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Ippocrene, rimaneggiamento del topos dell’iniziazione poetica esiodea?

(Pers. prol. 1 - Nec fonte labra prolui caballino)

Da Omero all’età imperiale fu ininterrotta tradizione (prima) greca e (poi) latina il fatto che il poeta ottenesse il dono dell’ispirazione poetica da parte delle Muse (in alternativa anche da Apollo o da Dioniso) nelle quali riponeva la giustificazione dell’origine dei propri versi. In virtù della responsabilità divina sui contenuti dei componimenti poetici era costume che all’inizio dell’opera l’autore invocasse queste “entità dell’ispirazione”, finanche a sentirsi legittimato nel ricevere dalle stesse una sorta di investitura letteraria.347 Dall’età ellenistica in poi si nota però che un’altra “entità” si aggiunge a quella divina nel ruolo di garanzia della genesi dell’opera letteraria, a volte anche sostituendola nella funzione sovrumana di originare l’atto poietico tout-court: un illustre predecessore indica la via da seguire all’aspirante poeta per il futuro e la bontà del metodo seguito già nel passato. In altri termini, giustapponendo le Muse e autori/modelli è come se i poeti ellenistici consolidassero l’opposizione tra ispirazione divina e tecnica compositiva.

347

Nello Ione348, Platone afferma:

Cosa lieve, alata e sacra è il poeta, e incapace di poetare se prima non sia ispirato dal dio e non esca fuori di senno, e non ci sia più ragione in lui; […] siccome non per arte poetano e dicono molte belle cose sui loro argomenti, […] bensì per sorte divina, ciascuno dei poeti può far bene solo ciò a cui la Musa lo spinge – chi ditirambi, chi encomi, chi ipochermi, chi poemi epici, chi giambi – e in ogni altro genere non vale niente. In realtà compongono tali carmi non per techne ma in virtù di una forza divina, perché se sapessero per techne come esprimersi bene su un singolo argomento, lo saprebbero fare anche su tutti gli altri.

Per Aristotele, al contrario è la techne che permette la rappresentazione dell’universale; egli propone una concezione più “laica” della poesia, come derivante dalle particolari abilità dell’autore e non più dall’ispirazione del dio.

Nonostante il cambiamento di concezione, se dalla poesia ellenistica in poi il clima intellettuale, più vicino a quello aristotelico che a quello platonico, non aveva più elementi in comune con la necessaria e fondamentale ispirazione divina (la sola a fornire al poeta gli strumenti poetici), non si volle rinunciare al senso di sacralità, quasi fosse un privilegio vero e proprio rispetto al resto dei technitai di professione. Perciò, anche se non si esitava ad enfatizzare l’abilità creativa tutta personale e professionistica dell’attività, svelando al pubblico di aver imparato a far poesia da questo o da quell’autore precedente, lo si faceva trasformando tale idea di apprendimento da un autore/modello, un’investitura altrettanto nobilitante quanto l’investitura divina.

In ogni caso, l’introduzione del personaggio di un autore/modello come unica e sola “garanzia” di una techne specifica non è contemplata da tutti gli autori di età ellenistica, né dalla totalità degli autori successivi. Per esempio, l’Idillio 7 di Teocrito, il carme bucolico dal tono più palesemente programmatico, narra di un poeta di città, tale Simichida, che riesce a superare Licida, il già celebre cantore bucolico, grazie all’ispirazione delle Ninfe venutegli in soccorso. Anche Eronda,

l’autore di mimi nel metro tipico dell’inventor Ipponatte, il coliambo, dedica il

Mimiambo 8 alla difesa della propria poetica un componimento apologetico e di

contenuto programmatico in forma allegorica; l’agone poetico intrapreso contro il vecchio Ipponatte, lo decreterà vincitore, grazie a un intervento non infruttuoso dello stesso Dioniso349.

