DEGLI ATTORI COINVOLT
3. Beni pubblici e beni comuni nella giurisprudenza di legittimità.
La rinnovata concezione dei beni, non più radicata nella dicotomia pub- blico-privato, trova una prima traccia nella sentenza delle sez. un. civ. del- la Corte di Cassazione del 14 febbraio 2011, n. 3665.
Il caso riguardava la contesa insorta tra A.M.A. Azienda Marina Averto Srl ed il Ministero dell’Economia e Finanze, il Ministro delle Infrastruttu- re e la Regione Veneto per la rivendicazione da parte di A.M.A. della pro- prietà delle valli da pesca nella Laguna di Venezia, ovvero canali d’acqua salmastra che promanano dalla laguna, ove si svolge la pesca e modesta navigazione con piccole imbarcazioni.
Il quesito di diritto rivolto alla Suprema Corte era così formulato: «datosi atto che nessun atto statale è mai intervenuto per dichiarare la demaniali- tà della Valle Averto dopo l’entrata in vigore dei due codici del 1942, dica la Corte se nello statuto costituzionale italiano ed europeo della proprietà, sia ammissibile che la mera classificazione legale di un bene demaniale statale sia idonea di per sé in quanto descrizione classificatoria, a togliere la proprietà al precedente proprietario e ad attribuirla allo Stato e ciò an- che senz’alcun intervento provvedimentale e senza dar far luogo a nessu- na indennità di acquisizione».
Nel rispondere a tale quesito, le sez. un. hanno enunciato un principio di singolare importanza, affermando che “oggi (…) non è più possibile limitarsi, in tema di individuazione di beni pubblici o demaniali, all’e- same della sola normativa codicistica del 42, risultando indispensabile integrare la stessa con le varie fonti dell’ordinamento e specificatamen- te con le (successive) norme costituzionali”, cosicché “da tale quadro normativo - costituzionale, (…) emerge l’esigenza interpretativa di guardare al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patri- moniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-col- lettivistica”.
Tale approdo è frutto di una corretta applicazione degli artt. 2, 9 e 42 Cost., dai quali “si ricava il principio della tutela della umana per- sonalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato socia- le, anche nell’ambito del “paesaggio”, con specifico riferimento (…) a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione ri- sultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema
normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli in- teressi della collettività. (…). Ciò comporta che (…) debba farsi riferi- mento allo Stato – collettività, quale ente esponenziale e rappresentati- vo degli interessi della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in termine di sola dicotomia beni pubblici (o demaniali) - privati signi- fica, in modo parziale, limitarsi alla mera individuazione della titola- rità dei beni, tralasciando l’ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati”.
La pretesa proprietaria di A.M.A. su tali beni, fondata sull’assenza di un espresso provvedimento di demanialità, non adottato dopo il catasto de Barberis del 1841, non poteva, dunque, essere basata sulla semplice mo- difica artificiale dei beni, sostituendo i canneti e vecchi pali con le più moderne chiaviche e paratoie, nel tentativo di separare tali lingue d’acqua dalla penetrazione del mare e della laguna.
A nulla rileva il fatto che talvolta vi fossero delle secche a separare l’acqua dalla terra ferma, poiché, secondo le sez. un., l’utilizzo di tali aree per pe- sca e navigazione confermano la vocazione naturale e morfologica di un pezzo di mare che si mostra in una veste diversa.
In tale sentenza, punto di rottura e di apertura verso una nuova e più complessa concezione dei beni, emerge in modo netto il principio di ap- partenenza di servizio, che attribuisce “all’ente esponenziale” l’ufficio di proteggere la continuità funzionale del bene, di svolgerne la gestione e di regolarne il godimento collettivo.
Le sez. un. nella citata sent. 3665/2011 danno comunque atto della pre- senza di segnali premonitori, di “intuizioni preliminari”, che già anni ad- dietro avevano percepito ed affermato, sebbene in modo meno netto e deciso, l’importanza di una vocazione naturale di beni.
