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CHOLIAMBI

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REITZENSTEIN 1924, 3 tenta di ravvisare l’unità del componimento interpretandolo quasi fosse una scena teatrale: i poeti romani sono riuniti e ciascuno sta offrendo il suo canto; in quell’istante giunge il poeta, un mezzo contadino, riconoscibile già per il suo abito, per portare anche il suo poema, senza però possedere l’unica legittimazione riconosciuta in questo contesto. In tale circostanza la seconda metà dei Choliambi si ricollegherebbe piuttosto bene alla prima, in quanto il nuovo arrivato sarebbe stato accolto con un caîre (v. 8). CARTAULT 1921, 64, che non attribuendo i vv. 1-7 alla voce del satirico per il fatto che Persio, al contrario, rampollo di stirpe aristocratica, non potrebbe presentarsi come un rozzo senza educazione, difende l’unità delle due parti dei Choliambi ipotizzando una struttura dialogica: Persio si sarebbe presentato al pubblico come uno scrittore squattrinato per porsi, non senza un’amara ironia, portavoce dei suoi colleghi, l’interprete delle loro ambizioni di restare al passo con i poeti consacrati dalla tradizione e ufficialmente riconosciuti ai v. 1-7; Persio risponderebbe coi vv. 8-14 facendogli crudelmente notare l’assurdità delle proprie affermazioni e trattandolo da “meurt-de-faim”. Mentre gli interpreti concordano nel ritenere che i v. 1-7 siano una presa di distanza beffarda del satirico dall’idea dell’ispirazione divina, c’è disaccordo sulla questione se Persio avesse inteso corvi poetae e potrides picae dei vv. 8-14 in un’ottica di solidarietà nei loro confronti o d’invettiva pungente. Per quanto concerne la prima ipotesi, VAN WAGENINGEN, 142 sgg. ritiene che la tesi formulata in tal senso dallo scolio antico al verso 10

apologiam facit poeta, nam excusat se non invidiose scripsisse, ut poeta appareret, sed potius impulsu quodam mentis, quia videat tunc multos poeticae incumbere, et per transitum ostendit se primum coepisse causa victus, ut salarium mereretur, non sia coerente con le reali condizioni di vita del

Volterrano. CONINGTON-NETTLESHIP vedono in Persio la consapevolezza di non essere un poeta di grande talento quanto Ennio, il quale bevendo dalla fonte di Pegaso e sognando, poté rivelarsi vates senza ulteriori sforzi personali: egli non appartiene ai poeti riconosciuti come tali, ma soltanto un mezzo contadino al servizio delle Muse cui porta la sua dote. Allo stesso modo dei pappagalli e delle gazze, spinti dalla fame a produrre versi umani, egli si cimenta in un’azione ben al di sopra della propria natura, e con la speranza di qualche riconoscimento economico si accinge a cantare una canzone intrisa del nettare della fonte di Pegaso. Al cospetto di tali poeti versus natura negati a Persio è consentito presenziare tranquillamente, poiché come poeta satirico si trova nella medesima situazione. HARTMANN 1914, 213 sgg. parafrasa così il pensiero del Volterrano: “magna canant magni poetae, ego semipaganus affero quod semipagani […] est. Cur autem istud facio necque quisquilias meas domi servo? Difficile dictu: variae sunt causae cur etiam mali poetae carmina sua in lucem edant, alii inopia eo adiguntur, alii aliis rebus”. Da un lato sin dal KOENIG 1796, 30 e da ALBINI 1894, 343 si è tentato di ovviare ai punti deboli di questa interpretazione, che lascerebbe all’oscuro le reali motivazioni per cui Persio si sarebbe messo a scrivere i Choliambi. D’altro lato, rimangono del tutto indefiniti i confini tra il parlante e i “poeti imitatori”: nei quattordici versi l’attitudine al genus sublime (v. 14 Pegaseium nectar) e le capacità scarse, ma realmente esistenti (v. 6 sgg. semipaganus, carmen nostrum) del poeta vengono contrapposte alla vuota aspirazione delle

negatae voces del v. 11, completamente inette alla poesia; e non si possono porre in relazione con la

