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Reckford, Recognizing Persius, Princeton-Oxford, 2009.

of Tibullus and Persius, Mnemosyne 59, 2006, 111-

J. Reckford, Recognizing Persius, Princeton-Oxford, 2009.

L’A. intende offrire due ipotesi di lavoro, nessuna delle quali nuova. La prima insiste sul fatto che bisogna inserire questi quattordici versi di Persio all’interno di un discorso letterario. La seconda, invece, accosta i Choliambi alla

Satira I, nella quale forniscono una prospettiva di fondo riguardo l’uso di far soldi e arrivare alla fama attraverso la poesia.

La scelta stessa di Persio di adottare il verso coliambico è intrinsecamente significativa, trattandosi di un metro comunemente usato in età ellenistica per esprimere osservazioni o critiche personali: fu usato da Callimaco che a sua volta lo mutuò da Ipponatte, nel suo primo Giambo; Catullo lo adotta per esprimere un’ampia gamma di sentimenti, che vanno dalla reazione disgustata per la pessima poesia al complicato legame con Lesbia.

I Choliambi di Persio, collocati prima agli esametri delle Saturae, sembrano richiamare il modo in cui Lucilio seguì l’evoluzione dal giambo e dal metro trocaico dei primi libri (26-29) all’esametro, che venne a stabilizzarsi come verso della satira latina: questo fatto rappresenterebbe dunque un omaggio a Lucilio.

Il prologo si divide nettamente in due parti, tra loro complementari. Nella prima Persio situa ironicamente se stesso all’esterno del folto gruppo dei poeti consacrati dalla tradizione, che ricevettero l’investitura dall’alto: da Esiodo, che incontrò le Muse sul monte Elicona e gli concessero il dono della poesia, ad Ennio, cui apparve in sogno l’immagine di Omero a informarlo che all’interno della sequenza pitagorica delle reincarnazioni egli era il suo successore, fino ad arrivare anche a Callimaco, al quale Apollo comandò di percorrere speciali sentieri, evitando le vie battute oltremisura della poesia, e di bere alle fonti incontaminate (p. 55).

L’A. continua dicendo che Callimaco promosse nuovi standard di originalità poetica, che dischiuse una nuova dimensione letteraria; con predilezione per il breve epillio, per un tipo di elegia incentrata su un piccolo tema narrativo. Catullo, Orazio e gli elegiaci seguirono le orme di Callimaco, la poesia latina in qualcosa di nuovo e creativo. Il problema, naturalmente, era la banalità dell’armamentario dell’iniziazione poetica, con le relative metafore, destinate a soccombere col tempo. All’epoca di Persio, afferma il Reckford, nulla sarebbe stato meno originale che evocare tali “sorgenti incontaminate”.

Persio fonde insieme i vari tipi d’iniziazione con una sovrana indifferenza per la collocazione, le modalità e le circostanze, così da risultare estremamente ironico, e sconcertante per gli studiosi. Pegasus, il destriero alato, diviene ora un cavallo da

tiro, e Persio sembra non ricordare ciò che gli altri poeti rievocano con tanta chiarezza: il sonno sul Parnaso, il sogno iniziatico, il ritrovarsi improvvisamente poeta. Le Muse, e il pallore “alla moda” dei poeti, l’interno armamentario della fama poetica: “queste sono cose che appartengono ai morti, non ai vivi”, sembra affermare il Volterrano.

Persio assume una posizione diversa, contraria a tale tradizione, definendosi un semipaganus, un mezzo campagnolo (p. 54), ricordando forse come il ragazzo originario di Volterra fu canzonato nel momento in cui si trasferì nella capitale. Per Orazio il compito della moderna poesia latina era quello di abbandonare le ultime scorie delle sue origini rustiche. Persio intende tornare al contrario a una modalità espressiva più onesta e genuina. Il semipaganus è una persona satirica, una maschera i cui modi rudi rompono con le raffinate pretese intellettuali dei contemporanei, e che possiede strette affinità con lo statuto della satira tout-court.

Partendo dall’iniziale rifiuto degli ornamenti usuali della poesia, Persio approda alla dichiarazione costruttiva di dover comunque dare il proprio contributo ai riti sacri dei poeti (vivi o morti che siano). Il suo dono sarà qualcosa per “noi stessi” (nostrum), qualcosa che racchiuda originalità e tradizione: si tratta di una nota rassicurante, che punta alla solida rivendicazione di concreti risultati letterari, in contrasto con la voce tradizionale del vate ispirato dalle Muse.

