Modernismo coreutico
IV.3 Orientalismo: coreografia di una seduzione
In apertura del presente capitolo si è accennato alla “rivoluzione dall’interno” che Djaghilev e i Ballet Russes realizzarono in seno alla danse d’école e i cui costumi influenzarono notevolmente la moda femminile del primo Novecento, arricchendola di
430 Per il costume della seconda scena di danza si rinvia al paragrafo nel quale viene affrontata l’analisi della
danza stessa, vd. nota precedente.
431
P. Veroli, Una pioniera del modernismo, cit., p. 26.
137 suggestioni orientali. Si pensi ad esempio a quelli scaturiti dalla fervida fantasia di Bakst per Shéhérazade (1910), balletto coreografato da Fokine, o a quelli ideati da Roerich per
Le Sacre du printemps (1913). Doveva averne subito tutto il fascino esotico Poiret che, già
incline al giapponesismo fin de siècle, nel 1905 aveva realizzato un modello di mantello- kimono433 e nel 1911 probabilmente dopo aver visto Shéhérazade, presentò la jupe-
culotte434: un paio di pantaloni «da harem» da indossare sotto una tunica lunga fino al polpaccio. Proposta da Poiret come veste “da camera”, la novità più che farsi interprete delle istanze coeve del femminismo, s’inseriva nella più ampia corrente dell’Orientalismo. Difatti, se è pur vero che l’adozione di un abbigliamento pseudo-maschile assecondava il luogo comune delle suffragiste “virilizzate” sul modello delle femministe d’oltreoceano435
, è sintomatico il fatto che nell’album promozionale Les Choses de Paul Poiret vues par
Georges Lepape (pubblicato il 15 febbraio 1911), illustrato appunto da Lepape e intriso di
un’aura giapponese, vi sia un’illustrazione che ritrae alcune figure femminili con il turbante in testa, intente ad assistere a una rappresentazione presumibilmente proprio di
Shéhérazade436.
La fantasia di Bakst tanto doveva aver colpito quella del couturier francese che questi per la promozione della Maison organizzò una festa in costume ispirata all’ambientazione de Le mille e una notte (da cui deriva anche la trama del balletto di Fokine), che intitolò La Fête de la Mille et Deuxième Nuit (24 giugno 1911)437 e alla quale parteciparono anche ospiti illustri del mondo della danza: «poi, Regina Badet danzò su un prato senza che l’erba fosse schiacciata dai suoi piedi, tanto era leggera e immateriale. […] Si vide danzare anche la Trouhanowa, generosa e fantastica. E poi la squisita e delicata Zambelli»438. Peter Wollen sottolinea come proprio da quel momento, in concomitanza con l’influenza esercitata dai Ballets Russes, “the Oriental look” dominò la moda e le arti decorative. Egli suggerisce inoltre che Léon Bakst, Paul Poiret e Henri Matisse crearono una scenografia dell’Oriente che consentì di ridefinire l’immagine del corpo, in special modo di quello femminile439. In realtà i costumi e le scenografie ideati da Bakst, così come la donna vestita da Poiret, s’inseriscono nel più ampio contesto dell’orientalismo primo- novecentesco.
433
E. Morini, Storia della moda…, cit., p. 145.
434 Ivi, p. 151.
435 M. De Giorgio, Le italiane dall’Unità a oggi…, cit., p. 218. 436 E. Morini, Storia della moda…, cit., pp. 151-152.
437 Ivi, p. 152-155. 438
Ivi, p. 154.
138
Edward Said, nel suo celebre saggio del 1978440 definisce l’orientalismo come quella «branca specialistica del sapere», il cui «inizio nell’Occidente cristiano viene di solito fatto coincidere col Concilio di Vienne del 1312, nel corso del quale fu decisa l’istituzione di una serie di cattedre di “arabo, greco, ebraico e siriaco a Parigi, Oxford, Bologna, Avignone e Salamanca”»441. Egli identifica dunque l’origine del fenomeno con
l’istituzione delle prime cattedre di lingue orientali in Europa, descrivendolo così come una disciplina accademica e dimostra come l’orientalismo sia essenzialmente un prodotto dell’Occidente: «una sorta di proiezione occidentale sull’Oriente con la volontà di dominarlo, prima intellettualmente poi anche materialmente»442. Ma soprattutto chiarisce l’ambito teorico ascrivibile al concetto di “Oriente”, tentando di delinearne i confini geografici, culturali, linguistici ed etnici, dandone così una definizione, pur provvisoria e suscettibile di variazioni nel corso tempo443: se ne ricava un territorio che grossomodo si estende dal Marocco alla Cina, nel grande calderone che diviene l’orientalismo a metà Ottocento.
