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Bellandi, Persio e la poetica del semipaganus, Maia 24, 1972, 317 341.

e la satira, RCCM 14, 1972, 44-

F. Bellandi, Persio e la poetica del semipaganus, Maia 24, 1972, 317 341.

“Si tende di solito a delineare la poetica persiana inquadrandola immediatamente nella linea di sviluppo del genere in cui l’opera di Persio appartiene, cioè la satira luciliano - oraziana; vorremmo invece arrivare a questo necessario inserimento partendo da una prospettiva diversa che tenga conto soprattutto della formazione filosofico - culturale del nostro autore, in questo essendo facilitati dalla intransigente e alquanto scolastica collocazione di Persio nelle file dello stoicismo” (p. 317). È questo l’esordio con cui il Bellandi definisce lo scopo della propria riflessione, indagare i tratti fondamentali dell’intento pedagogico – moralistico della poesia di Persio. Quella che l’A. definisce “poetica del semipaganus” risulta essere nient’altro che un espediente adottato da Persio per giustificare la propria opera letteraria agli occhi della filosofia stoica, per mascherare l’indole ed il bisogno di far poesia insita nella sua natura, allineandola all’interno di una serie di schemi concettuali prettamente pedagogici dell’insegnamento morale.

Il Bellandi osserva che lo Stoicismo, combattendo le emozioni in quanto componente irrazionale dell’animo, escludeva in origine qualsiasi forma di psicagogia; questa successivamente fu ammessa nei limiti in cui le emozioni forniscono un mezzo per un miglioramento nell’uditorio a cui sono indirizzate (nota 3, pp. 318-319). Quindi la voluptas, innegabile effetto dell’opera poetica, viene rivalutata e usata da tali “filosofi in versi”, non potendosi più chiamare “poeti107” per il fatto di essere veicolo dichiarato di un contenuto morale preciso. Un importante passo di Seneca108 fa riflettere sulla concezione stoica della carminis arta necessitas, vista come strumento di una più incisiva penetrazione del precetto filosofico, l’egregius sensus: la poesia, quindi, volta a suadere, esclude ogni connotazione di piacevolezza connessa col carmen.

Non si può operare un confronto tra Persio e Lucrezio, anche se si potrebbe pensare all’ analogia delle argomentazioni filosofiche, sia pure di differente tendenza: “il concetto del miele agli orli della coppa di medicina è decisamente rifiutato in nome di un rigorismo stoico che non vuol concedere nulla ai sensi” (p. 319), osserva il Bellandi, continuando a osservare che anche per gli Stoici il filosofo è simile ad un medico, ma che, al contrario del filosofo epicureo, non teme di adoperare le più drastiche misure per arrivare al proprio scopo.

La consapevolezza di una sgradevolezza salutare è presente in tutta l’opera di Persio, ne è anzi intenzione programmatica, naturale avversione alla moda di versificazione in auge ai suoi tempi, incentrata in una esasperata piacevolezza dei sensi. Si può notare, almeno ad un livello di manifesto poetico, l’assoluta priorità del contenuto etico sull’intento estetico. Per fare questo tipo di operazione occorre adoperare i verba togae, un linguaggio volutamente basso, atto a farsi capire e a comunicare in maniera lineare i veri sentimenti.

L’evidenza, scorta dal Bellandi, dell’adozione del genere satirico da parte di Persio, in quanto genere tradizionalmente legato ad interessi morali, connesso con la

107

Il Bellandi scrive: “L’allegorismo, in altre parole, non è precetto compositivo valido per il poeta- stoico ma una chiave interpretativa, una sorta di compromesso per concedere una patina di legalità filosofica alla piacevolezza dei grandi poeti da parte di una corrente filosofica estremamente sospettosa di ogni voluptas” (p. 318).

108

diatriba e disinteressato alla formalità ed all’estetica, pare giustificata solamente interpretandola come scelta obbligata.

Per non sentirsi un traditore, infatti, della filosofia e per non sembrare che il suo concludere versum deragliasse dal più profondo intendimento morale stoico, Persio, con la sua opera, avrebbe mirato ad un “risveglio delle coscienze intorpidite dall’artificiosità della dizione e dall’immoralità dei contenuti della letteratura contemporanea […] attraverso un recupero dell’espressione naturale, piana, colloquiale impegnata alla divulgazione dei contenuti di filosofia morale e all’espressione del verum” (p. 325).

