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Introduzione Il quadro normativo di riferimento e i problemi rilevanti.

DEGLI INTERESSI PUBBLIC

1. Introduzione Il quadro normativo di riferimento e i problemi rilevanti.

Nell’ultimo trentennio le Amministrazioni pubbliche (in particolare quel- le territoriali locali; nel contesto dell’odierno convegno particolarmente la Provincia Autonoma di Trento e la Regione Autonoma Trentino - Alto Adige) hanno deciso di avvalersi, nel quadro dello svolgimento delle fun- zioni loro intestate, delle società a partecipazione pubblica (tra le prime, già negli anni Ottanta, Informatica Trentina S.p.a. e Tecnofin S.p.a.).

Il modello societario applicato allo svolgimento di funzioni pubbliche è stato correlato a esigenze di snellimento dell’attività amministrativa e di deformalizzazione dei procedimenti amministrativi, caratterizzati, in questo quadro, come inutilmente complessi e lunghi.

Il tema della partecipazione pubblica nasce, dal punto di vista storico, con l’esordio del diciassettesimo secolo, allorché il Sovrano, con proprio edit- to, creava le prime società pubbliche, consentendo, nel quadro delle ini- ziative reali, a facoltosi personaggi dell’epoca di svolgere attività rischiose senza impegnare direttamente il proprio capitale nel suo insieme. Si pensi ad esempio, in questo quadro, alla Compagnia delle Indie Orientali. Sin dai primi passi, peraltro, il modello della società pubblica prestava l’occasione per evidenziare profili problematici in tema di abuso, o uso distorto, della personalità giuridica.

La totale o parziale partecipazione pubblica, nel quadro descritto, preve- de l’inserimento di soggetti di natura anche solo formalmente privatistica nel perseguimento di fini di interesse pubblico, per lo più consistenti nello

svolgimento di servizi pubblici ovvero nella esternalizzazione di proprie attività strumentali (riscossione delle tasse/tributi locali, acquisizione di mezzi finanziari, valorizzazione del patrimonio, ecc.), oppure nell’inter- vento, anche solo indiretto, in economia.

A seguito della larghissima diffusione delle cosiddette “società parteci- pate” il quadro ordinamentale, originariamente definito da singole leggi di autorizzazione e copertura della spesa, statale o regionale/provinciale che sia, si è quindi arricchito del d.lgs. n. 175/2016, recante la disciplina organica in materia di società partecipate da soggetti pubblici (Testo Unico

delle società Partecipate - TUSP).

Questa norma fa seguito a numerose leggi statali e in parte regionali che, dopo il periodo fortemente espansivo, hanno iniziato ad provvedere con obblighi di revisione dell’indirizzo precedente e quindi di razionalizza- zione delle partecipazioni pubbliche, soprattutto in quelle società che spesso venivano a trovarsi in condizioni di grave indebitamento e deficit di gestione con oneri a carico dell’ente pubblico, ovvero di grave conflitto di interesse con i propri soci proprietari pubblici.

Detto Testo Unico, nel disciplinare compiutamente la materia, ha come riferimento l’esigenza di razionalizzare, mediante ragionata riduzione, le società pubbliche, tenuto conto che il fenomeno di tale modello societario si è diffuso a macchia d’olio, sostenuto da opinioni secondo cui l’esterna-

lizzazione di funzioni e compiti pubblici e la loro gestione secondo modu-

li privatistici si correli alla cosiddetta sburocratizzazione, recante supposti vantaggi in termini di efficienza e tempestività dell’agire amministrativo. Per converso, la complessità e il numero delle partecipazioni societarie pubbliche e gli oneri ad esse connessi si sono correlati a:

1. una situazione di mancata trasparenza in ordine agli effetti sugli equi- libri complessivi di bilancio dell’Ente pubblico partecipante (in tale quadro valgano gli eloquenti esempi dei dissesti di alcuni Comuni - Catania, per tutti, ma anche Terni, Messina e molte altre - in cui ri- sultava manifesta la difficoltà di quantificare e valutare l’esposizione debitoria indotta dalle società partecipate);

2. la possibilità di modalità di elusione, attraverso il modello societario, dei vincoli occupazionali (assunzione personale senza concorso), di contrattualistica pubblica (acquisti senza pubblica gara) e di finanza pubblica (violazione Patto di Stabilità), proprio in virtù di un sistema di controlli fortemente attenuato;

3. la necessità di un veritiero e attendibile bilancio consolidato, che tenga conto degli equilibri di bilancio complessivi tra ente pubblico parteci- pante e società partecipate.