Nel prologo degli Aitia, Callimaco si oppone alle tendenze poetiche contemporanee, prima di introdurre e motivare il suo personale modo di far poesia: parallelamente al suo modello Esiodo, anch’egli invoca la protezione e l’aiuto delle Muse e di Apollo. Immaginandosi trasportato in sogno dalle Muse da Cirene (la sua patria libica) all’Elicona, luogo deputato all’incontro con le dee, elabora quindi una specie di specializzazione, in termini tecnici, della tradizionale idea di ispirazione musaica in generale: infatti, a differenza del celebre proemio esiodeo350 in cui l’incontro con le Muse era avvenuto alle pendici del monte, Callimaco situa lo scenario in prossimità di Ippocrene, in alta quota, quasi sulla vetta. Senza addentrarci del resto all’analisi delle rielaborazioni latine, che rievocheranno l’Esiodo presso Callimaco proprio attraverso la bevuta della sorgente musaica Ippocrene o Aganippe. Per riassumere: ci troviamo di fronte a un modello, Esiodo appunto, che a sua volta è modello per Callimaco, il quale non si limita a riproporre gli elementi tradizionali, bensì li adatta e li rimaneggia attraverso l’originale idea di bere a una fonte, un tipo d’iniziazione che prima di Callimaco non esisteva in quanto cara allegoria della propria poetica.

Una volta chiarito che Ippocrene rappresenta una “rivisitazione” callimachea della scena proemiale della Teogonia di Esiodo passiamo al mondo latino. Mettiamo da parte (per il momento) Ennio, che importò a Roma il topos proemiale e veniamo a Properzio351: anch’egli sogna di trovarsi sull’Elicona, dove giace a fianco della divina fonte, dalla quale un tempo, prima di lui, già Ennio aveva bevuto; mentre compie il movimento di chinarsi per bere, Apollo lo interrompe nell’azione, indirizzandolo a una fonte meno celebre, dove le Muse lo bagnano con l’acqua consacrandolo poeta. 348Plat. Ion. 534b-c. 349 MIRALLES 1992, 111. 350 Hes. Theog. 23. 351 Prop. 3, 3.

Dato che il motivo della bevuta alla fonte delle Muse non si limita affatto al proemio degli Annales di Ennio o all’elegia di Properzio352 l’acqua dell’Ippocrene è da considerarsi manifestazione topica dell’aspirazione poetica delle Muse rivendicata dai rappresentanti dei generi “alti” della poesia.

Ippocrene: Coniando il termine fons caballinus, perifrasi per indicare

Ippocrene sulla scia dello stesso Properzio353 e Ovidio354 Persio intende farsi beffe del topos della bevuta “letteraria”: il sostantivo caballus, usato originariamente per il cavallo da lavoro (in genere anche da Orazio355, già prima di Petronio era diventato sinonimo di equus, per lo più senza connotazione negativa: il fatto che venga usato nella satira356) testimonia un preciso intento parodistico dissacrante. Lo stesso vale poi anche per il verbo proluere usato da Persio: mentre nel linguaggio colto della poesia, talvolta il verbo bibere era sostituito con l’immagine più discreta del bagnarsi le labbra, nel caso del linguaggio satirico diventa uno sciacquarsi completamente alla fonte, uno sguazzare volgare che suscita la caricatura stessa dell’azione tradizionale. Anche Persio, citando Ippocrene si è reso protagonista di un rimaneggiamento del

topos proemiale di Esiodo: il rifiuto della ispirazione musaica. Callimaco stravolge la

modalità con cui avviene la sua iniziazione poetica rispetto ad Esiodo, a sua volta Persio stravolge Esiodo accettando la versione di Callimaco, e travolge Callimaco rifiutando la divina bevuta alla fonte.

La figura delle Muse e quella degli autori/modelli in Persio viene trasformata in qualcos’altro talmente privo di significato da non riuscire a ricordare niente di esso, come se fosse un dettaglio insignificante.

352

Anche in Prop. 2, 10, 25-6; in Lucil. 1008 M.; in Iuv.7,58 sgg. 353

Prop. 3, 3, 2 354

Ov. trist. 3, 7, 15; Ov. met. 5, 312 ; Ov. fas. 3, 450 sgg. 355

Hor. epist.1, 18, 36. 356

II