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Una molteplicità di principi: Empedocle e Anassagora

5. sviluppo della vita umana.

Evidente il debito nei confronti della tradizione di ricerca milesia (una leggenda cro- nologicamente inattendibile lo voleva addirittura allievo di Anassimene).

IL MODELLO Come Empedocle, anche Anassagora accetta la dottrina parmenidea del- l’essere e, sviluppando forse le indicazioni della seconda parte del poema di Parmenide, cerca di spiegare il mondo dell’esperienza (della molteplicità e del divenire delle cose) ricorrendo al modello della combinazione:

Tutto sente

Un pensatore di svolta

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Pr

ofilo

«Nessuna cosa, infatti, nasce né muore, ma da cose che sono si ha il comporsi e il sepa- rarsi. E così dovrebbero propriamente chiamare il nascere comporsi, il morire separarsi».

(DK 59 B17)

Le cose di cui abbiamo esperienza sono effetto di una composizione da parte di en- tità (nel frammento «cose che sono»), che fungono da loro “ingredienti”.

«cose che sono»

composizione

separazione

molteplicità e divenire nell’esperienza

Per dar ragione della varietà dei fenomeni e della complessità dei processi, tali ingre- dienti dovevavo essere originariamente illimitati di numero e infinitamente piccoli: il mondo delle entità macroscopiche (visibili) sarebbe dunque derivato dall’aggregazione di componenti di base microscopiche.

Nel linguaggio aristotelico delle testimonianze che ci sono pervenute, si sostiene che Anassagora avrebbe ammesso «infiniti principi materiali», facendoli coincidere con gli «omeomeri», cioè con sostanze (per esempio: osso, carne, sangue ecc.) qualitativamen- te omogenee (il sangue è composto da gocce di sangue; un osso è diviso in parti che sono ancora osso, come accade alla carne, alla pelle ecc.). Ma nei frammenti il quadro si rivela per noi molto più complicato: vi si parla, infatti, piuttosto genericamente di «cose» (chrêmata), ovvero di «semi» (spérmata), elencati accanto alla tipica lista di qualità (i tra-

dizionali “contrari”) e a “elementi” (terra, aria, etere) [ T11]:

«Prima però che queste cose si separassero, essendo insieme tutte le cose, nemmeno un colore era manifesto: lo impediva la mescolanza di tutte le cose, dell’umido e del secco, del caldo e del freddo, del luminoso e dell’oscuro, e di molta terra presente e di semi infiniti per quantità e in niente simili l’uno all’altro». (DK 59 B4)

Questi ingredienti di base erano nello stato originario confusi, giustapposti indistinta- mente nella loro infinita piccolezza [ T11]:

«Insieme erano tutte le cose, illimitate sia per quantità sia per piccolezza [...] ed essendo tutte insieme, nessuna era manifesta a causa della piccolezza: aria e etere contenevano e prevalevano su tutte le cose». (DK 59 B1)

Si è cercato di precisare che cosa fossero esattamente queste «cose» confuse in origine, ma non esiste unanime accordo tra gli studiosi: sulla base dei precedenti milesi, per esem- pio, si è insistito sull’originarietà delle qualità (caldo-freddo, secco-umido ecc.), da cui tutto il resto dipenderebbe. D’altra parte, l’espressione «semi di tutte le cose» suggerisce l’idea di particelle elementari, di cui Anassagora sottolinea la differenziazione qualitati- va («aventi forme e colori e sapori di ogni tipo»). Nel disegno del pensatore di Clazome- ne appare comunque essenziale riconoscere l’esistenza originaria, a livello di ingredienti microscopici, di tutti gli elementi qualitativi di cui abbiamo esperienza. Tutti gli enti sa- rebbero risultati dalla loro combinazione, così da spiegare più semplicemente (e coeren- temente con l’insegnamento di Parmenide) mutamento e alterazione. Dal momento che nulla può derivare dal nulla, tutto quello che vediamo, tutti i processi che registriamo Infiniti ingredienti materiali La mescolanza originaria T11 Indistinzione originaria

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Pr

ofilo

nell’esperienza devono riferirsi a cose che erano in origine, sono e sempre saranno pre- senti, almeno a livello microscopico (impercettibile):

«Come all’inizio anche ora tutte le cose sono insieme». (DK 59 B6)