Il quadro che l’A. è riuscito a delineare permette, a questo punto, di entrare all’interno del discorso sui “tormentatissimi coliambi” (p. 26), con particolare attenzione per l’autodefinizione che Persio tratteggia di sé ai vv. 6-7 (Ipse

semipaganus/ad sacra vatum carmen adfero nostrum). Dopo aver illustrato a grandi

linee le motivazioni per le quali “tutto quanto era possibile si è messo in dubbio, discusso, proposto su questi quattordici versi” (p. 327) l’A. procede a ripercorrere i momenti salienti dell’iter interpretativo, offrendo nelle note a piè di pagina che vanno dalla n. 20 a p. 327 alla n. 29 di p. 332 una essenziale bibliografia degli studi. Alcuni punti della loro esegesi si possono fermamente ritenere dimostrati, come l’autenticità dei Choliambi e la loro unità interna, dovuta ad una precisa corrispondenza armonica tra i primi sette versi e i secondi sette. Per quanto concerne gli studi moderni più importanti il Bellandi pone principalmente in risalto Biografia

e poetica di Persio del Paratore, Note sui componimenti d’argomento letterario in Persio del Pasoli e Persio semipaganus del D’Anna. Tuttavia, il Bellandi non si

risparmia nelle critiche: ad esempio, al Paratore rimprovera “una tendenza eccessiva a rintracciare ed ampliare le punte polemiche. […] non ci sembra sufficiente la punta antienniana (e antiproperziana) presente nella prima parte dei coliambi per giustificare l’allargamento in blocco a tutta la letteratura del disprezzo di Persio” (p. 328). Al D’Anna, dopo ad avergli riconosciuto il merito dell’esegesi di semipaganus = semirusticus109 mediante il confronto con PROP. 2, 5, 25-26, contesta il fatto di non avere riconosciuto il tono ferocemente aggressivo dell’autodefinizione di Persio.

109

L’A. non manca di ricordare, a p. 328, che“il significato del termine coniato da Persio è stato naturalmente molto discusso: fondamentalmente però le interpretazioni si riducono a due soltanto,

Secondo l’A. tutto lo spirito dell’hapax semipaganus risiede proprio nel fatto che tale connotazione che Persio si attribuisce, tale rusticitas, non è l’eco di un sentimento di modestia, né va interpretata in senso prettamente ironico: è, al contrario, una aggressività, la punta apicale di un “atteggiamento di polemica dell’intento di lotta al linguaggio molle, affettato, falsamente raffinato del suo tempo” (p. 330). Il Bellandi inserisce questa sfumatura di significato nel più ampio discorso sulla poetica del

semipaganus, asserendo che la rusticitas è l’esasperazione a scopi polemici di

quell’esigenza di verba togae, di espressione quotidiana e banale, proprio perché risultava assai più idonea a radere, defigere, revellere le orecchie della massa di

stulti; il ricorso allo stile del sermo colto ed urbano, come ad esempio quello

oraziano, non avrebbe sortito lo stesso effetto.

Come ultima considerazione (p. 331) l’A. asserisce che il definirsi

semipaganus corrisponde all’idea, che il poeta aveva, di divulgare le dottrine stoiche

a un pubblico di stulti da redimere con una violenta terapia d’urto.

Bellandi 1972: l’interpretazione dei Choliambi in sintesi. Interpretazioni filologico – testuali

a) I Choliambi sono autentici;

b) I Choliambi sono un componimento unitario: ciò è dovuto ad una precisa corrispondenza armonica tra vv. 1-7 ed i vv. 8-14;

Interpretazioni letterarie

a) Semipaganus = semirusticus sulla scia del D’Anna (mediante il confronto con Prop. 2, 5, 25-6);

b) La rusticitas dei Persio è polemica aggressiva contro i poetastri contemporanei, e ad una esigenza di adottare i verba togae per la divulgazione delle dottrine stoiche alle masse.

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quella che intende semipaganus come equivalente a semipoeta e quella che lo interpreta come semirusticus”.