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Fenomeno della chiamata e della risposta

Parte seconda: Antropologia filosofica

Capitolo 4: Chi è l'uomo?

4.3 Fenomeno della chiamata e della risposta

Nel testo Distanza originaria e relazione, scritto nel 1950, Buber afferma che la vita relazionale dell'uomo avviene per mezzo di due movimenti: quello di distanza e quello di relazione99. Il filosofo afferma che il primo è condizione dell'altro, cioè che la distanza sia ciò che permetta la relazione e che le due non possono essere concepite separatamente. Ma se volessimo indagare a fondo la posizione di Buber potremmo affermare che per il filosofo vale anche l'opposto: la relazione è ciò che permette la distanza. In essa troviamo l'enunciato base di tutto il suo pensiero: il fatto che a principio -anche quando l'uomo si distanzia da ciò che lo circonda - vi sia sempre la relazione, come presupposto ineliminabile.

Mentre il significato della prima affermazione è esplicito: due enti possono entrare in relazione solo se prima erano posti ad una certa distanza; la seconda affermazione pare più problematica, e non di immediata chiarezza. Cosa si intende con il dire che la relazione è presupposto della distanza?

Due sono i significati che si devono tenere presenti: 1. Che la distanza ha come meta la relazione

2. Che la distanza può avvenire sempre e solo entro la relazione

Il primo significato ha a che fare con l'essere dell'uomo. La peculiarità del suo essere, come sostenuto da Buber, sta nel suo desiderio di essere riconosciuto dagli altri uomini. Quindi la distanza, da questo punto di vista, è destinata ad essere estinta nella relazione stessa. L'uomo desidera essere riconosciuto, e per

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N. Galantino, Dire uomo oggi, Paoline, Milano, 1993, p.101 cit. in G. Bon, op. cit., p. 36

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“Il principio dell'essere uomo non è semplice, ma doppio, si costituisce in un doppio movimento, e in modo tale che un movimento è il presupposto dell'altro. Chiamo il primo movimento distanziarsi originario, il secondo entrare-in-relazione. Che il primo sia presupposto del secondo dipende dal fatto che si può entrare in relazione solo con un esistente distanziato, o meglio: con uno che è diventato un autentico star di fronte. Ma ciò che sta autonomamente di fronte all'uomo esiste solo per l'uomo”. In M. Buber, Distanza originaria e relazione, (I ed 1950), in Il principio dialogico ed altri saggi, op. cit., p. 280 .

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questo non può fare a meno di accorciare la distanza fra se e gli altri uomini. Quindi si dà che la relazione è presupposto della distanza, poiché quest'ultima ha come meta la prima: l'uomo non può fare a meno di mettersi in relazione e di essere riconosciuto dagli altri uomini100. Per questo si può affermare che la distanza, se non avesse come meta la relazione, per l'uomo non avrebbe senso. La distanza è ciò attraverso cui l'uomo cerca di conoscere ed essere riconosciuto101.

Il secondo significato non ha a che fare con l'uomo in maniera diretta, perché non dipende da lui, non dal suo modo d'essere. Qui ci si riferisce alla realtà relazionale in cui all'uomo è dato di vivere. In questo secondo senso quindi la relazione è presupposto della distanza, in maniera necessaria ed indipendente dalla volontà dell'uomo. L'uomo vive in una realtà relazionale e per questo motivo, ogni volta che egli si distanzia da essa, decidendo ad esempio di allontanarsi da altre persone, questa distanza è destinata ad essere avvertita da tutti coloro che partecipano alla realtà relazionale stessa. Per cui la distanza che l'uomo decide di porre fra sé e l'altro si ripercuote nella relazione stessa.

Questa seconda posizione esprime il postulato base del filosofo. Con ciò Buber intende sostenere che l'uomo può distanziarsi da ciò che sta lui attorno sempre e solo continuando ad essere parte di esso. La distanza che l'uomo pone fra sé e gli altri è una lontananza che non può mai rendersi totalmente effettiva. L'uomo non potrà mai porsi al di fuori del contesto relazionale, e qualsiasi distanza ponga fra sé, gli altri e il mondo, questa non potrà mai passare indifferente, ma sarà sempre destinata ad essere percepita da ciò che sta lui attorno.

Si afferma quindi che ogni distanza fra uomo e uomo avviene sempre in un contesto relazionale. Un uomo che decidesse di lasciare la propria famiglia, la propria casa ed il proprio lavoro, di recidere le proprie relazioni più immediate, creerebbe una distanza che è destinata a ripercuotersi su coloro i quali erano in relazione con quest'uomo. Quest'ultimo, pur potendo non sentirsi minimamente in colpa, non potrà cambiare il fatto che il suo gesto avrà delle conseguenze che si riverseranno fuori di lui, e che lui ne sia il responsabile. Dunque ciò che afferma Buber è semplice, sia che noi accettiamo, sia che noi rifiutiamo una relazione, distanziandoci da essa, ciò avrà delle conseguenze che si ripercuoteranno al di fuori di noi. È per questo preciso motivo che non solo la distanza è presupposto della relazione ma, allo stesso tempo, la relazione, sia il presupposto necessario in cui può essere posta la distanza.

100 “L'uomo, in quanto tale, distanzia e rende autonomo l'uomo, permette a uomini come lui di vivere intorno a lui, e in questo

modo lui, solo lui, proprio lui può entrare in relazione con i suoi simili. Il fondamento dell'essere uomo-con-l'uomo è questa duplicità ed unità: il desiderio di ogni uomo di essere confermato per ciò che è, per ciò che diventerà, e la capacità innata dell'uomo di confermare allo stesso modo gli uomini come lui”. In M. Buber, Distanza originaria e relazione, op. cit., p. 288

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“L'intima crescita dell'io non è indotta dalla relazione dell'uomo con sé stesso, come gli uomini oggi suppongono, ma dalla conferma da parte di un altro uomo che ci riconosce come presenti nella nostra unicità. L'autorealizzazione, parola d'ordine che occupa gran parte della nostra cultura popolare, da questo punto di vista non è lo scopo ma un sottoprodotto. Lo scopo è estinguere la distanza nella relazione, e qui, relazione significa muto riconoscimento, cooperazione e genuino dialogo” In M. Friedman, Martin Buber's Final Legacy: “The Knowledge of Man”, in «Journal for the Scientific Study of Religion», Vol. 5, No. 1, Wiley on Behalf of Society of Religion, Autumn 1965, pp. 4-5

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È per questo motivo che ognuno di noi si trova in una condizione in cui è sempre potenzialmente interpellabile. Ogni nostro comportamento esige dall'altro una risposta, ognuno di noi non può levare sé stesso dalla relazione.

Gli uomini sono fra loro capaci di distanziarsi e questo permette loro di avere curiosità nei confronti dell'altro e di riconoscerlo ma, nonostante la distanza, l'uomo non può porsi al di fuori del contesto relazionale in cui sin dalla nascita si trova a vivere, contesto che pone l'uomo nella condizione di ritornare continuamente indietro rispetto a questa distanza. In questo “ritorno necessario”102 - rispetto a cui l'uomo non può avere imperio- sta la responsabilità che ci caratterizza. L'uomo, pur essendo libero di distanziarsi, di conoscere e di decidere, non è allo stesso tempo in grado di svincolarsi dalla relazione.

Questo ci porta a considerare la nostra stessa esistenza come atto di responsabilità. Qualora volessimo distanziarci dalla relazione, questo allontanamento, anche il più drastico, come la morte, sarà destinato a provocare effetti nella realtà relazionale di cui si faceva parte.

Il fatto che l'uomo non possa esistere se non in relazione giustifica e dimostra il fatto che la responsabilità -il nostro essere tenuti a rispondere- sia con-strutturale al nostro essere.

L'evento del dialogare che si svolge fra due persone è l'accadere che Buber prende in considerazione per descrivere l'evento relazionale, in cui si rende manifesta l'impossibilità dell'uomo di non poter fare a meno di prendervi parte. Nell'evento del dialogo si mostra questo aspetto per cui ogni uomo è un essere che è costantemente interpellabile. È chiamato e tenuto a rispondere delle proprie scelte. È caratterizzato dal desiderio di essere riconosciuto e dalla necessità di riconoscere a sua volta.

A fondamento del dialogo, secondo Buber, sta il fatto che la chiamata avviene presupponendo una risposta103. L'uomo che chiama e che domanda, lo fa perché è nella sicurezza che una risposta debba giungergli. Anche nel caso in cui l'uomo che domanda non ricevesse alcuna risposta, la mancanza di questa sarebbe comunque un responso, un effetto che colui che ha chiamato si troverebbe a ricevere.

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“Sappiamo che il ritorno si trova al centro della vita dell'uomo: ha il potere di rinnovare l'uomo dall'interno e di trasformare il suo ambito nel mondo di Dio, al punto che l'uomo del ritorno viene innalzato sopra lo zaddik perfetto, il quale non conosce l'abisso del peccato. Ma il ritorno significa qui qualcosa di molto più grande di pentimento e penitenze; significa che l'uomo che si è smarrito nel caos dell'egoismo -in cui era sempre lui stesso la meta prefissata- trova, attraverso una virata di tutto il suo essere, un cammino verso Dio, cioè il cammino verso l'adempimento del compito particolare al quale Dio ha destinato proprio lui, quest'uomo particolare.” In M. Buber, Il cammino dell'uomo secondo l'insegnamento chassidico, a cura di Enzo Bianchi, Magnano , Edizioni Qiqajon, comunità di Bose, 1990, p. 51

103

“Effettivamente, una delle più concrete manifestazioni dell'esistenza della sfera del ʻtraʼ, della relazione, è il fenomeno della risposta: ʻ...l'accadere, di fronte a me, di una parola che esige una risposta ʼ. Potrebbe essere corretto suggerire che il fatto che Buber utilizzi il termine “dialogo” sia collegato all'esperienza di una risposta come indicativa dalla situazione dialogica. Ciò potrebbe voler dire che l'esperienza dell'essere rivolti e di rispondere sia il focus della sfera del “tra”, o per dirla in altri termini, che tale esperienza concretizzi l'aspetto della vitale essenza della reciprocità della relazione. Il vivo contratto stabilito in una situazione di mutualità, in cui una domanda attende la propria risposta, porta Buber a valutare il fenomeno della responsabilità in due sensi, il primo è quello di rispondere alla chiamata, il secondo è quello di essere supposto tenuto a rispondere. Anche in questo secondo senso è contenuto il significato di responsabilità secondo Buber, in quanto egli lo colloca non nello stretto campo in cui si è costretti a rendere conto delle proprie azioni, ma a livello della vera stessa essenza della vita umana; posta in questi termini, la responsabilità cessa di avere un significato ristretto, e cessa di avere a che fare con la sola sfera della morale. Buber suggerisce che esso è radicato nella stessa struttura della vita umana, ed in essa trova manifestazione”. In Nathan Rotenstreich, op. cit, p. 99-100

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Anche nella nostra completa indifferenza riguardo all'altro noi siamo sempre responsabili, perché anche il nostro mancare nella relazione, è avvertito dall'altro quale mancanza. Nell'evento del dialogo la responsabilità, il fatto che noi siamo in connessione con gli altri uomini, si manifesta nell'accadere della parola che esige una risposta.

L'essere responsabili non è una scelta, ma un dato di fatto. Ognuno di noi quando decide e quando conosce lo fa in quanto responsabile, sia che questa responsabilità sia cosciente sia che non lo sia. I due movimenti per mezzo dei quali la relazione si attua, distanza-vicinanza, trovano corrispondenza con la dinamica del dialogo: domanda-risposta. Allo stesso modo in cui all'uomo non è possibile, pur nella distanza, sottrarsi dal contesto relazionale, così è per la domanda, alla quale è impossibile non rispondere104. L'avvenire di un dialogo infatti si basa sul presupposto che il primo uomo che pronunci parola lo faccia nell'aspettativa di una risposta. Anche se l'uomo interpellato decidesse di non rispondere, la mancanza di risposta sarebbe comunque un responso alla chiamata, che non smetterebbe di esistere. In conclusione si può riconoscere che -nella prospettiva del filosofo- la relazione stessa sia atto di responsabilità, e di conseguenza che quest'ultima sia il carattere umano per eccellenza che distingua l'uomo, nel cui “essere possibile” (essere-in-relazione) diviene necessariamente ricompreso anche il suo essere responsabile105.

Quindi si dà che l'uomo, inteso come essere relazionale, è anche, nel suo essere aperto al possibile, responsabile in modo necessario. La distanza che l'uomo pone fra sé e ciò che sta lui attorno non è in grado di divenire mai totalmente effettiva, perché qualunque decisione io prenda, anche quella di disinteressarmi dell'altro, questo disinteresse è destinato ad accadere nella realtà relazionale in cui siamo posti: l'altro non smetterà mai di esistere, ed io nemmeno potrò mai cessare di fare parte di questo tessuto relazionale.

Ho cercato di mostrare come la stessa relazione sia atto di responsabilità e come -al contrario di Nietzsche- sia impossibile concepire l'uomo come essere possibile, essere relazionale, senza considerarlo anche essere responsabile. L'essere relazionale, per Buber, è anche necessariamente essere responsabile.

104 “La situazione ontologica della persona, in sé e per sé, è domanda, l'essere, in sé e per sé, implica una risposta. Domanda e

risposta sono correlativi e compresenti. Il coglimento del rapporto è operato dall'uomo, perché soltanto l'uomo è nella condizione ontologica di rilevare la presenza dlla domanda e di formulare la risposta.” In A. Babolin, art. cit., p. 102

105

“Ogni uomo ha una sfera illimitata di responsabilità, la responsabilità di fronte all'infinito. Egli si muove, parla, osserva, e ciascuno dei suoi movimenti, ciascuna parola e ciascuno sguardo genera delle onde negli avvenimenti del mondo: lui non è in gradi di sapere quanto siano forti e ampie. Ogni uomo determina, con tutto il suo essere e agire, il destino del mondo in una misura sconosciuta a lui e a tutti; infatti la causalità che possiamo percepire, è invero solo una minuscola sezione dell'agire, molteplice e invisibile in misura inimmaginabile, di ogni cosa su ciascun'altra. Sicché ogni azione umana è un contenitore della responsabilità illimitata.” In M. Buber, Beato l'uomo che ha trovato la saggezza. Meditazioni per ogni giorno, Torino, Gribaudi, 2001, p. 40

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Capitolo 5: La realtà pratica della relazione