Tralasciando i successivi sviluppi del fenomeno che non interessano il periodo cui qui facciamo riferimento, giungiamo al 1798, quando l’invasione napoleonica dell’Egitto apre la strada all’orientalismo moderno444. L’occupazione francese impresse una forte accelerazione all’interesse occidentale nei confronti dell’Oriente, anche per effetto della
Description de l’Ég pte445
sull’humus culturale europeo: grazie alla campagna napoleonica
si andava infatti ampliando il bagaglio di suggestioni, immagini e conoscenze a disposizione degli orientalisti per creare un Oriente “addomesticato” e dunque meno pericoloso446. Certo l’orientalismo nei secoli XIX e XX ebbe un’ampia diffusione anche perché le distanze geografiche si ridussero447, cosicché l’Europa colonialista che andava alla ricerca di nuovi mercati e risorse da sfruttare trasformava l’orientalismo stesso «da
440
Edward W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Milano, Feltrinelli, 2007 (1ªed.:
Orientalism, New York, Pantheon Books, 1978).
441 Ivi, p. 56. 442
Ivi, p. 100.
443 Ivi, p. 57: “In linea di massima, sino alla metà del secolo XVIII gli orientalisti furono studiosi della Bibbia
e delle lingue semitiche, esperti dell’islam oppure, dopo che i gesuiti ebbero stabilito intense relazioni con l’Estremo Oriente, sinologi. L’Asia centromeridionale non divenne preda accademica degli orientalisti prima della fine del Settecento […]”.
444 Ivi, p. 81.
445 AA. VV., Description de l'Égypte, ou Recueil des observations et des recherches qui ont été faites en
Égypte pendant l'expédition de l'armée française, publié par les ordres de sa ma esté l’empereur Napoléon le grand, 23 voll., Imprimerie impériale, Paris, 1809-1829.
446
E. W. Said, Orientalismo, cit., p. 92.
139 discorso di dotti a istituzione imperiale»448. Fatto sta che in seguito alla spedizione napoleonica nacque una nutrita serie di opere artistiche e letterarie, ad opera di pittori come Delacroix e Decamps e scrittori come Nerval e Flaubert, per fare alcuni esempi.
L’orientalismo fu dunque un “chiodo fisso” della cultura francese durante il XIX secolo e ricevette una nuova spinta dalla comparsa nel 1899 di una nuova traduzione de Le
mille e una notte ad opera di J.-C. Mardrus, pubblicata dal giornale simbolista «Revue
Blanche» e apparsa in volumi successivi nei cinque anni a seguire449.
Sia per Nerval che per Flaubert vale la stessa considerazione: “le loro opere di ispirazione orientale costituiscono una parte significativa della loro oeuvre complessiva”450
. Basterà qui ricordare per il primo Le voyage en Orient (1851)451 e per il secondo il Voyage en Egypte (1849-50). Per entrambi, nota ancora Said «figure femminili come Cleopatra, Salomé e Iside ebbero un significato speciale; e non si può in alcun modo ritenere casuale che nelle loro opere ambientate in Oriente, così come nei loro viaggi laggiù, essi abbiano particolarmente valorizzato tipi femminili di tale genere leggendario, riccamente suggestivo ed evocativo»452 e più avanti scrive: «negli scritti di viaggiatori e romanzieri […] la donna è quasi sempre una creazione delle fantasie di predominio dell’uomo; esprime una illimitata sensualità, è più o meno stupida e, soprattutto, disponibile. La Kuchuk Hanem di Flaubert è il prototipo di tali caricature»453.
A tal proposito è sintomatico che allorché Flaubert introduce nella sua produzione letteraria dei personaggi femminili orientali, per connotarli della loro proverbiale sensualità, li ritragga reiteratamente mentre danzano o alla danza alludono. È così in
Salammbô454 (1862-1879), ne La tentation de Saint Antoine (soprattutto nella prima delle
sue tre redazioni455, che contiene la descrizione di una danzatrice che balla con un aspide456) e in Hérodias (1877, è il terzo dei Trois contes) ad esempio, dove l’autore ricorre alla danza quale veicolo di seduzione esotica, che conferma un’immagine stereotipata della donna orientale. Scrive infatti Flaubert in Salammbô:
448 E. W. Said, Orientalismo, cit., p. 100.
449 Cfr. P. Wollen, Fashion/Orientalism/The Body, cit., p. 8. 450
Ivi, p. 181.
451 Cfr. La versione online dell’Enciclopedia Treccani, alla voce «Nerval ‹nervàl›, Gérard de»
(http://www.treccani.it/enciclopedia/gerard-de-nerval/#operen-1).
452 E. W. Said, Orientalismo, cit., p. 182. 453
Ivi, p. 206.
454 Gustave Flaubert, Salammbô, Éd. déf., Paris, Charpentier, 1879, p. 344. Per la versione in lingua italiana,
cfr. [Gustave] Flaubert, Tutti i romanzi, a cura di Massimo Colensanti, Roma, Newton Compton editori, 2011, p. 382.
455 La prima risale al 1848-1849, la seconda al 1856 e la terza fu pubblicata nel 1874. Cfr. Massimo
Colesanti, Nota introduttiva all’opera, in [G.] Flaubert, Tutti i romanzi, cit., p. 714.
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les prêtresses les suivaient dans des robes transparentes de couleur jaune ou noire, en poussant des cris d’oiseau, en se tordant comme des vipères; ou bien au son des flûtes, elles tournaient pour imiter la danse des étoiles, et leurs vêtements légers envoyaient dans les rues des bouffées de senteurs molles. […] D’ailleurs le principe femelle, ce jour-là, dominait, confondait tout: une lasciveté mystique circulait dans l’air pesant […].457
E nella prima edizione de La tentation: «au milieu une danseuse, vêtue d’un caleçon de plumes de paon et les cheveux noués par un aspic, qui du front, lui coulant sur l’épaule pour s’entortiller à son col, laisse retomber entre ses seins sa tête qu’il dresse en avant quand elle danse, balance au mouvement de sa taille, sur les bras levés».458
Nell’edizione de La tentation de Saint Antoine del 1874, tra i numerosi riferimenti coreutici (termini come danse e danseuse compaiono innumerevoli volte nel testo) figura l’espressione «je danse comme une abeille»459. Quella stessa “danza dell’ape” affiorava
dalle pagine del Voyage en Egypte, proprio nelle sensuali movenze di Kuchuk Hanem460; da quelle stesse pagine emerge anche il referente della danza di Salomè, così come l’autore la descrive minuziosamente in Hérodias:
ses pieds passaient l’un devant l’autre, au rythme de la flûte et d’une paire de crotales.
Ses bras arrondis appelaient quelqu’un, qui s’enfuyait toujours. Elle le poursuivait, plus légère qu’un papillon, comme une Psyché curieuse, comme une âme vagabonde, et semblait prête à s’envoler.
[…] Les paupières entre-closes, elle se tordait la taille, balançait son ventre avec des ondulations de houle, faisait trembler ses deux seins, et son visage demeurait immobile, et ses pieds n’arrêtaient pas.
[…] Elle dansa comme les prêtresses des Indes, comme les Nubiennes des cataractes, comme les bacchantes de Lydie. Elle se renversait de tous les côtés, pareille à une fleur que la tempête agite. Les brillants de ses oreilles sautaient, l’étoffe de son dos chatoyait; de ses bras, de ses pieds, de ses vêtements jaillissaient d’invisibles étincelles qui enflammaient les hommes. […] Sans fléchir ses genoux en écartant les jambes, elle se courba si bien que son menton frôlait le plancher […].
