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Barelli, premessa al testo di F Bellandi, Milano 1979.

All’interno del secondo paragrafo intitolato La rivolta contro la letteratura, l’A. affronta il problema dei Choliambi, tappa doverosa per tutti coloro che si avvicinano allo studio del Volterrano, proemio e dichiarato manifesto letterario dell’intera opera satirica del Volterrano. La Penna introduce il discorso sui quattordici versi coliambi attraverso alcune precisazioni fondamentali: la scelta del genere della satira è stata per Persio in un certo senso obbligata dal suo amore per la filosofia stoica, dal suo attaccamento ai problemi morali e alla vita quotidiana. La satira, quindi, viene intesa come necessità e come un “impulso irresistibile, a cui bisogna obbedire rompendo con le mode letterarie del tempo e rischiando il discredito, l’isolamento, l’ostilità pericolosa dei potenti (p. 11)”. Si tratta quasi del diritto di sfogare il proprio disgusto135, così come prima di lui fecero Lucilio136 e Orazio137; ecco perché la

battute della commedia.

135

La gravità della corruzione ravvisata nella Roma contemporanea spinge il poeta all’aggressività caratteristica di Lucilio piuttosto che alla fine ironia oraziana.

poesia contemporanea è parte integrante della corruzione della società, partecipa al vizio morale e lo trasforma in vizio letterario, una mollezza d’immagini che ha le proprie radici nella poesia neoterica ellenizzante di Catullo fusa assieme alla sublimità fittizia del genere epico e tragico138 (p. 12). L’A. sostiene che il conato d’indignazione di Persio nasce proprio nel ravvisare l’ambizione da parte di poetastri contemporanei di superare il Virgilio epico da un lato e, allo stesso tempo, di primeggiare nel gusto di una nuova maniera neoterica iniziata con Ovidio. È alla perversione letteraria serpeggiante a Roma sia tra i poeti che tra l’uditorio presente alle recitationes pubbliche che il poeta intende opporre il suo netto rifiuto, bollandolo sia da un punto di vista filosofico-morale che letterario (p. 14). Per questo motivo il rigetto di Persio per la poesia contemporanea risulta essere indubbio, “ma quale l’atteggiamento verso la poesia del passato?” (p. 15). L’occasione puntuale offerta a La Penna per parlare dei Choliambi sembra rappresentata da tale quesito; in effetti la domanda gli serve per prendere le distanze da chi, prima di lui, aveva inteso di vedere nel breve componimento di Persio un attacco aspro e bellicoso a tutta la poesia del passato che si pretendeva ispirata dalle Muse. Solamente leggendo in maniera superficiale il proemio139 alla raccolta delle sei satire si potrebbe cadere in tale tranello, così come basterebbe ben poco, per uno studioso non avveduto, a ravvisare tagli e giustapposizioni tra i versi inesistenti, i quali andrebbero a minare l’unità interna140

stessa del proemio-prologo. È vero che Persio non intende

136

Pers. 1, 114-5: secuit Lucilius urbem,/te Lupe, te, Muci, et genuinum fregit illis. 137

Pers. 1, 116-8: omne vafer vitium ridenti Flaccus amico/tangit et admissus circum praecordia

ludit/callidus excusso populum suspendere naso.

138

Pers. 1, 14: grande aliquid quod pulmo animae praelargus anhelet. 139

La Penna dà come del tutto assodato il fatto che i Choliambi rappresentino il proemio delle Satire di Persio e li colloca davanti alla raccolta; infatti dice in nota 6 a p. 15: “Nessuno avrebbe dubitato del carattere proemiale se i coliambi fossero stati tramandati al loro posto, prima delle satire; […]. Difficile dire perché siano finiti in fondo all’opera: potrebbe aver indotto a questa soluzione la differenza di metro […]”. Il dato che, solo, basterebbe a dimostrare il carattere proemiale dei quattordici versi sarebbe la voluta contrapposizione al motivo dell’iniziazione poetica da parte delle Muse propria dei proemi di Esiodo, Callimaco, Ennio, Properzio: “ […] Ai proemi tradizionali si contrappone un proemi, molto meglio che un commiato […]”.

