da un piano d’insieme: un totale dell’interno della locanda, con due musicisti intenti a suonare la chitarra e altri avventori del locale disposti ai lati del quadro, mentre al centro, protagonisti della scena, un apache e una gigolette ballano

212

L’ipotesi è inoltre suffragata dal recensore de «La Vita Cinematografica», Torino, 30.07.1914, che definisce la danza della Bertini sul palcoscenico «il tango della morte», cfr. Vittorio Martinelli, Il cinema

muto italiano - I film degli anni d'oro. 1914 seconda parte, numero monografico di «Bianco e Nero», a. LIII,

n. 3-4, 1992, Nuova ERI, Edizioni RAI, Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma, 1993, pp. 205-208.

213 Il supplizio dei leoni, regia di Luigi Mele, Produzione Pasquali Film, Torino, 1914. Titolo copia visionata

presso Eye Library: Overwinnig na strijd [La vittoria arriva dopo la battaglia]. Copia con didascalie in olandese. Lunghezza orginale: 1242 m. (cinque atti); Lunghezza copia, 1220 m (Desmet collection).

65 appassionatamente. Sia la scenografia che la disposizione dei personaggi, presentano singolari elementi di similitudine con il vals apache de L’Empreinte.

La didascalia successiva «James Park heeft zijn plan voorbereid» (James Park ha preparato il suo piano) introduce un’inquadratura in esterno della locanda (34’29’’) che mostra l’arrivo di ames Park, seguita di nuovo (34’42’’) da un’ inquadratura in interno della locanda. Qui, al di sotto di un arco posto sullo sfondo entra in campo Park, mentre in primo piano la coppia di ballerini continua a danzare.

Segue la didascalia (34’51’’) «Saba de woestijnroover wordt bevrijd van de galeien» (Saba, il rapinatore del deserto, viene rilasciato dalla prigione), quindi (34’58) una breve pausa dei ballerini all’interno della locanda: tutti i personaggi in scena si dispongono frontalmente rispetto all’obiettivo per discutere, poi riprendono il proprio posto all’interno del locale replicando la disposizione iniziale, mentre i due ballerini di tango ricominciano la danza, che termina definitivamente (35’58’’) quando i personaggi discutono in avampiano, frontali rispetto alla macchina da presa. La scena della locanda termina quando Park si avvia verso il fondo del quadro, mentre gli altri personaggi lo salutano (36’29’’).

La danza che vediamo appare subito chiaramente come un tango (il ritmo binario e marcatamente cadenzato; la presa dei ballerini fortemente debitrice di quella del

canyengue, col sedere sporgente e le ginocchia piegate; le braccia tese a lato e i volti girati

di profilo secondo lo stile europeo).

A ben guardare la presa delle mani, soprattutto dopo la pausa coreutica, è molto accentuata verso l’alto come nel maxixe brasiliano, mentre altri elementi – la mano del partner sulla vita della dama, il movimento tacco-punta, l’oscillazione e l’inclinazione avanti e indietro – fanno riferimento al vocabolario coreutico della polka argentina (o polka-habanera), qui evidentemente combinati con le torsioni dei fianchi (quebradas), la flessione delle ginocchia e il controtempo delle danze nere della Buenos Aires del 1900, dove prese vita il canyengue214.

Il ballerino poggia la mano destra sulla schiena della ballerina, all’altezza della vita. Il braccio sinistro di quest’ultima nella prima tranche di danza è invece sopra la spalla destra del ballerino, a tratti addirittura attorno al collo di quest’ultimo, come nel

canyengue, mentre dopo la pausa si sposta sotto la scapola, in concomitanza con l’ulteriore

innalzamento della presa delle braccia (destro per la donna, sinistro per l’uomo), che si

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flettono leggermente per alzarsi al di sopra del volto, virando così verso lo stile maxixe cui si accennava.

È significativo il fatto che Park, in cerca di complici per catturare Fergusson, si rivolga all’ambiente apache: si reca quindi in una bettola malfamata, dove trova un consesso di personaggi, i cui costumi – che ricordano da vicino quelli dei gauchos argentini – ci permettono di identificarli come apache. Il pubblico della danza è composto quasi esclusivamente da uomini che indossano per lo più un’ampia camicia chiara, pantaloni scuri lunghi, stivaletti e cappelli di panno a tesa larga. Due fra questi suonano la chitarra. Anche le donne indossano cappelli maschili di foggia simile, una camicia, una gonna lunga, stivali e uno scialle annodato sui fianchi.

Quanto alla coppia che balla, l’uomo indossa un’ampia camicia e pantaloni scuri con due nappe di frange chiare applicate sull’orlo; stivaletti al di sotto dei calzoni e una cintura alta e scura in vita.

La ballerina indossa invece un morbido abito lungo fin sotto il ginocchio e un filo di perle. La parte inferiore del costume, divisa in più drappi, rivela la presenza di una sottogonna. L’abito è senza maniche ma con frange che pendono dalle spalline; lo decora una sottile cintura calata sui fianchi, che termina con una nappa di frange scure. I capelli sono raccolti in una morbida acconciatura da un foulard annodato a mo’ di bandana, che termina con due lunghi drappi, mentre le scarpe scure, col tacco, presentano un incrocio di lacci sul collo del piede.

Ricorrono ancora una volta cappelli a tesa larga, frange, stivali e camicie ampie, tipici dello stile gaucho e che abbiamo visto definire anche quello dell’apache; tuttavia un gesto significativo ci rivela che ancora una volta è il foulard, più o meno ampio, l’indumento simbolo della danza apache: la ballerina indossa la bandana solo durante la

Nel documento La danza nel cinema muto italiano (pagine 61-71)