Il poema di Parmenide si apre con un grande proemio che descrive il viaggio eccezionale del poeta, così scandito:
Qcondotto dalle «fanciulle Figlie del Sole» lungo la «via che appartiene alla divinità» (ma che «ovun-
que accoglie il sapiente»), il poeta asseconda con il proprio desiderio il tiro dei cavalli lungo il tragitto;
Qsfruttando la guida divina, il poeta raggiunge la porta dei sentieri della Notte e del Giorno (dove
quindi si saldano unitariamente i due percorsi, apparentemente contrastanti, della luce e delle tenebre), probabilmente da identificare – secondo il precedente omerico – con l’accesso all’Ade (l’oltretomba);
Qqui le fanciulle persuadono la Giustizia (Díke) a consentire il passaggio del mortale per la strada
maestra che lo conduce, infine, al cospetto di una dea innominata, da identificarsi probabilmente – se è valido il riferimento a Ade – con Persefone, la divinità al centro – con la madre Demetra – del culto misterico di Eleusi;
Qquesta, accogliendolo benevolmente, dopo avergli illustrato sinteticamente l’articolazione dei
contenuti della sua rivelazione, procede.
O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici, con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora,
rallegrati, poiché non un’infausta sorte ti ha condotto a percorrere questo cammino – infatti esso è fuori dalla via battuta dagli uomini –, ma legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda:
e il solido cuore della Verità ben rotonda
e le opinioni dei mortali, nelle quali non c’è una vera certezza. Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso. [1-2]
(DK 28B1, trad. di G. Reale, Bompiani, Milano 2006)
T6
[1] La Verità ben rotonda
Se tutto il testo del proemio è stato – sin dall’antichità – oggetto di varie esegesi, la sua conclusione (gli ultimi due versi del primo frammento antologizzato) ha rappresen- tato un vero e proprio cruccio filologico e interpretativo, anche per le ricadute sul complesso del poema.
La divinità anonima presenterebbe tre distinti mo- menti del proprio insegnamento al giovane iniziato:
1. l’esposizione della salda consistenza («il solido cuore») della «Verità ben rotonda»;
2. la denuncia delle «opinioni dei mortali» in cui non c’è «vera certezza»;
3. l’illustrazione coerente delle «cose che ap- paiono» (ta dokoûnta) nel loro complesso.
Il programma riflette elementi tradizionali – quali la contrapposizione tra sapere divino e umano, giustifica- ta dall’atto stesso di una comunicazione che introduce uno scarto tra proponente e ricevente –, ma anche ac-
centuazioni nuove e interessanti, come il vincolo della verità per la rivelazione della dea, che non si presenta capricciosa o ingannatrice. Inoltre le qualità richieste per accogliere tale rivelazione non sono né quelle della riservatezza assoluta dei misteri né quelle della devo- zione rituale, bensì quelle intellettuali che consentono di seguire l’arco del discorso della dea.
[2] Le cose che appaiono
La dea sembrerebbe programmaticamente contrap- porre alla scarsa lucidità delle credenze dei mortali non solo il nucleo veritativo essenziale, ma anche la lezione rivolta alle «cose che appaiono», agli enti della nostra quotidianità.
Ella non impone dunque un’alternativa tra verità (logicamente inattaccabile) ed esperienza (condan- nata all’errore): propone, invece, anche una corretta valutazione di ciò che a noi si manifesta.
LETTURA DEL TESTO
88
Testi
Orbene, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola – quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che «è» e che non è possibile che non sia
– è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità – l’altra che «non è» e che è necessario che non sia.
E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende.
Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile,
né potresti esprimerlo. [3-4] (DK 28B2, cit.)
Infatti lo stesso è pensare ed essere. [5] (DK 28B3, cit.)
[3] Le vie di ricerca
Il secondo frammento del discorso (myˆthos) della di- vinità sviluppa il motivo della «via» (hodós), dominan- te nell’esperienza drammatica del viaggio del poeta ma etimologicamente e tematicamente connesso alle strategie del ricercare (méthodos): la dea enuncia, in- fatti, le «uniche vie» di indagine che si possano pro- spettare.
Indica quindi come «pensabili» in ogni indagine due sole possibilità, che si rivelano da subito reciproca- mente incompatibili. Esse sono designate dalle for- me verbali rispettivamente della pura affermatività o esistenza («è») e della radicale negatività («non è»): l’uso dell’aggettivo «sole» non concede spazio logico per alternative. Nel passo l’argomentazione è rafforzata dall’impiego delle formule di impossibilità e necessità: «non è possibile che non sia» ed «è neces- sario che non sia»; le due vie, insomma, si impongono alla ragione come le uniche praticabili, incondizionate e assolutamente incompatibili.
[4] È un sentiero su cui nulla si apprende
D’altra parte, la dea risolve immediatamente l’imba- razzo dell’alternativa: qualsiasi contenuto di pensiero andrà infatti ascritto alla via «che è», dal momen-
to che nulla può dirsi o pensarsi della via «che non è».
Soltanto due vie possono essere in assoluto propo- ste all’attenzione della ragione, ma una sola è quella percorribile; l’altra rimane come accenno alla totale indeterminatezza: «ciò che non è» è inconoscibile e inesprimibile.
Qual è il soggetto esplicito delle due forme verbali «è» «non è»? Parmenide affida la soluzione allo svolgi- mento stesso del discorso: per la prima via («che è») sarebbe stato presto possibile indicare un vero sogget- to, per la seconda («che non è») propriamente no; la loro corrispondenza è solo apparente e iniziale.
[5] Pensare ed essere
In che senso la dea usa l’espressione «è»? Il terzo frammento, con l’esplicita equazione di «pensare» (noéin) ed «essere» (êinai), contribuisce a sottolineare la perfetta interdipendenza, nel linguaggio della Veri- tà, tra il pensiero che svela l’essere come vera e unica possibilità d’indagine e l’essere che non può non ma- nifestarsi nel pensiero. L’intelligenza necessariamente avrà come oggetto ciò che è, e questo dovrà essere riconosciuto come adeguato (per i suoi «segni») og- getto dell’intelligenza.
segue T6
1.Che rapporto intercorre tra l’alternativa delle due vie e l’identità tra essere e pensare?
2.Perché sono inizialmente prospettate due vie, se poi di fatto una sola è dichiarata percorribile?
3.Come sono connotate le due vie di ricerca?