140

In aggiunta alle argomentazione che nel corso degli anni si sono accummalate in difesa dell’unità dei Choliambi La Penna ne evidenzia una: la preparazione della chiusa (v. 12) mediante il quod si, che troverebbe il parallelo con sei casi in Properzio (Prop. 2, 14, 31; 2, 26b, 57; 2, 28a, 25; 2, 32, 61; 3, 6, 41; 3, 14, 33).

collocarsi nella tradizione dei poeti iniziati sul Parnaso e che l’autodefinizione

semipaganus, da tradurre come semirusticus, lo allontana dalla divina ispirazione e

dall’urbanitas oraziana, ma ciò non lo caratterizza, sulla base d’un discorso aprioristico, come poeta in rivolta contro tutta la tradizione e tutto il presente (p. 16). Tuttavia è corretto ravvisare anche che Persio finge di non possedere una mens

divinior e os magna sonaturum degna di un poeta vero141 e rende palpabile l’eco di Hor. epist. 2, 1, 48-9 paupertas impulit audax/ut versus facerem: come se Persio dicesse “la fonte della mia poesia non è nell’ispirazione divina, ma nel bisogno”; sullo sfondo del proemio bisogna leggere prima di tutto un dibattito, quella che viene chiamata “teoria del venter magister artis”: come certi uccelli riescono ad imitare la voce dell’uomo per riceverne in cambio cibo per il proprio venter, così la paupertas

audax fa diventare poeti142, anche senza bisogno dell’investitura divina. Ma, a conti

fatti, qual è il vizio della società del tempo che Persio non sopporta? Il borbottio ellenizzante chaere espresso dal pappagallo e dalla gazza, che possiede la stessa natura dei grecismi vuoti dei versificatori succubi nell’imitazione di modelli letterari, ipocriti nel convincimento di esserne addirittura superiori: secondo l’A. è la spes del

dolosus nummus143 il motore del perverso convincimento che rende i poetastri imitatori servili e privi di originalità (quindi il guadagno non il bisogno) (p. 17).

Il concetto di persona, proveniente dalla critica anglosassone144, gioca un ruolo fondamentale nei Choliambi e la maschera adottata in questo contesto proemiale non è altro che un modello che il poeta foggia di se stesso: esiste uno scarto fra sentimenti realmente provati da Persio e quelli emersi da sotto tale filtro. La rottura col passato, pertanto, va letta alla luce di simile concetto: “Persio richiama, certo, il topos tradizionale dell’ispirazione poetica divina e allude chiaramente a Ennio e Properzio (Prop. 3,1; 3, 3), ma ha in mente, anzi, sotto gli occhi, soprattutto l’uso che ne fanno i poeti contemporanei, privi, secondo lui, di originalità” (p. 18).

141

Concetto presente in Hor. serm. 1, 4, 39-44. 142

Nell’epistola esaminata Orazio, poeta ormai famoso, aveva svelato che ancora giovane, appena scampato alla battaglia di Filippi, era stato indotto a far versi dalla povertà.

143

La Penna traduce dolosus con “fallace”, non tanto “ingannevole”. L’aggettivo, in sostanza, sarebbe riferito a spes attraverso un’enallage).