Nel secondo gruppo di sette versi, Persio continua a demistificare il lato falsamente spirituale del mestiere poetico, fino a farlo divenire una brutale necessità fisica: i poeti scrivono per riempire i loro stomaci. Tale nozione possiede un passato di tutto rispetto: in Esiodo310, quando le Muse si rivolgono a lui e ai suoi compagni pastori apostrofandoli come “solo ventre”; e già prima in Omero, quando Ulisse ironizza sulle limitazioni dello stomaco311.

Il sarcasmo sui poeti-uccelli implica un discorso sull’ambizione umana, protesa a raggiungere a tutti i costi gli obbiettivi prefissati, a dispetto di una natura fragile e mortale. Su un unico piano, partendo da Orazio, Persio deride la pochezza dei poeti imitatori e plagiatori; su un altro livello ci ricorda, e il Reckford vede in ciò una espressa comunanza tra i Choliambi e gli Uccelli di Aristofane, che anche le

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Hes. Theog. 26-8. 311

conquiste culturali più alte sono il prodotto di una risalita dal livello delle bestie: un’evoluzione che, nella prospettiva satirica o comica, potrebbe non averci portato molto lontano. Così l’ironia sottesa in “chaere”, lo scherzo indirizzato verso il filellenico Albucio, di luciliana memoria, diviene in Persio uno scherzo indirizzato verso noi tutti, Persio stesso incluso.

Gli ultimi tre versi sono ambigui. Essi descrivono nella maniera più ovvia i poeti che compongono per sopravvivere, come i pappagalli che imitano il linguaggio umano per compiacere ai propri padroni e ricevere così il mangime, o come parassiti affamati che sfoggiano il loro talento alle mense dei ricchi. Nell’aggettivo dolosus c’è un indizio del fatto che il poeta-parassita potrebbe essere ingannato nella sua aspettativa di ricompensa. Ma anche i critici sono ingannati: basta che lampeggi il luccichio di una monetina, ed essi penseranno che un uccello è un vate, e che i suoi versi siano un puro distillato delle Muse.

Reckford 2009: l’interpretazione dei Choliambi in sintesi. Intepretazioni filologiche

a) I Choliambi sono organici al discorso letterario del Volterrano.

b) La scelta di adottare il verso coliambico possiede un suo intrinseco significato, in quanto già usato da Callimaco nel suo primo Giambo.

c) I Choliambi di Persio rappresenterebbero un omaggio a Lucilio, richiamando il modo in cui l’inventor tracciò l’evoluzione dal giambo e dal metro trocaico dei primissimi libri all’esametro, stabilizzatosi in seguito come il verso della satira latina.

d) I Choliambi, prologo delle Saturae si dividono nettamente in due parti complementari: i v. 1-7 e i v. 8-14.

e) Semipaganus = mezzo campagnolo, forse una nota autobiografica: il ragazzo originario di Volterra forse potrebbe esser stato preso in giro in questa maniera nel momento in cui si trasferì nella capitale.

Interpretazioni letterarie

a) Persio fonde insieme i vari tipi d’iniziazione poetica con una indifferenza magistrale per quanto riguarda la collocazione, le modalità e le circostanze da risultare estremamente ironico e sconcertante per gli studiosi.

b) Persio intende tornare a una modalità espressiva, onesta e genuina rispetto ai gusti ormai troppo sofisticati dell’orecchio “cittadino” dei Romani.

c) Il semipaganus è una persona satirica, una maschera i cui modi rudi rompono con le raffinate pretese intellettuali dei contemporanee.

d) Esiste una comunanza tra i Choliambi e gli Uccelli di Aristofane, dove anche le conquiste culturali più alte dell’uomo sono il prodotto di una risalita dal livello delle bestie: una evoluzione che, nella prospettiva satirica o comica, potrebbe averci portato non molto lontano.

e) Così l’ironia sottesa in chaere, lo scherzo indirizzato al filellenico Albucio nel III libro di Lucilio, diviene in Persio uno scherzo indirizzato tutti, Persio stesso incluso.

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