Rispetto al precedente della sapienza milesia, nel caso di Eraclito di Efeso (550-480 a.C. circa) ci troviamo nella privilegiata condizione di poterne delineare la posizione teorica attingendo a un’ampia riserva di brani di uno scritto (Sulla natura) con sicurezza attribu-
itogli sin dall’antichità.
Nobile di famiglia, altero e scontroso di carattere, Eraclito fu critico della giovane de- mocrazia della sua città, investita dai contrasti sorti prima coi Persiani, poi tra le fazioni interne: a un suo diretto coinvolgimento nella convulsa vita della pólis, addirittura a un
suo ruolo di legislatore (analogamente ad altri antichi sapienti) accenna Diogene Laerzio, in apertura della sua vita di Eraclito, attraverso una serie di citazioni:
«Diceva pure: “Bisogna spegnere la tracotanza [hýbris] più che un incendio” e: “Bisogna che il popolo combatta per la legge come per le mura della città”. Attacca anche gli Efesi perché avevano espulso il suo compagno Ermodoro, nel passo in cui afferma: “Sarebbe bene per gli Efesi adulti impiccarsi tutti quanti e lasciare la città ai fanciulli; essi che esiliarono Ermodoro, il più abile tra loro, sostenendo: ‘nessuno di noi sia il più abile; in caso contrario, <lo> sia altrove e con altri’”. Invitato comunque a dar loro leggi, si rifiutò, dal momento che la città era già dominata da una cattiva costituzione». (DK 22 A1.2)
Con distaccato (e aristocratico) sprezzo, il sapiente denuncia la violenza e la solleva- zione prevaricanti, invitando a ricondursi alle norme civili: contro la sedizione che mi- na dall’interno la comunità, la «legge» (nómos) costituisce infatti un baluardo analogo a
quello che le mura offrono contro l’attacco esterno. Sostenitore di Ermodoro (esiliato dai democratici di Efeso), favorevole allo sforzo dell’alleanza ionia anti-persiana, Eraclito, dopo la sconfitta di quell’orientamento politico e l’allontanamento del suo leader dalla città, avrebbe volto la propria attività a una complessiva contestazione dei costumi cor- rotti e del disordine morale e civile dilaganti tra i concittadini.
Geometria e aritmetica: due discipline
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La battaglia politica44
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LA SCRITTURA DI ERACLITO La tradizione gli attribuisce unanimemente un’opera scrit- ta, di notevole impegno, di cui conserviamo numerosi frammenti, di varia ma comunque modesta consistenza e difficilmente sistematizzabili, anche per lo stile, che doveva riflet- tere, come sottolineato sin dall’antichità, la peculiare personalità dell’autore:
«Fu di animo elevato [ovvero: arrogante] più di ogni altro e sprezzante, come è evidente anche dal suo scritto [...]
Non fu in vero seguace di alcuno, ma sostenne di aver ricercato se stesso e di aver appreso tutto da sé. [...] Il libro che di lui è tramandato è intitolato, per il suo contenuto, Sulla natura, ma è suddiviso in tre trattazioni: quella intorno all’universo [al tutto], quella politica e quella teologica». (Diogene Laerzio)
Risultando per noi i frammenti come brevi ma compiute comunicazioni, si è in passa- to sospettato che il libro di Eraclito fosse in realtà una raccolta di massime orali, trascritte dallo stesso sapiente o da qualche discepolo, e offerte al tempio di Artemide, a Efeso. È plausibile che esso deliberatamente si rifacesse a modelli sapienziali, come l’oracolo o l’enigma:
«La Sibilla dalla bocca delirante, secondo Eraclito, dà suono a cose di cui non si ride, prove di ornamento e unguento. Oltrepassa con la voce i millenni, incitata dal dio».
(Plutarco; DK 22 B92)
«Il signore, di cui è l’oracolo in Delfi, non dice, non nasconde ma dà un segno».
(Plutarco; DK 22 B93)
La scelta del modello oracolare intendeva forse garantire una cornice sacrale al mes- saggio, presentato come una sorta di rivelazione, proponendo una precisa opzione comu- nicativa: come il dio ambiguamente manda segnali non immediatamente decifrabili dagli uomini, così lo scritto del sapiente Eraclito si esprime in giochi di parole, immagini, sug- gestioni con cui alludere a un senso che supera l’ordinaria comprensione e dunque rap- presenta una sfida per il lettore. Analogamente, come una provocazione nei confronti dell’ascoltatore (lettore), si può intendere il richiamo alla tradizione dell’enigma, tipica del modello sapienziale arcaico (enigma tebano della Sfinge), come ancora si evince in un riferimento a Omero:
«Gli uomini si ingannano, sostiene Eraclito, nella conoscenza delle cose evidenti, simil- mente a Omero, che era il più sapiente tra tutti i Greci. Dei ragazzi impegnati a elimi- nare i pidocchi, in effetti, lo ingannarono dicendo: quanto abbiamo visto e preso, lo la- sciamo indietro; quanto né abbiamo visto né abbiamo preso, lo portiamo <con noi>».