144

Per rispondere al quesito iniziale secondo il quale si debba accogliere o meno il rifiuto netto di Persio nei confronti degli autori consacrati del passato il La Penna risponde negativamente: l’aggressività del poeta riguarderebbe il presente e, di conseguenza, più che contro i poeti l’arriga sarebbe scagliata contro il topos poetico in senso stretto. In direzione parallela a questa, la Ringkomposition, che torce la struttura del componimento in un anello i cui punti limitali (v. 1 e v. 14) andrebbero a richiamarsi vicendevolmente, dimostrerebbe la compattezza unitaria dei versi sia da un punto di vista formale che da un punto di vista concettuale e confermerebbe la polemica contro i contemporanei (e non verso Ennio, Properzio, Orazio, Ovidio) rei di una imitazione senza ritegno e di pretendere d’essere ispirati da una fonte divina (20). Ecco che i Choliambi, prologo unitario, non entra in contrasto col resto dell’opera, né deve essere considerato composto alla fine della breve vita dal momento che regna la più completa incertezza sulla successione cronologica145 delle sei Saturae.

Ultima osservazione: “Nei coliambi è stato sentito il disprezzo per Properzio. Il poeta elegiaco è certamente presente nel proemio, ma in compagnia di Ennio; che la caratterizzazione di se stesso come semipaganus, cioè come semirusticus, sia una allusione polemica a Prop. 2, 5, 25-6 è per me poco credibile (p. 21)”, poiché la figura del poeta incoronato d’edera è luogo comune per cui Persio non aveva il benché minimo bisogno di ricorrere a Properzio. Addirittura La Penna pensa che il Volterrano guardasse al poeta delle elegie romane Properzio con stima, confrontando Pers. 1, 57-75146 con Prop. 4, 1147.

Con il proemio dei Choliambi Persio non si pone come distuttore della poesia del passato, ma come un “poeta che a certe tradizioni letterarie guarda con rispetto, senza confondere il rispetto con il servilismo” (p. 22).

145

L’A. elenca l’ordine cronologico proposto dal Villeneuve, Marmorale, Recford, De Risi nella nota n. 10, 19-20.

146

In questo passo Persio colpisce i poeti epici ellenizzanti che aspirano al sublime ma che non possiedono l’abilità neppure per descrivere un sano paesaggio agreste della campagna romana. 147

La Penna 1979: l’interpretazione dei Choliambi in sintesi. Interpretazioni filologico-testuali

a) I Choliambi di Persio costituiscono il proemio alle Saturae, dichiarato manifesto letterario della sua poetica.

b) I Choliambi sono un componimento unitario, come è deducibile dalla

Rinkomposition del primo e dell’ultimo verso.

c) Semipaganus = semirusticus.

intepretazioni letterarie

a) La scelta del genere satirico è dettata a Persio dalla sensibilità filosofico-stoica per la denuncia dei problemi morali della vita quotidiana.

b) La poesia contemporanea ha le radici nella poesia neoterica ellenizzante di Catullo fusa assieme alla sublimità fittizia del genere epico e tragico, forma parte integrante della corruzione della società, partecipa al vizio morale e lo trasforma in vizio letterario.

c) La perversione letteraria serpeggia a Roma sia tra i poeti che tra l’uditorio presente alle recitationes pubbliche.

d) Persio dice “la fonte della mia poesia non è nell’ispirazione divina, ma nel bisogno”.

e) “Teoria del venter magister artis”: come certi uccelli riescono ad imitare la voce dell’uomo per riceverne in cambio cibo per il proprio venter, così la paupertas audax fa diventare poeti, anche senza bisogno dell’investitura divina.

f) E’ la spes del dolosus nummus il motore del perverso convincimento che rende i poetastri imitatori servili e privi di originalità (quindi il guadagno, non il bisogno). g) l’aggressività di Persio riguarda il presente e, di conseguenza, più che contro i poeti consacrati dalla tradizione l’arriga sarebbe scagliata contro il topos poetico. h) Nei Choliambi l’allusione polemica a Prop. 2, 5, 25-6 non sussiste, poiché la figura del poeta incoronato d’edera è luogo comune per cui Persio non aveva il benché minimo bisogno di ricorrere a Properzio.

i) Il Volterrano guarda al poeta delle elegie romane Properzio con stima (confronto Pers. 1, 57-75 con Prop. 4, 1).

E. Pasoli, Attualità in Persio, in: E. Pasoli, Tre poeti latini