La proliferazione di tali società ha raggiunto livelli di notevole impor- tanza, senza tuttavia che si registrassero standards di servizio compatibili con rilevanti spese effettive e frequenti sbilanci negativi dal punto di vista della contabilità societaria; proprio su tali premesse, l’art. 1 della legge n. 190/2014 (Legge di stabilità 2015) aveva già fissato regole indirizzate a ridurre il numero delle società partecipate dagli enti locali e a migliorare il livello di efficienza e produttività di quelle comunque funzionali al per- seguimento dei fini istituzionali dell’Amministrazione.

Il successivo d.lgs. n. 175/2016 prevede un generale riordino del quadro ordinamentale in materia, fissando i presupposti per la partecipazione societaria, o il suo mantenimento, da parte delle Amministrazioni; tale quadro giuridico si è posto in armonia con i rinnovati princìpi afferen- ti ai nuovi sistemi regionali integrati di finanza pubblica già attivati in Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia, ma non solo, nonché agli equilibri di bilancio di tutte le Pubbliche Amministrazioni, in particolare di quelle territoriali e del Servizio Sanitario, approntando un sistema fi- nalizzato all’efficienza delle società pubbliche partecipate e prendendo in considerazione in modo unitario il consolidato “Pubblica Amministra- zione” (iniziando la valorizzazione dei risultati di esercizio delle società partecipate sulle Amministrazioni partecipanti).

Le finalità della novellazione recata dal Legislatore delegato con il sopra riferito decreto sono evidenziate all’art. 1, co. 2, riguardando l’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, la tutela e la promozione della concorrenza e del mercato, la razionalizzazione e la riduzione della spesa pubblica, ma anche il miglioramento dei servizi.

Gli elementi che contraddistinguono il nuovo quadro ordinamentale re- cato dal cennato d.lgs. n. 175/2016 sono quello della necessarietà e stret- ta pertinenza (vincolo di scopo e vincolo di attività) con i fini istituzionali dell’Ente partecipante dell’attività della società partecipata (S.p.a. o S.r.l.); in tal senso, l’art. 4, co. 1, dispone che “le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per og- getto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessa- rie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”.

Secondo l’art. 4, co. 2, del riferito decreto legislativo, inoltre, le società “partecipabili” dagli enti pubblici sono tenute a svolgere in via esclu- siva specifiche attività, puntualmente evidenziate dal Legislatore, in sintonia con l’art. 18, co. 1, legge n. 124/2015, secondo cui la parteci- pazione alle società presuppone la coerenza con il perimetro dei com- piti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti.

Il filo conduttore del mio ragionamento sarà quindi incentrato su due per- corsi, aventi come sfondo le problematiche relative all’abuso delle spe- cificità della personalità giuridica privata (a corollario, il tema della di- smissione delle società partecipate) e il ruolo della Corte dei conti, tenuto conto che l’attuale quadro ordinamentale e di riparto giurisdizionale è incentrato sulla disciplina del soggetto e non (come a mio avviso prefe- ribile) sull’oggettività della finalizzazione dell’attività e dell’utilizzo del denaro pubblico coinvolto.

Occorre anzitutto premettere la sostanziale contraddizione in radice, per quanto concerne il modello societario, afferente alla propria stessa ragio- ne di essere: la società, infatti, per sua natura, deve tendere al lucro, lad- dove per la società partecipata si inseriscono - sovente - percorsi gestiona- li di strutturale perdita, ovvero, nella migliore delle ipotesi, la necessità di tutelare pubblici interessi in conflitto con il perseguimento del massimo profitto, quindi del tutto incompatibili con l’innesto soggettivo privatisti- co nelle attività di competenza.