motivazione del satirico nemmeno il venter (v. 11) e il dolosus nummus (v. 12). L’affermazione autoironica di Hor, epist. 2, 2, 51 sgg. di aver iniziata la sua poesia per motivi economici non vale per Persio: ciò che suona come uno scherzo urbano in bocca al libertino patre natus, sarebbe stato di cattivo gusto nel caso del nobile etrusco. Già GAAR 1909, 132 sgg. aveva intuito l’essenziale: anche se nei v. 8-14 dei Choliambi la presa di distanza polemica resta presente nel tono di fondo, le conclusioni solitamente tratte sulla relazione fra le due parti necessitano tuttavia chiarimenti. È come se Persio dicesse: “Non sono un poeta, come ritengono di esserlo i nostri grandi letterati per qualche ispirazione divina; ma umilmente, da laico, porto il mio dono poetico. Qual è, poi, la fonte dell’entusiasmo poetico di quella gente? Il danaro”. Più radicale, GERHARD 1913, 485. legge una rinuncia da parte di Persio all’entusiasmo divino dei poeti di moda: il vero obiettivo cui tendono è il denaro. Infatti, la prima parte dei Choliambi, con la confessione del satirico di non poter reclamare per sé alcuna superiore consacrazione poetica, fosse davvero intrisa di un’ironia sprezzante, l’obiettivo argomentativo dovrebbe essere ormai raggiunto con il v. 7: Persio si sarebbe beffato dei poeti degni, per sollevarsi poi con cocciuto orgoglio al di sopra di loro definendo se stesso un semipaganus; allora l’intera seconda parte prenderebbe le sembianze di una motivazione successiva. Ma, più

Numerosi progressi si sono compiuti da quando MARMORALE 19562 ha formulato la teoria che voleva dividere i quattordici coliambi in due gruppi di sette versi ciascuno: l’incongruenza logica e grammaticale ravvisata tra i vv. 7 e 8 avrebbe testimoniato il taglio operato dall’editore Cornuto su un componimento originariamente più ampio, lasciato incompiuto dall’autore. Gli studiosi successivi si sono trovati d’accordo nel ravvisare nella Ringkomposition tra il v. 1 e il v. 14 che la prova escluderebbe qualsiasi tipo di rimaneggiamento operato da un editore postumo.

È merito soprattutto di BELLANDI 1996 aver condotto una dettagliata analisi sulla coesione interna del testo, dimostrando che, oltre al dato ormai riconosciuto della struttura ad anello, anche sul piano del contenuto ci sono numerosi richiami alla compattezza.

Secondo D’ALESSIO 2006 è ben ravvisabile un cambio di tono e di tema tra i primi e gli ultimi sette versi: i vv. 7-14 sono lo “smascheramento” del quadro tracciato nei vv. 1-7, e in questa osservazione risiede il vero contributo argomentativo dello studioso, per il quale la natura del legame tra le due parti dei

Choliambi deve essere analizzata soprattutto dal punto di vista intertestuale344.

verosimilmente l’allestimento formale di quel pensiero, si deve a modelli appartenenti ad altri generi: prima di lui, già Prop. 2, 1, 3 sgg. e Ov. ars 1,25-30 avevano espresso la loro rinuncia alle fonti d’ispirazione divine con l’aiuto dello schema non...neque...sed. A differenza di Persio, però, tali poeti non miravano a emanciparsi di principio da ogni sorta di ispirazione superiore, bensì a ricondurla, con un effetto finale a sorpresa, a una nuova origine (Properzioalla puella; Ovidioall’usus). Già una formula colloquiale come al v. 1 nec fonte labra prolui caballino è di per sé sufficientemente motivata dall’intenzione di dare forma all’autodefinizione contenuta nell’aggettivo semipaganus, per enfatizzare l’ampiezza della distanza tra la poesia di talento (rappresentata dalle espressioni solenni

bicipiti Parnaso, Heliconiadas, pallidam Pirenen, imagines lambunt hederae sequaces) e la propria

prestazione poetica.

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Il primo legame intertestuale, ossia quello che lega Persio all’archetipo dell’iniziazione poetica da parte delle Muse, Esiodo. Persio opera una sorta di recupero del “vero” Esiodo, sostiene il D’Alessio, e a questo punto entra in gioco la seconda relazione intertestuale, definita dall’A. “mediazione callimachea”. In quale misura Callimaco influenza il Volterrano in tale contesto di critica letteraria espresso nel componimento coliambico persiano? Nei Giambi di Callimaco Persio trovava apertamente enucleato la questione del rapporto tra Muse e sopravvivenza del poeta: il tema del “ventre” è chiamato in causa proprio a proposito dell’ispirazione del poeta stesso, ed il legame Muse/alimentazione/ventre emerge con frequenza altissima. Anche negli Aitia permane il rapporto con il cibo, come si può ben notare in Call. Aet. 1, 33 sgg %a pántwj, !ina gÖraj !ina dróson &hn mèn Þeídw/prÍkion æk díhj Òéroj e%idar 1dwn: il suo sublime nutrimento sarà, infine la sola rugiada, nutrendosi della quale, come la cicala votata alle Muse, vorrebbe produrre il suo canto”.

In generale, per quanto concerne i contributi dell’ultimo cinquantennio, la direzione presa è quella che riconosce nei Choliambi un componimento unitario e coeso, nel quale le due metà si completano a vicenda, sia dal punto di vista contenutistico che sul piano formale.

In SCIVOLETTO-ZURLI 2010, 40 i Choliambi sono pubblicati come due componimenti separati, composti da sette versi cadauno, divisi anche da un punto di vista grafico: è intenzione degli editori evidenziare in tal modo la cesura logica delle due parti.