(Ippolito; DK 22 B56)
In ogni caso, già nel mondo antico la sua figura era considerata enigmatica e oscura. L’ORIGINALITÀ DI ERACLITO Benché in Eraclito ritornino elementi già rilevati nei pen- satori milesi (interessi cosmologici, probabili influenze orientali), la sua posizione ci ap- pare originale: egli sembrerebbe soprattutto impegnato a considerare i modelli cosmo- logici e cosmogonici della prima riflessione ionica e delle teogonie poetico-religiose per evidenziarne schemi ricorrenti.
Concretamente questo si tradusse nell’efficace rilievo di due aspetti essenziali della realtà, ben rappresentati nella tradizione:
1.l’universale pervasività del divenire: tutte le cose sono costantemente sottoposte alla vicissitudine, al mutamento;
Oracoli ed enigmi
Due aspetti della realtà
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2.la persistenza di una struttura nel divenire: nonostante le vicissitudini, la trasforma- zione delle cose manifesta una regolarità di fondo, annunciata come norma secondo cui tutto accade.
È poi significativo che il sapiente Eraclito (invero il termine «filosofo» compare per la prima volta, incidentalmente, nei frammenti, ma non è chiaro se in senso positivo o ne- gativo) polemizzi esplicitamente nei suoi testi con alcune figure di riferimento della tradi- zione (Omero, Esiodo, Archiloco) e alcuni intellettuali contemporanei (Pitagora, Seno- fane, Ecateo – interessante invece l’assenza di riferimenti critici ai pensatori di Mileto):
«Sosteneva che Omero fosse degno di essere cacciato dagli agoni e frustato e analogamen- te Archiloco». (Diogene Laerzio; DK 22 B42)
«Maestro dei più è Esiodo – costui credono sapesse una gran quantità di cose, lui che non aveva conoscenza di giorno e notte: sono infatti un’<unica> cosa». (Ippolito; DK 22 B57)
«L’apprendimento di molte cose non insegna a essere intelligenti [ad avere intelligenza], altrimenti l’avrebbe insegnato a Esiodo e Pitagora e ancora a Senofane e Ecateo».
(Clemente Alessandrino; DK 22 B40)
«Pitagora, figlio di Mnesarco, esercitò la ricerca più di tutti gli uomini e raccogliendo questi scritti ne produsse la propria sapienza, il saper molte cose, cattiva arte».
(Diogene Laerzio; DK 22 B129)
«<Pitagora> è capo di ingannatori». (Filodemo; DK 22 B81)
I duri rilievi di Eraclito denunciano quei modelli di riferimento, a dispetto della loro popolarità, per la loro incomprensione della realtà: in particolare i contemporanei sono sferzati come campioni di un superficiale nozionismo, di un’erudizione di facciata: sape- re apparente e ingannevole.
Accanto a costoro, egli attacca altri gruppi di specialisti e presunti maestri di sapien- za che, evidentemente, miravano ad affermarsi presso il grande pubblico: aedi popolari, rapsodi, preti itineranti (mágoi), diffusori di culti bacchici (dionisiaci).
IL «SAPER MOLTE COSE» L’aspetto più interessante di questi attacchi – utile per cogliere il senso della nuova concezione di sophía che Eraclito intendeva proporre – è appunto la polemica contro quella che viene indicata come polymathía (letteralmente il «saper molte cose»), rivelatrice anche del suo contesto culturale (tra VI e V secolo a.C.).
Di Pitagora, per esempio, Eraclito sottolinea come si fosse dedicato alla ricerca più di tut- ti gli altri, facendo una scelta tra gli scritti altrui per edificare la propria erudizione e il proprio sapere ingannevole: la sua polymathía sarebbe, dunque, principalmente il risul- tato di una raccolta di conoscenze appartenenti ad altri. Il fatto che Eraclito chiami poly-
mathéis sapienti apparentemente così diversi come Esiodo, Pitagora, Senofane e Ecateo
pone l’attenzione sue due aspetti della loro attività intellettuale: essa in effetti si fondava su ciò che era evidente a tutti o sulla testimonianza di fonti reputate degne di fede. Nella cultura arcaica questi erano i presupposti fondamentali per ottenere la fiducia del pubbli- co. A ciò Eraclito opponeva il proprio «discorso» (lógos), basandolo su ciò che non è im- mediatamente evidente e che egli tuttavia riesce a cogliere e illustrare.