TUTTO IN TUTTO In principio «tutte le cose erano insieme» (nulla quindi si sarebbe poi aggiunto) e «non si poteva distinguere niente»: cioè, gli ingredienti (infiniti, illimitati in quantità e piccolezza) erano così piccoli e mescolati da essere indistinguibili, e così amal- gamati che, nei processi cosmogonici successivi, tutto avrebbe conservato traccia (per quanto microscopica) di quella mescolanza, e dunque di tutte le altre cose. In altre pa- role: «in tutto è contenuta porzione di tutto».

infiniti ingredienti qualitativi

infinita piccolezza mescolanza tutto in tutto

La totale commistione, in cui le infinite cose (infinitamente piccole) si trovavano in origi- ne, giustifica il rilievo «tutto in tutto»: dell’iniziale “impasto” di tutti gli ingredienti qua- litativi rimane traccia nel processo cosmogonico, anche in considerazione dell’infinita divisibilità delle cose: ogni cosa è, infatti, divisibile in porzioni sempre più piccole, senza mai annullarsi (Anassagora, riprendendo Parmenide, osserva: «ciò che è non è possibile che non sia»), garantendo così la presenza infinitesima di ogni ingrediente base in tutto.

È possibile che Anassagora, avendo presenti i paradossi dell’infinito denunciati dal contemporaneo Zenone, intendesse sfidarli affermando: «in relazione a se stessa ogni co- sa è grande e piccola». Dal momento che ogni cosa è sempre divisibile (senza giungere al nulla) all’infinito, la sua riduzione a porzioni infinitesime la rende «piccola»; poiché, tuttavia, essa è composta di infinite porzioni, è anche «grande». Oppure, più semplice- mente, egli voleva piuttosto marcare la complessità qualitativa di tutte le cose, in que- sto senso segnalando, a sua volta in modo paradossale, il fatto che, rispetto alla comples- sità, la dimensione è ininfluente: «tutto è in tutto» indipendentemente dalla grandezza delle cose.

tutto in uno

cosa grande

cosa piccola

dimensione indifferente

La microscopica presenza di «tutto in tutto» sembrava evidentemente necessaria per spiegare non solo le possibili combinazioni che danno luogo ai vari enti, ma anche la gradualità dei mutamenti (riconducibile alla variazione proporzionale della quantità di ingredienti nella singola cosa), senza contravvenire ai divieti eleatici (ovvero ipotizza- re che nasca qualcosa che non era [ T10]). In ogni trasformazione registreremmo quin-

di il manifestarsi di ciò che era già presente, ma troppo piccolo per essere percepito. La tradizione conserva un possibile argomento anassagoreo, ricavato dalla nutrizione. Am- mettiamo di conservarci in vita assumendo solo pane e acqua: peli, capelli, carne, ossa ecc. continueranno a crescere. Se tutto ciò non fosse contenuto in pane e acqua, come potrebbero le parti del corpo accrescersi nutrendosi di essi? In quegli alimenti, dunque, devono essere presenti (ancorché impercettibili) porzioni di peli, capelli, carne ecc., a meno di non arrendersi e ammettere che qualcosa possa scaturire dal nulla (DK 59 A46). Infinità divisibilità

L’impercettibile

I cicli cosmici

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ofilo

Ciò spinge Anassagora a osservare come le cose che vediamo, con le loro qualità (macroscopiche) in un certo senso rivelino la presenza di impercettibili componenti (qualitative) microscopiche:

«Le cose che appaiono [ta phainómena] sono visione di quelle che non si vedono».

(DK 59 B21a)

IL NOÛS Di fatto, però, non tutto deriva da tutto: formazioni e trasformazioni delle cose avvengono in modi determinati e regolari, e solo in quei modi (ogni animale genera animali della stessa specie, nessun essere si trasforma in un altro totalmente diverso e così via). Ciò è effetto dell’ordine prodotto dal processo cosmogonico di cui risulta asso- lutamente nuova la forza efficiente: se l’attenzione particolare per la dinamica cosmo- gonica è, rispetto ai precedenti milesi, comune ai modelli della ricerca del V secolo a.C., la proposta di Anassagora dovette suscitare curiosità tra gli addetti ai lavori, come ci ri- corda anche Platone.

Indicata come Noûs (“intelligenza”, “mente”), tale forza cosmogonica farebbe in effetti pensare a un surrogato delle tradizionali forze teogoniche: del Noûs Aristotele sottolinea come fosse «posto al di sopra delle cose», e «causa dell’ordine e della disposizione di tut- to». È probabile che Anassagora concepisse l’Intelligenza come una forza naturale, seb- bene «la più sottile e la più pura», distinta nettamente dall’iniziale commistione di in- gredienti. A essa riconosce, forse proprio per la sua alterità rispetto alla mescolanza delle cose, «conoscenza completa di tutto», attribuendole l’ufficio di «sistemare tutte le cose» in modo apparentemente banale: attraverso l’induzione di un moto rotatorio (progressi- vamente diffusosi) nell’originario insieme indistinto, avrebbe prodotto il successivo sepa- rarsi e riaggregarsi degli ingredienti secondo diverse combinazioni, con un effetto che si rivela complessivamente ordinatore [ T12].