Una di queste intuizioni era maturata con la sent. 1300/1999 pronunciata 12 anni addietro dalla Sez. I della Cassazione e riferita alla proprietà e na- tura demaniale dei Laghi Faro e Ganzirri in provincia di Messina
I signori Arena-Mancuso rivendicavano diritti reali su tali bacini di acque salmastre per la coltivazione dei molluschi, protrattasi di generazioni in generazione.
Quando il Marina Faro Sporting Club decise di organizzare su quegli specchi d’acqua due gare di motonautica, l’impugnazione in via cautelare da parte dei coltivatori di molluschi per ottenere un provvedimento d’ur- genza fu inevitabile.
In un primo momento, venne accolta la richiesta cautelare a fronte di un oggettivo danno grave ed irreparabile e in primo grado il Tribunale di Messina riconobbe agli attori la titolarità di diritti esclusivi di pesca sulle acque dei laghi di Ganzirri.
In secondo grado, tuttavia, la Corte di Appello di Messina declinò la giu- risdizione a favore del Tribunale Superiore delle Acque, affermando l’ap- partenenza dei laghi al demanio marittimo.
Tale decisione venne confermata dalla Corte di Cassazione con la citata sent. 1300/1999, con riconoscimento della naturale vocazione demaniale dei Laghi dello Stretto, precisando che “è infatti incontestato che i laghi consentono una sia pur limitata navigazione di imbarcazioni provenienti dal mare o ivi dirette e che le loro acque sono suscettibili di sfruttamento economico attraverso l’esercizio della molluschicultura e della pesca, con- sentendo di tal modo attività del tutto simili a quelle che possono essere esercitate in mare aperto. Il vizio di fondo implicito nella prospettazione dei ricorrenti - posto in evidenza dal controricorso delle Amministrazio- ni Pubbliche - è agevolmente ravvisabile nell’erroneo convincimento che l’uso pubblico dei bacini salsi o salmastri comunicanti col mare debba essere identificato con la navigazione e il trasporto marittimo di imbar- cazioni destinate a traffici commerciali, del tutto impossibili nei laghi di Ganzirri per la scarsa profondità delle loro acque e per le limitate dimen- sioni dei canali di comunicazione con il mare: va invece ribadito che l’uso pubblico dei bacini salsi o salmastri dev’essere ravvisato tutte le volte che essi, per la loro conformazione ed estensione, consentano l’esercizio di attività economiche del tutto simili a quelle che possono svolgersi in mare aperto, come la pesca e la molluschicultura che costituiscano indubbia espressione di una utilizzazione immediata e diretta dei laghi di Ganzirri del tutto identica a quella cui può adempiere il mare, come puntualmente evidenziato dalle pronunce di questa Corte citate dai ricorrenti”.
Seppure in modo indiretto, veniva affermata in via primordiale la dema- nialità connaturata con il bene e con lo scopo sociale dello Stato a tutela della collettività, non solo dei beni pubblici in quanto tali, ma con una prima apertura verso i cosiddetti beni comuni.
I principi della sentenza delle sez. un. n. 3665/2011 verranno ampiamen- te ripresi nel tempo anche dalla giurisdizione amministrativa, come nel caso della sent. 3752/2015 del Tar Lazio, Sez. II-bis, riferita ad un caso di acquisizione sanante nella vertenza tra il Demanio collettivo di Vazia e il Comune di Rieti per aree in località Terminillo di proprietà della società APDV in liquidazione.
Proprio nell’ambito di tale giudizio, il Tar Lazio richiamava integralmente un significativo passaggio della citata sentenza delle sez. un. “(...) pone l’esigenza di rivisitare in via interpretativa il sistema normativo vigente, con particolare riferimento ai dati costituzionali, al fine della individua- zione dei criteri indispensabili per attribuire natura “non privata ad un bene immobile, e la funzione di un Stato sociale, e non solo apparato, quale ente rappresentativo degli interessi della collettività, pur afferman- do il dovere dello Stato, attraverso l’ente esponenziale di riferimento, ad intervenire tempestivamente nella tutela degli interessi collettivi.