Nella stessa direzione si muove il rilievo attribuito all’interiorità personale nell’oriz- zonte dell’indagine: «Ho indagato me stesso», recita un suo famoso frammento, come se La polemica con la tradizione Un sapere ingannevole Originalità e isolamento
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– insieme alla concentrazione su se stesso – Eraclito volesse segnalare di aver rinunciato agli esempi comuni nella tradizione. Eraclito manifesta una verità, relativa alla costituzione del mondo fisico e umano, a cui la maggioranza degli uomini (indicata spregiativamen- te con l’espressione «i molti»), pur avendone potenzialmente accesso attraverso esperien- za e riflessione, rimane estranea. In questo senso egli avverte il proprio isolamento, sot- tolineando lo scarto tra una visione che va al fondo delle cose afferrandone la natura e la semplice, superficiale erudizione o la percezione parziale e distorta che impronta le cre- denze degli uomini (doxásmata).
sapiente se stessoindaga comprensione della realtà
i molti altrui opinioniseguono le superficiale erudizione
IL LÓGOS Il «discorso» (lógos) di Eraclito annuncia quindi come stanno realmente ed eternamente le cose; il suo contenuto è la verità che indica la struttura (lógos) comples- siva della realtà: in forza di essa, tutti gli enti, ancorché in apparenza molteplici e diver- si, costituiscono in vero un insieme coerente, ordinato, riconducibile a una identità di organizzazione:
«Quanto a chi ascolta non me ma il lógos, sapiente è convenire che tutte le cose sono
uno». (Ippolito; DK 22 B50)
Il mondo può rivelare all’intelligenza la presenza di una misura/regola (lógos) unitaria. L’identità di struttura investe sia la natura delle cose, l’ordine dell’universo, sia l’uomo e la sua «anima» (psyché): la sua comprensione è quindi essenziale per un adeguato sviluppo delle attività umane:
«La sapienza è una sola: comprendere come è possibile governare tutte le cose attraverso tutte le cose». (Diogene Laerzio; DK 22 B41)
Sfruttando la molteplicità di valori (polivocità) del termine greco lógos (affermazione, ar- gomento, misura, proporzione, pensiero), Eraclito intende:
1.rivendicare la propria creatività: il lógos è immediatamente il «discorso», lo scritto di Eraclito;
2.designare il suo contenuto originale, il pensiero espressovi e la sua verità; 3.alludere alla norma universale secondo cui tutto accade;
4.indicare la sintonia tra il proprio pensiero e la realtà, così denunciando l’incompren- sione volgare [ T4].
lógos pensiero verità
norma universale
struttura della realtà
discorso linguaggio
IL LÓGOS COME NORMA DEL TUTTO A Eraclito dobbiamo – malgrado una scrittura frammentaria – il primo uso sistematico di coppie di termini come uno e tutto, comu- La struttura della realtà Il termine lógos Lógos, natura e comprensione T4
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ne (universale-oggettivo) e privato (individuale-soggettivo), e la prima attestazione della
nozione chiave di kósmos (inteso come ordine cosmico).
La pluralità delle cose è da lui colta come unitaria connessione cosmica (totalità) in forza di un «lógos che è sempre»: «tutte le cose», infatti, sempre si generano e accadono «secondo questo lógos». In questo senso:
«non me ascoltando, ma il lógos, è saggio convenire che tutto è uno».
(Ippolito; DK 22 B50)
Il sapiente sottolinea il valore di norma del lógos rispetto a ogni accadere, alluden- do alla relazione tra legge civile (nómos) e costituzione della pólis, ovvero alla dipendenza delle leggi umane dall’unica legge divina: il lógos è ciò che struttura l’insieme (il cosmo) e le parti (le singole cose). Con riferimento al lógos, dunque, «tutto è uno», sia nel senso che le cose sono tra loro unitariamente organizzate secondo il suo piano, sia nel senso che nella natura di ogni singola cosa si riflette il suo schema, ancorché ciò rimanga nascosto allo sguardo superficiale [ T4].
IL LÓGOS COME ORDINE Ma in che cosa consiste questa norma che fonda l’ordine uni- versale? La risposta è racchiusa in tre rilievi generali.
1.L’ordine (Eraclito usa anche il termine harmonía che indica immediatamente la strut- tura) è sempre il prodotto di opposizioni: il conflitto (pólemos) è «padre di tutte le cose», cioè condizione cosmica.
2.In questo senso tutto è in continuo mutamento: «tutto scorre e nulla permane» gli farà dire Platone. Come il corso del fiume è identificato dal flusso incessante di acque sempre nuove, così l’identità del cosmo si conserva nella costante trasformazione delle sue componenti.
3.Il cosmo è fuoco sempre vivente: l’elemento più instabile, che si nutre trasformando le altre cose, che appare esso stesso come un processo, costituisce la natura unitaria del tutto. Volgendo lo sguardo all’insieme dell’universo, il sapiente di Efeso coglie (come i con- temporanei pitagorici) l’equilibrio complessivo; ma l’armonia cui egli si riferisce scaturi- sce da elementi contrastanti, è incessante tensione, guerra tra opposti: la sua risoluzio- ne rappresenterebbe la fine del kósmos. Il conflitto trascorre in tutta la realtà, cosmica e umana: l’opposizione inerisce ai singoli enti, ovvero ne scandisce i processi, come già ave- va insegnato Anassimandro. Il cosmo si mantiene per la simultanea interazione di forze contrarie, che nella lotta rinnovano costantemente il loro equilibrio dinamico: Eraclito esemplifica rinviando alla struttura dell’arco e della lira [ T5].
lógos divenire conflittualità perenne
fuoco trasformazione
cosmo armonia di contrari Tutto è uno Lógos, natura e comprensione T4 Conflitto e mutamemto Cosmo e armonia Il conflitto cosmico T5
Lógos Il termine lógos trova una prima applicazione tecnica nella filosofia di Eraclito. Esso risulta polivalen- te, designando a un tempo 1) il discorso di Eraclito co- me espressione (linguaggio); (2 il pensiero che esso
esprime; (3 ciò cui esso si riferisce: la norma universa-
le secondo cui tutto accade. Si tratta, insomma, di un
discorso (ovvero di un pensiero) che manifesta la strut- tura della realtà.
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Proprio perché la norma/misura (lógos) secondo cui tutto accade è conflittuale, e l’ar-
monia domina solo nella lotta, l’universo di Eraclito si presenta per un verso stabilmen- te strutturato dalle opposizioni che legano reciprocamente tutte le cose producendo una complessiva compensazione (equilibrio nei processi); per altro costantemente agitato dal loro gioco, in perenne passaggio da una polarità all’altra.
conflittualità del cosmo mutamento stabile struttura polarità armonia domina solo nella lotta
IL LÓGOS E IL FUOCO Sebbene il lógos, in quanto struttura comune alla realtà, tenda a presentarsi come legge, non è comunque inteso da Eraclito in senso astratto, piuttosto come coincidente con il costituente primario delle cose, il fuoco.
Il cosmo è proposto appunto come «fuoco sempre vivente», elemento puro e puri- ficante, eternamente cangiante, dalla cui energia dipendono gli enti e il loro divenire. Esso, accendendosi e spegnendosi, si trasforma incessantemente negli altri elementi, che, interagendo, definiscono l’equilibrio dei processi cosmici. Eraclito sembra alludere a una vicenda ciclica di masse elementari: fuoco-mare (acqua)-terra [ T5].
LA SAPIENZA Eraclito – a dispetto delle allusioni cosmologiche – non appare interes- sato a fissare il dettaglio dell’ordine universale: alcuni suoi rilievi particolari appaiono rozzi e ingenui:
«La larghezza del Sole è quella di un piede umano». (Aetius; DK 22 B3)
Egli è molto più concentrato sulle implicazioni generali: in effetti, denunciando l’in- consistenza dei contrastanti punti di vista umani, rivendica con orgoglio una sapien- za frutto di intelligenza (noûs), capace di superare l’immediatezza del dato sensibile per
cogliere come «tutto è governato attraverso tutto», come «tutto è uno». Sapienza è dunque:
1.«ascoltare il lógos» e vivere conformemente alla «legge comune» e divina;
2.parlare e agire avendo compreso la «natura» (phýsis) delle cose;
3.ricondurre il proprio punto di vista privato alla prospettiva del tutto;
4.riconoscere l’armonia nella discordia, la «giustizia» (díke) nella «necessaria contesa»
(éris) e ammirare, come la divinità, la bellezza e la bontà complessive.
Essa presuppone, insomma, una capacità di visione d’insieme che difetta all’uomo comune [ T5].
sapienza
ascoltare il lógos
rispettare la natura delle cose ricondurre la propria opinione
alla prospettiva del tutto ammirare l’armonia nella discordia Il fuoco e gli elementi Il conflitto cosmico T5 Ascoltare il lógos
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1.Qual è l’orizzonte della ricerca di Eraclito?
2.Che cosa esprime il termine lógos nel pensiero del sapiente di Efeso?
3.In che senso Eraclito può affermare che «tutto è uno»?
4.Perché il tema della guerra svolge un ruolo centrale nel suo pensiero? FISSIAMO LE IDEE