Noûs separazione riaggregazione ordine e disposizione cosmica moto rotatorio forza efficiente forza naturale originaria commistione delle cose

INTELLIGENZA E CONOSCENZA Questa Intelligenza – comunque la si debba interpre- tare – è diffusa in alcuni enti (probabilmente i viventi), dando ragione della loro organiz- zazione e sviluppo (organismi), e certamente è presente nell’uomo: in questo senso, seb- bene l’uomo non fosse posto da Anassagora al di fuori della natura, bensì considerato come un prodotto dello svolgimento naturale messo in moto dall’Intelligenza, veniva a trovarsi tuttavia in una condizione d’eccellenza. Proprio in virtù dell’Intelligenza, infat- ti, l’uomo «pone ordine» nella varietà e mutevolezza dell’esperienza e risale dai dati dei sensi ai loro principi non sensibili, in questo modo conoscendo.

Come Empedocle, anche Anassagora attribuisce grande importanza ai sensi, che stabi- liscono il contatto dell’uomo con le cose (secondo lui, non conoscendo «il simile con il simile» bensì «il contrario col contrario»); un contatto che egli concepiva anche come manipolazione ed esplorazione, se è vero che avrebbe sostenuto, come attesta Aristote- le, che l’uomo è l’animale più intelligente «perché provvisto di mani», e che elaborò, a Noûs: ordine

e movimento

L’intelligenza ordinatrice

T12

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Pr

ofilo

conferma delle proprie teorie, alcuni notevoli esperimenti: il linguaggio comune afferma che un otre non contenente alcun liquido è vuoto; ebbene, osserva Anassagora, ciò non è affatto vero: l’otre contiene aria e basta schiacciarlo per sentire che quest’aria uscendo produce un notevole soffio. Il metodo è importante, anche se la conclusione tratta circa l’inesistenza del vuoto è di per sé erronea; e la tesi dell’intelligenza condizionata da una pratica (l’uso delle mani) è di eccezionale valore.

IL FILOSOFO E LA CITTÀ Se consideriamo l’impegno esplicativo e l’arditezza delle intui- zioni di Anassagora, non possiamo stupirci della risonanza e anche dell’avversione che la sua opera suscitò ad Atene, la città che stava affermandosi come capitale morale e cultu- rale della Grecia.

Il pensatore di Clazomene vi si era trasferito nel 462 a.C., introducendovi per primo l’in- teresse per la filosofia, cui furono sensibili, negli anni seguenti, le più vive intelligenze della città. Ad Atene Anassagora tenne una scuola per circa trent’anni e godette dell’ami- cizia di Pericle che lo accolse nella propria cerchia intellettuale, di cui fu una delle perso- nalità più eminenti. Ma durante gli ultimi anni di vita dello statista, negli ambienti con- servatori si inasprì l’opposizione alla sua politica democratica e il circolo di Pericle, aperto a ogni novità culturale, fu il bersaglio di critiche e accuse. Così, nel 432 a.C. Anassagora subì un processo per empietà, accusato di aver sostenuto sui corpi celesti teorie contra- rie alla tradizione e di aver negato l’esistenza degli dei. Il filosofo dovette abbandonare la città e riparò a Lampsaco, in Asia Minore, dove continuò a esercitare l’insegnamento e dove morì. L’accusa di empietà aveva in effetti significato politico, giacché il rispetto del- la religione tradizionale premeva soprattutto per ragioni ideologiche; e anche questo era un segno del mutato clima culturale.

1.In che modo viene reinterpretata la natura nella ricerca della metà del V secolo a.C.?

2.In che senso si parla di pluralismo per la ricerca di Empedocle? 3.Quale relazione sussiste tra Empedocle e Parmenide?

4.Qual è il contributo più originale di Empedocle alla riflessione sui principi

della realtà?

5.Quale novità presenta la proposta di Anassagora rispetto a quella di Empedocle?

6.Quali principi sono individuati dal filosofo di Clazomene e quale la loro

funzione?

7.Che cosa rappresenta il Noûs nella cosmogonia di Anassagora?

FISSIAMO LE IDEE

Il sorriso della “sapienza”: