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Il confronto diretto con le scienze psicologiche e social

Parte seconda: Antropologia filosofica

Capitolo 4: Chi è l'uomo?

5.1 Il confronto diretto con le scienze psicologiche e social

A metà '900 il pensiero di Martin Buber aveva influenzato molti pensatori in ambito di religione, ma la sua discussione ancora non aveva avuto impatto alcuno nel campo della psicologia e della sociologia. Fu nel 1950 che, negli Stati Uniti, al filosofo si presentò l'opportunità di confrontarsi con questi ambiti di scienze umane.

I saggi concepiti in questo particolare periodo sono caratterizzati da una scrittura più lucida, esplicita e discorsiva. “Divenendo più funzionali alle scienze sociali e psicologiche, in essi, non si trova la necessità del filosofo di supportare le sue posizioni filosofiche e antropologiche ricorrendo alla teologia”106.

Uno dei saggi concepiti nel mezzo di questo confronto è Colpa e sensi di colpa107 (Schuld und

Schuldgefühle), nato sulla base di una lezione tenuta da Buber alla Washington School of Psychiatry,

nell'aprile del 1957.

In questo scritto il filosofo cerca di analizzare e rivalutare il concetto di colpa così come è stato considerato nell'ambito della psicologia. Buber capovolge il metodo delle scienze psicologiche e, al contrario degli psicologi, non cercherà di comprendere la colpa attraverso l'analisi degli specifici accadimenti che l'hanno provocata, bensì di comprendere gli accadimenti delle singole persone a partire dalla colpa.

La psicologia si occupa di sensi di colpa, concependo questi come le rappresentazioni mentali che l'individuo reca in sé stesso dopo essersi riconosciuto come il responsabile di un atto o accadimento riprovevole. Lo psicologo, di fronte ad essi, opera in modo da cercare di espellere i sensi di colpa dalla psiche del paziente.

L'operazione di Buber è quella di rivalutare non tanto il significato quanto la posizione stessa che occupa il senso di colpa. Buber parlerà di colpa e ribalterà la stessa prospettiva psicologica.

Se la psicologia parla di “sensi di colpa” intesi come “effetti collaterali” che si sviluppano nel paziente a causa di un accadimento di cui il soggetto si rende responsabile, Buber ribalta la prospettiva: bisogna

106

In Nathan Rotenstreich, op. cit, pp. 145-146

107 “Esso rappresenta il principale saggio critico edito dal filosofo in merito alle teorie psicoterapeutiche di Sigmund Freud e di

Carl Gustav Jung. Venne da lui scritto in preparazione del suo viaggio negli Stati Uniti del 1957-1958 e fu pubblicato nel 1957 sia intedesco sia in inglese. Nel corso di quell'anno, per la prima volta, Buber discusse pubblicamente le sue idee con psicologi e psicoterapeuti di professione, dapprima in occasione di lezioni e di seminari tenuti alla Washington School of Psychiatry e successivamente in un dialogo pubblico con lo psicologo Carl Rogers. Buber non è mai stato un terapeuta di mestiere, tuttavia si era interessato alla malattia mentale abbastanza da studiarla sotto la guida di specialisti clinici presso le Università di Lipsia, di Berlino e Zurigo. Nel 1923, dopo aver completato Io e Tu, in occasione di una lezione tenuta presso il Psychologischer Club Zürich formulò la sua tesi centrale sull'argomento: “le malattie dell'anima sono malattie della relazione” ”. In Judith Buber Agassi, introduzione a Martin Buber, Colpa e sensi di colpa, (I ed. 1957) a cura di Luca Bertolino e Judith Buber Agassi, Milano, Apogeo, 2008, p. XI

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guardare alla “colpa” come a quel modo d'essere peculiare all'uomo, attraverso il quale egli vive e sperimenta la propria esistenza.

La colpa è lo stato d'essere che caratterizza l'umano, perché ciò che caratterizza l'uomo nella sua apertura non è la volontà autonoma, e singola, ma il fatto di essere in relazione, e che la sfera di possibilità posta lui di fronte è costituita da un tessuto connettivo rispetto cui l'uomo singolo, pur dimostrando ignoranza, non può sottrarsi108. La colpa, la responsabilità è quindi connaturata all'uomo, non mero effetto collaterale di una singola ed autonoma volontà che assume nel proprio io individuale la colpa di ciò che ha commesso.

La psicologia -asserisce Buber- è nell'errore in quanto ignora la realtà relazionale in cui l'uomo è inevitabilmente posto109

“Lo psicologo, che vede ciò che qui vi è da vedere, deve essere afferrato dal sospetto che non vi è colpa perché vi è un tabù a cui si rifiuta obbedienza, ma che anzi tabù e tabuizzazione sono stati resi possibili solo perché i capi delle prime comunità hanno conosciuto e venerato un fatto originario dell'essere umano in quanto tale: il fatto che l'essere umano può diventare colpevole e lo sa”110

Si tratta per Buber di ristabilire il carattere effettivo della colpa, il suo abitare non nell'animo interiore del singolo, ma il suo essere poggiato nella realtà che sta fuori di noi, nella relazione con l'altro, in quel tessuto connettivo che si apre di fronte all'uomo in divenire.

Posta in questi termini dunque sarà giusto ripristinare il sostantivo “colpa” e sostituirlo al concetto di “sensi di colpa” intesi come sentimenti, sensazioni psichiche interiori. Di fronte a questo spostamento, l'acquisizione ulteriore della psicologia deve essere quella di mettere in atto un'inversione stessa del suo fine terapeutico: non più consistente nell'espulsione della colpa bensì nel “radicamento della colpa come elemento costitutivo della propria individuazione”111

“Un'esistenza che espellesse l'ombra, il conflitto e, quindi, la colpa, ” -si legge in Colpa e sensi di colpa in riferimento alla prospettiva junghiana- “ sarebbe un'esistenza parziale, e quindi, in ultimo,

108

“Ogni essere umano è in un rapporto oggettivo con altri; l'insieme di questi rapporti costituisce la sua vita di partecipante di fatto all'essere del mondo; è proprio solo questo che gli dà in generale la possibilità di ampliare il suo ambiente in mondo: si tratta della sua partecipazione all'ordine umano dell'essere della quale si assume la responsabilità. […] La violazione di un rapporto significa che in quel punto è stato violato l'ordine umano dell'essere.” In M. Buber, Colpa e sensi di colpa., op. cit, pp. 16-17

109 “Ciò che la psicoanalisi trascura è la realtà della colpa, il suo spessore ontologico da rintracciare non nell'anima, ma

nell'essere. Il medico dell'anima, non oltrepassando, nella sua pratica di cura, la trasgressione di tabù primordiali o di istanze parentali e sociali per limitarsi a curare gli effetti derivanti dalla paura della punizione e della riprovazione da parte di queste istanze, con riattivazione del timore infantile di perdere l'amore genitoriale, si proibisce, per effetto del suo metodo, il riconoscimento di quella colpa originaria che è possibilità di ogni uomo di diventare colpevole, ben intravista dai primitivi che per questo hanno stabilito dei tabù. Il mancato riconoscimento dell'originaria e costante possibilità umana di cadere nella colpa, che è connaturata alla natura umana, non consente alla psicoanalisi di pervenire all'essenza della colpa. ” In Umberto Galimberti, Le figure della colpa in Buber, Jasper e Anders, in M. Buber, Colpa e sensi di colpa op. cit., pp. 101-102

110

M. Buber, Colpa e sensi di colpa., op. cit., pp. 9-10

111

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un'individuazione mancata. La colpa, come ogni altra dimensione legata all'Ombra, è fondamentale perché tiene in vita una polarità”112

Per Buber la colpa si configura come un evento nel quale “qualcuno viola un ordine del mondo umano i cui fondamenti egli conosce e riconosce essenzialmente come quelli dell'esistenza umana comune a lui e a tutti”113.

Il fatto che si tratti di un evento, di qualcosa che si impone a noi, e non di una semplice presentificazione interiore di un sentirci in colpa, rende evidente quello che la persona può fare nei confronti della propria colpa: qualcosa che riguarda l'essere del mondo, la sua effettività, ed è lì, presso il mondo, che può cercare di redimerla.

Ripristinare il peso effettivo della colpa, significa mettere in atto un vero e proprio spostamento radicale che transiti dal singolo alla relazione, e porti questa ultima ad avere un ruolo di preminenza nella realtà del mondo.

L'operazione di Buber è quella di ripensare in modo opposto alle categorie che da sempre sono state utilizzate nelle scienze dell'uomo. L'obiettivo è quello di rimetterle nel giusto ordine “gerarchico”: in modo che nuovamente si possa giungere all'io, ma partendo dall'originario noi.

L'uomo moderno, che al pari dei personaggi kafkiani e dostojevskjani, “non ha preso su di sé l'ora dell'essere umano e l'ha perduta”114, deve nuovamente imparare a divenire colpevole. Deve ristabilire quel tribunale, che da troppo tempo è stato celato nella singola coscienza di ogni uomo, all'esterno, nel luogo del faccia a faccia fra uomini.

È soltanto attraverso una prospettiva di assunzione di colpa che - l'uomo concepito quale “essere possibile”- può riservarsi dal tramonto nel nichilismo prospettato da Nietzsche e Heidegger, verso una prospettiva di senso sorretta dalle fondamenta relazionali115.