• Non ci sono risultati.

Bibbia: un'esegesi non tradizionale

La cattedra di Filosofia sociale all'Università di Gerusalemme, assegnata a Buber nel 1938, impegnò il filosofo in un nuovo incarico, datogli da Gerardus van der Leeuw di Groningen, il quale invitò Buber ad elaborare una storia della religione di Israele per un'opera collettiva olandese.

65

“La sua sintassi nominale proviene dalla necessità di organizzare un sistema metaforico che metta in risalto, ed indichi il fra (between), con lo scopo di caratterizzare la funzione della sfera dell'interumano, e non per riferirsi ad entità psichiche o mentali. I suoi sostantivi non sono nomi e non hanno alcun collegamento con i concetti tradizionali di ipostasi o sostanza; essi sono eventi umani. Da ciò consegue che la scelta di Buber di fare utilizzo di espressioni metaforiche e retoriche è parte del suo modo di considerare il linguaggio. Ciò che lui spera di esplicare non si può spiegare in un linguaggio concettuale. Se esso fosse ridotto a “cosa”, si distruggerebbe. Perciò esso deve essere ripensato e ricreato nella scrittura; esso deve essere spiegato non nel senso di un qualcosa che viene smascherata bensì deve essere ri-presentato a noi come qualcosa che noi stessi diventiamo in grado di creare. È in questo senso che esso non può venire separato dal modo in cui esso viene espresso. Esso non è collegato alla proposizione bensì al mondo. Non ci deve sorprendere che la forma, il modo in cui sono espressi i sui scritti non sia veramente poesia o un resoconto mistico, bensì una scrittura critica. (…) Egli si appella a noi, alla nostra esperienza, e si offre, lui stesso, come interprete di un'esperienza che è molto simile all'esperienza delle grandi arti. Possiamo affermare che Io e Tu non sia un poema, bensì che abbia l'intenzione di essere una possibile interpretazione dell'uno. Io penso (…) che esso possa essere una rotta per un nuovo tipo di filosofia antropologica e morale. ” In J. Dale, Martin Buber's Semantic Puzzle, in Religious Studies, Vol. 6, No.3, Sep., Cambridge University Press, 1970, p. 261

66

- 31 -

“I doveri dell'incarico, per me nuovo anche come disciplina (l'incarico e la cattedra dell'Università di Francoforte s.M., sino al 1933, erano stati di Scienza della religione), mi rendeva difficile accettare l'invito. Se dopo qualche esitazione tuttavia accettai, ciò fu dovuto al fatto che fra i collaboratori previsti io ero l'unico non olandese e l'unico non cristiano: questo rendeva evidente il carattere simbolico della proposta e ne imponeva l'accettazione”67.

Fu solo dopo la fine della guerra che, con grande sorpresa, Buber scoprì che il suo saggio, dal titolo La

fede di Israele, era stato effettivamente pubblicato all'interno dell'opera collettiva. Accanto alla scrittura

del saggio, che doveva consistere di un limitato numero di pagine, Buber scrisse e rielaborò in ebraico la redazione integrale, limitata all'esposizione della fede profetica. Il libro apparve a Tel Aviv nel 1942 con il titolo La fede dei profeti.

È ad esso che farò riferimento, assieme ad altri testi, nella terza parte di questa tesi, per analizzare il concetto di religiosità. L'opera si può intendere, come lo stesso autore spiega, quale studio storico della fede di Israele. In esso Buber non mette in atto uno studio storico complessivo della religione bensì della fede. La distinzione fra questi due diversi modi -storia della fede e storia della religione- di argomentare l'accadere di un culto, -del rapporto fra una comunità e il divino,- è di fondamentale importanza, perché, la scelta di scrivere una storia della fede, permetterà al filosofo di usare una specifica ermeneutica con la quale si approccerà alla lettura ed analisi del testo biblico, con l'utilizzo di categorie di interpretazione esistenziale68.

L'originalità della sua interpretazione sta nel fatto che, di fronte al grande tentativo della scienza moderna di dimostrare che i singoli libri narrativi, (quelli del Pentateuco in particolare), sono un intreccio di pezzi provenienti da “fonti documentarie”, che si cerca in qualche misura di datare, Buber oppone un tentativo in cui, -se pur anche in esso si ricerca di individuare l'inizio e le varie tappe della dottrina di fede d'Israele - i parametri sulla base dei quali si cerca di attribuire una datazione alle varie vicende e scritti biblici non sono di tipo scientifico-filologico, bensì sono da cogliere a livello del contenuto di quanto espresso negli scritti profetici. È nel contenuto e nel contesto in cui si calano le varie intercessioni dei profeti nella storia d'Israele che Buber trova il filo conduttore della storia della fede d'Israele.

“Lo studio di una testimonianza di fede si pone su di un piano diverso rispetto all'attività di analisi di un'opera letteraria. La storia implica un coinvolgimento che va al di là di una semplice analisi. In linea con la figura di Mosè e altre di simile statura, noi ci confrontiamo con uomini che furono strumento nella produzione di nuove configurazioni dello spirito umano, o con uomini che sono portatori della rivelazione originaria. Di fronte ad essi, né gli uomini, né i loro strumenti sono capaci di ridurli a mere

67

M. Buber, La fede dei profeti, tr. it. di A. Poma, Bologna, Marietti, 2000, p.3

68

Ricostruire una storia della fede significa per Buber riconoscere nelle parole dei profeti l'origine del modo in cui l'esistenza del popolo d'Israele ha avuto inizio e continua a svolgersi. Quindi in questa analisi del testo sacro si deve tenere di conto questo parallelismo fra fede ed esistenza, di modo che esse possano trovare il proprio significato, l'una nell'altra.

- 32 -

concatenazioni di forze psicologiche, economiche o sociologiche, o altre che possano costituire un punto d'appoggio valido per la comprensione scientifica”69.

Questa è sommariamente la posizione del filosofo che, intendendo focalizzare la propria attenzione sulla fede, concepirà il suo studio come ricerca delle modalità attraverso cui è avvenuto il dialogo fra umano e divino che ha dato origine a tale stabile rapporto: la religione d'Israele. La religione si pone come lo stato in cui il rapporto di fede si trova ad una consistenza finita, ferma, affermata, in cui il dialogo fra uomo e Dio si è stabilizzato entro una certa forma cristallizzata . Per “fede” invece si intende il fenomeno del dialogo fra uomo e Dio nella sua continua attualità, come un qualcosa che continuamente si produce. Ciò che a differenza della religione, domina nella fede è la presenza di Dio, non il suo mero essere nominato, problema che Buber affronterà in Eclissi di Dio70 (1952); libro in cui il filosofo porrà l'accento sulla religione, esaminando il percorso attraverso cui il vitale rapporto dialogico di fede, è diventato progressivamente mero contenuto di un culto.

Buber non guarda quindi al testo sacro con l'intento di cercare in esso le tappe di formazione della religione ebraica, intesa nel senso sopra esplicato, bensì intende leggerlo come testo in cui si possano ricercare quelle certe caratteristiche, sempre attuali e attive del dialogo fra uomo e Dio, su cui si fonda il “comune legame esistenziale di una comunità”71

. Il come è avvenuto ed avviene questo dialogo è il tema de La fede dei profeti, in cui, anche qui, su di un piano esegetico è l'incontro con Dio, la relazione con Egli a definire l'approccio di Buber, che può essere per questo considerato dialogico72.

“Secondo il suo oggetto, questo libro ha a che fare essenzialmente con la storia della fede. In questa denominazione, però, si deve intendere qualcosa di diverso da ciò che solitamente si chiama storia della religione. Quest'ultima si occupa di dottrine religiose, simboli religiosi e istituzioni religiose in quanto tali, qui invece tutti questi elementi, quello teologico, quello simbolico e quello istituzionale, sono immersi nel comune legame esistenziale di una comunità. Nella formazione della vita complessiva di questa comunità in tutte le sue funzioni sociali, politiche e spirituali, la fede di cui qui si tratta ha avuto l'audacia di diventare carne. Il mio libro tratta di questa audacia”73.