Nel quadro descritto, la società partecipata avrebbe una sua coerenza qualora fosse esclusa a priori la possibilità del ripiano delle costanti e per- duranti perdite societarie, atteso che nel modello disegnato dallo sche- ma imprenditoriale tali evenienze sono sostanzialmente contrassegnati dall’eccezionalità e dalla temporaneità (l’imprenditore, infatti, cessa l’atti- vità). Anche nel caso di significativa necessaria oggettiva limitazione del- la redditività del capitale investito e quindi dell’utile per il perseguimento di finalità di pubblico interesse, dovrebbe essere comunque garantita la massima efficienza, trasparenza ed equilibrio dei bilanci; in altri termini non dovrebbero più essere utilizzate risorse pubbliche per coprire ineffi- cienze o peggio interessi confliggenti con quelli istituzionali nonché spese dannose od anche solo inutili.

Nel dare conto di un difficile innesto delle pubbliche funzioni nell’agile schema imprenditoriale occorre altresì ragionare su una serie di proble-

matiche che si presentano sul tipico terreno della prassi, che impediscono un fluido esercizio del sistema dei controlli societari:

1. la ben improbabile azione dell’Assemblea dei soci avverso gli Ammini- stratori;

2. l’altrettanto improbabile azione di responsabilità da parte del socio di minoranza privato.

In sostanza, nella pratica, a fronte di ridottissime (se non nulle) evenienze di azioni di responsabilità avverso gli Amministratori di società parteci- pate (dinanzi al Giudice Ordinario), non è assicurata la necessaria prote- zione al denaro pubblico. Al contrario, l’attuale assetto nel riparto della giurisdizione (pur con l’eccezione delle società in house) assiste le Pubbli- che Amministrazioni nel quadro di disegni di elusione di specifici vincoli recati dal quadro ordinamentale pubblicistico e assicura aree di sostanzia- le impunità agli amministratori delle società partecipate.

Ben differente si presenterebbe la situazione nel quadro di una tutela delle risorse erariali investite (nelle società) affidata alle Procure regionali della Corte dei conti, libere da condizionamenti e titolari di ampi poteri di in- dagini, assistite dalla Polizia erariale.

Occorre infine dare atto delle novità recate dalla Legge di bilancio 2019 al Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica.

Spicca la novità concernente la possibilità per le Amministrazioni pubbli- che di mantenere, fino al 31 dicembre 2021, le partecipazioni nelle società pubbliche, in deroga a quanto previsto dall’art. 24, ma solo se trattasi di partecipate che hanno prodotto nel triennio 2014 – 2016 un risultato me- dio in utile. L’art. 1, co. 723, della Legge di bilancio 2019 (l. 30 dicembre 2018, n. 145) aggiunge all’art. 24 del TUSP, relativo alla revisione straordinaria delle partecipazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, il co. 5-bis, in base al quale: “A tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche, fino al 31dicembre 2021 le disposizioni dei co. 4 e 5 non si applicano nel caso in cui le società partecipate abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione. L’am- ministrazione pubblica che detiene le partecipazioni è conseguentemente autorizzata a non procedere all’alienazione”.

Sempre a tutela dei beni pubblici e per evitare svendite attraverso proce- dure forzatamente affrettate, la disposizione pospone, fino al 31 dicembre 2021, l’obbligo di alienazione entro un anno dalla ricognizione straordi-

naria (entro il 30 settembre 2018), nonché il divieto per il Socio pubblico di esercitare i diritti sociali, con riferimento alla successiva liquidazione coatta in denaro delle partecipazioni.

La temporanea deroga provvisoria riguarda solo le società partecipate che abbiano prodotto un risultato medio in utile nel 2014 – 2016, ossia nel triennio precedente alla ricognizione.