Ensuite elle tourna autour de la table d’Antipas, frénétiquement, comme le rhombe des sorcières […] Elle tournait toujours; les tympanons sonnaient à éclater, la foule hurlait. […] Elle se jeta sur les mains, les talons en l’air,
457 Gustave Flaubert, Salammbô, Éd. déf., Paris, Charpentier, 1879, p. 344. Cfr. [G.] Flaubert, Tutti i romanzi,
cit., p. 382.
458 [G. Flaubert,] Oeuvres complètes de Gustave Flaubert, cit., pp. 255.
459 [Gustave Flaubert,] La tentation de Saint Antoine, par Gustave Flaubert, Paris, Charpentier, 1874, p. 48.
Per la traduzione italiana, “danzo come un’ape”, Cfr. [G.] Flaubert, Tutti i romanzi, cit., p. 728.
141 parcourut ainsi l’estrade comme un grand scarabée; et s’arrêta, brusquement”461
.
Ancora nel Voyage si trova: «Kuchuk si è spogliata ballando. Quando si è nudi, si tiene solo un fisciù462 con cui si fa il gesto di nascondersi e si finisce col gettar via il fisciù; ecco in cosa consiste l’ape. […] dopo aver saltato con quel famoso passo, con le gambe che passavano l’una davanti all’altra, è ritornata ansimando a coricarsi sull’angolo del divano, dove il suo corpo si muoveva seguendo il tempo»463.
Da Hérodias a Kuchuk, non solo torna il medesimo passo (le gambe che passano l’una davanti all’altra), ma scopriamo che la danza dell’ape è una sorta di striptease
d’antan, assimilabile alla proverbiale “danza dei sette veli” di Salomè, così come ce
l’hanno consegnata la tradizione e il dramma di Oscar Wilde ad essa intitolato (1893). È Stacia Napierkowska464, ballerina francese protagonista negli anni Dieci e Venti di numerosi film per la Pathé e la Film d’Arte Italiana, a fornire ulteriori informazioni su questa peculiare danza esotica. Prima di giungere in Italia (1914), aveva debuttato al Palace Theatre di New York con lo spettacolo The Captive, nel quale interpretava una principessa catturata da una compagnia di arabi, che danzava in cambio della propria libertà. Il ballo in questione è ancora una volta la “danza dell’ape”:
io imploravo la mia libertà ed il capo me la prometteva a patto che ballassi la danza dell’ape: un’ape nascosta nella rosa che colgo; tento di scacciarla, ma questa mi svolazza intorno. Ogni volta che sto per afferrarla, l’insetto mi sfugge. Spaventata al pensiero d’essere punta, la principessa cerca di difendersi con la sua sciarpa, ma troppo tardi. Contorcendosi per il dolore della forte puntura, la principessa vorrebbe strapparsi di dosso l’abito, ma non osa compiere tale atto in presenza degli arabi e infine impazzisce e cade sulla sabbia465.
Forse una simile diegesi stava anche all’origine dell’esibizione di Kuchuk Hanem, che dunque agitava il fisciù per scacciare l’insetto, poi si spogliava in preda a un dolore insopportabile, infine si coricava sul divano – come la Napierkowska si gettava sulla sabbia – e continuava ad agitarsi animata dalla febbre della puntura velenosa. Certo è che
461 Gustave Flaubert, Trois contes (5e éd.), Paris, G. Charpentier, 1877, pp. 238-241, Cfr. [G.] Flaubert, Tutti
i romanzi, cit., pp. 842-843.
462
Cfr. la definizione riportata dall’enciclopedia Treccani online (http://www.treccani.it/vocabolario/fisciu/ ): «s. m. [dal fr. fichu, sostantivazione di fichu part. pass. di ficher «ficcare»: propr. «messo in fretta, alla meglio»]. – Fazzoletto di forma triangolare, con gale o frange, di stoffa leggera o di lana, di seta o di merletto, usato dalle donne, spec. nel passato, come elegante drappeggio per coprire le spalle e il petto […]».
463 Cfr. G. Flaubert, Viaggio in Egitto, a cura di L. Pietromarchi cit., p. 123. 464
Vd. infra, pp. 215 e sgg.
142
quale che fosse la narrazione sottesa alla coreografia, alcuni elementi di essa costituiranno un cliché ricorrente nella coreutica orientalista, del quale rimarrà traccia anche nel cinema.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento la dilagante voga orientalista, oltre alla pittura e alla letteratura, contagiò anche l’arte coreutica occidentale, in quel periodo interessata da una forte spinta innovatrice. Se i Ballets Russes permisero al vento che spirava da est di scompaginare il rigido schematismo della danza accademica, le pioniere della danza moderna, a partire dalla fine dell’Ottocento, portarono l’Oriente anche nella “danza nuova” che promuovevano.
Eccetto la Duncan – che si rifaceva alla teatralità dell’antica Grecia e per la quale dunque l’esotismo coincise con un’altrove “cronologico” anziché spaziale – attinsero ampiamente all’immaginario orientalista sia Loïe Fuller466
, la cui Danse Serpentine (1892) altro non era in fondo che una rivisitazione della proverbiale danza dei veli467, che Ruth St. Denis, il cui capolavoro, Radha. La danza dei cinque sensi (1906), metteva in scena una dea indiana.
Gaylyn Studlar ha lucidamente riconosciuto la complessità delle ragioni che presiedono alla contaminazione della danza con l’orientalismo: non il frutto di una superficiale fascinazione, ma l’espressione più o meno consapevole delle istanze della donna nuova in progressiva ascesa. Pur riferito nelle intenzioni dell’autrice al solo contesto americano, ritengo che il discorso possa essere esteso anche a quello europeo:
the New Woman’s desires for freedom were strongly felt in American concert dance, which became one place where the emblematic value of the Orient as a locus of release from repression could be safely acted out with pagan abandon […]. In dance, those qualities of the New Woman […] became attached to sensual ritualized movement and to the spectacle of orientalized identities associated with ambiguous feminine power.
466 Per un approfondimento su Loïe Fuller, Cfr. anche Tom Gunning, Loïe Fuller and the Art of Motion, in La
decima musa, atti del VI Convegno DOMITOR/VII Convegno Internazionale di Studi sul Cinema,
Udine/Gemona del Friuli 21-25 marzo 2000, a cura di Leonardo Quaresima;Laura Vichi, Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali, Università degli Studi di Udine, ed. Forum, pp. 25-34.
467 Cfr. Elisa Uffreduzzi, Salomé, modern dance and the liberation of female body in early cinema, paper del
convegno internazionale Doing Women’s Film History: Reframing Cinema Past & Future, hosted by the Centre for Research in Media and Cultural Studies, University of Sunderland, in association with Women's Film History Network-UK/Ireland (13-15 April 2011), scaricabile online all’indirizzo http://wfh.wikidot.com/dwfh-full-programme. La Serpentina si basava sul movimento impresso alla stoffa dell’ampio costume attraverso lunghe bacchette cucite al suo interno e mosse dalle braccia della danzatrice, mentre girava vorticosamente su se stessa. Cfr. i brevetti depositati dalla stessa Fuller, riportati in P. Veroli,
143 Women’s newly realized social and sexual freedoms were crystallized in dance in the figure of Salome468.
Anche Loïe Fuller fu autrice di ben due spettacoli incentrati sulla figura di Salomè, il primo nel 1895 e il secondo nel 1907, la base dei quali era ancora una volta la Serpentina in varie versioni, mista a sequenze mimiche. A tal proposito è Patrizia Veroli, in un recente e accurato testo sulla Fuller, a condensare il portato orientalista nella danza Serpentina: «la descrizione di linee serpentine d’altro canto ha caratterizzato la visione delle danze orientali, quelle reali, ma molto più spesso quelle immaginarie, da parte di tutta una pletora di artisti che negli ultimi decenni dell’800 ne fecero la sigla di un Oriente in gran parte inventato. […] Già la Serpentine di Loie si prestava ad essere percepita in questa chiave».469 Vi era cioè, da parte della danzatrice americana, la consapevolezza di portare in scena l’Oriente attraverso la danza e l’icona della danzatrice biblica si prestava ad esserne il tramite ideale. La figura di Salomè aveva infatti dato luogo ad una vera e propria mania già a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, quando si era inserita nella tradizione moderna delle femme fatale, cui avevano attinto numerosi artisti, tra i quali Moreau470, Mallarmé471 e il già citato Flaubert472.