Il libro analizza le tappe del dialogo con Dio, a partire da due presupposti che il filosofo riconosce come peculiari dell'esperienza di Dio che coinvolge il popolo d'Israele: la prima è l'essersi imbattuti in un Dio che li ha tratti fuori, che li ha guidati e mostrato loro la via, la seconda quella per cui fra il popolo d'Israele sono esistiti degli “annunciatori”, i profeti, per mezzo dei quali Dio ha parlato, ha immesso la sua propria parola.

69 Malcom L. Diamond, op. cit., p. 80 70

M. Buber, Eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, (I ed. 1952), tr. it. di Ursula Schnabel, Firenze, Passigli Editori, 2000

71

Introd. a M. Buber, La fede dei profeti, op. cit., p. XVIII

72

“Troviamo qui alcuni degli elementi più interessanti del filosofare buberiano: il pensiero teologico e quello storico si esprimono anch'essi in maniera dialogica. Dio entra in dialogo con l'umanità attraverso il proprio popolo e inizia così la comunicazione fra cielo e terra.” In G. Bon, La filosofia dialogale di Martin Buber, Firenze, Rosini, 1998 p. 87

73

- 33 -

Sarà dunque per mezzo di questa figura, quella del profeta, -“nel cui parlare egli si situa sempre in quel punto del tempo in cui il destino si decide, e alla cui decisione partecipano, con la loro decisione, le persone lì, davanti a lui”74,- nella sua parola effettiva, voce divina, che Buber, cercando di ricostruire i momenti di questo dialogo, attingerà continuamente per fondare la propria prospettiva antropologica, in cui la teologia -come approfondirò nei capitoli successivi- rivestirà un importante ruolo75.

Altri scritti concepiti e pubblicati in questo periodo sono un saggio sulla Bibbia, Mosè (1945), e scritti di carattere politico come Sentieri in utopia (1949), opera quest'ultima scritta a distanza di due anni dall'esperienza di creazione e partecipazione, del filosofo, al gruppo progressista Ichud fondato nel 1942, il cui scopo era quello di incoraggiare le relazioni arabo-ebraiche e di lavorare per uno stato binazionale76.

74

M. Buber, La fede dei profeti, op. cit., pp. 5-6

75

“Mentre Buber ha indubbiamente interpretato la Bibbia in termini di filosofia dialogica; La Bibba ebraica esercitò su lui stesso una cruciale influenza per lo sviluppo della sua stessa filosofia. Per esempio trova il suo approccio dialogico alla conoscenza intrecciato in molte strutture dell'ebreo biblico. Ne è un esempio il versetto “Ora Adamo conobbe Eva sua moglie, e lei concepì Caino”, non è un caso che in ogni traduzione di questo versetto sia evitato l'utilizzo di un verbo che esprima l'atto sessuale. Buber trova nel verbo “conoscere” un importante principio, in distinzione con il linguaggio occidentale, il quale apparterrebbe non alla sfera della riflessione ma a quella del contatto ”. In Malcom L. Diamond, op. cit., p. 65

76

Mentre si trovava in Germania, Buber aveva lottato con ardore per animare e diffondere un senso di solidarietà ebraica e per ispirare un entusiasmo sionistico ora, una volta giunto in Palestina, si rese conto di dover adottare un approccio in qualche modo differente. Qui il bisogno principale era quello di raffreddare un nazionalismo diffuso, confinante con il fanatismo, che perdeva sporadicamente di vista ogni interesse per la comunità. Per resistere a questa tendenza nel 1942 Buber costituì, con Judah Magnes, rettore dell'Università Ebraica, Ernst Simon e Chain Kalvarisky, Henrietta Szold, Gavriel Stern e Mosheh Smilansky, un gruppo che si chiamò Ichud, unità. In P. Vermes, op. cit., p. 121

- 34 -