L’art. 24 del TUSP ha imposto la revisione straordinaria delle parteci- pazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni. In base a tale disci- plina, entro il 30 settembre 2017 ogni Amministrazione pubblica dove- va deliberare, anche solo per attestare l’assenza di partecipazioni, una revisione di tutte le partecipazioni societarie possedute, direttamente o indirettamente, al 23 settembre 2016 (data di entrata in vigore del Te- sto Unico). La decisione doveva riguardare “tutte le società e, quindi, anche quelle di minima entità e finanche le partecipazioni in società “quotate”; doveva essere adeguatamente motivata sia per giustifica- re gli interventi di riassetto sia per legittimare il mantenimento della partecipazione; doveva essere attuta, in caso di alienazione, entro il 30 settembre 2018.

Da tale disciplina discendeva l’obbligo di inserimento nel piano di rico- gnizione e con correlativa alienazione, in mancanza di altre misure di ra- zionalizzazione, delle società:

- non riconducibili alle attività e finalità elencate all’art. 4 del TUSP; - costituite, o con partecipazioni acquisite, sulla base di un atto non ana-

liticamente motivato in ordine alla sussistenza delle ragioni di efficien- za, efficacia ed economicità che ne giustificano la costituzione o l’ac- quisizione, in violazione dell’art. 5, co. 1, del TUSP;

- costituite, o con partecipazioni acquisite, sulla base di un atto incompa- tibile con la normativa comunitaria e nazionale, in violazione dell’art. 5, co. 2, del TUSP;

- versanti in una delle ipotesi di cui all’art. 20, co. 2, del TUSP, in quanto: prive di dipendenti o con un numero di Amministratori superiore a quello dei dipendenti; con attività similari a quelle svolte da altre so- cietà partecipate o da Enti pubblici strumentali; con un fatturato medio, nel triennio precedente, non superiore a un milione di euro (500mila in sede di prima applicazione);

- con risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti (eccet- tuate le società costituite per la gestione un servizio di interesse gene- rale).

Per le società in utile, tenendo conto dell’esigenza di valorizzare le quote societarie pubbliche, la Legge di bilancio 2019 autorizza l’Am- ministrazione interessata a mantenere le partecipazioni per il triennio 2019-2021.

Possono verificarsi differenti evenienze in base al concreto avanzamento delle operazioni di alienazione al 31 dicembre 2018; in tale quadro l’Am- ministrazione può, nel contesto della revisione straordinaria:

1. non avere provveduto ancora all’alienazione, nonostante abbia adotta- to il piano entro il 30 settembre 2017;

2. avere avviato l’iter di alienazione con la pubblicazione del bando per la procedura ad evidenza pubblica o con l’avvio della procedura negozia- ta, senza avere ancora provveduto all’aggiudicazione;

3. avere concluso la procedura di alienazione con esiti infruttuosi, per mancanza o inidoneità delle offerte;

4. avere concluso la procedura di alienazione con l’aggiudicazione, senza avere stipulato il seguente contratto di vendita;

5. avere stipulato il contratto di cessione con l’aggiudicatario.

Eccettuato il caso dello stipulato contratto di cessione, l’Amministrazione è tenuta ad emanare un provvedimento (ad opera dello stesso organo in- vestito della deliberazione del piano di revisione straordinaria), avente ad oggetto l’esercizio (o meno) della facoltà di disapplicazione per il triennio 2019 – 2021 dell’obbligo di alienazione.

Qualora l’Amministrazione opti per avvalersi della facoltà di disappli- cazione, deve evidenziare, nel provvedimento, la sussistenza del requi- sito (previsto dalla Legge di stabilità 2019) dell’utile medio nel triennio 2014-2016 (accludendo i dati derivanti dal bilancio societario); nello stes- so atto, in tal caso, deve provvedersi alla revoca del bando o dell’aggiu- dicazione.

La novella normativa (di sostanziale proroga) della Legge di stabilità 2019 riguarda solo l’alienazione e non le altre misure di razionalizzazione previste dall’art. 20 del t.u.; le Amministrazioni sono quindi obbligate a tenere conto nel piano di razionalizzazione ordinaria anche delle società interessate dal “rinvio”, specificando l’applicazione della deroga norma- tiva in questione.

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